«Oltre la lira» Ci sono troppe tasse La colpa è del debito di Alfredo Recanatesi

OLTRE LA LIRA OLTRE LA LIRA Ci sono troppe tasse? La colpa è del debito ON si capisce ancora se sia solo fumo o ci sia anche dell'arrosto, ma sicuramente nell'aria l'odore delle elezioni si va spandendo. E di conseguenza nella dialettica politica tornano a fiorire le più accattivanti posizioni elettoralistiche, prime tra tutte quelle che attengono l'imposizione fiscale. Di tasse si torna a parlare dappertutto, e in particolare in quelle aree politiche di centro-destra che della riduzione della pressione fiscale hanno fatto il loro cavallo di battaglia già nelle elezioni del '94 con un successo che sconsiglia di cambiare strada. E così di tasse si è tornati a parlare quasi quotidianamente, soprattutto alla radio, con dibattiti e approfondimenti di parlamentari e di esperti che costituiscono il sottofondo di tante attività lavorative e che, per milioni di persone, finiscono per costituire un martellamento al quale si è inconsciamente sottoposti e dal quale finiscono per derivarne altrettanto inconsce convinzioni. Tema ricorrente degli slogan politici che questo chiacchiericcio radiofonico ripropone di continuo è l'esorbitante pressione fiscale alla quale persone e imprese del nostro Paese sono sottoposte in rapporto alle persone ed alle imprese di altri Paesi. Nella consueta e forse inevitabile approssimazione che contraddistingue questo genere di comunicazione, le cause di questo pesante divario vengono generalmente indicate nella evasione fiscale e negli sprechi disseminati nella spesa pubblica. Porre in questi termini la questione è pura propaganda, buona, forse, per moltiplicare i consensi politici e per alimentare l'audience radiofonica, ma non per far capire come stanno le cose. Basterebbe considerare che l'evasione pone problemi di equità distributiva dell'imposizione, ma non di pressione fiscale, vale a dire di prelievo sulla ricchezza complessivamente prodotta dal Paese. Quanto agli sprechi, è molto comodo far credere che ce ne siano chissà quanti e che basti mandare al governo la persona giusta per farne piazza pulita e, così, ridurre le tasse; la realtà, però, è che, tra politici di varie fedi e tecnici di varie scuole, ad eliminare questi sprechi negli ultimi armi ci hanno provato in parecchi, ma i risultati non sono stati così risolutivi. Insomma, così come vengono generalmente fatti, questi discorsi non filano: se raffrontiamo l'Italia con gli altri Paesi, le equazioni non tornano e non potranno mai tornare. Il motivo sta nelle spesa per gli interessi sul debito, che in Italia è particolarmente elevata sia perché è molto elevato l'indebitamento, sia perché sono molto elevati i tassi di interesse. Anche se ben nota a tutti, di questa componente della spesa pubblica si parla molto poco per non sollevare sospetti nei possessori di titoli; ma se non se ne tiene conto i conti, appunto, non torneranno mai. Proviamo a fare qualche eser- cizio di larga massima. Il Belgio è l'unico Paese europeo il cui debito pubblico, in rapporto alle dimensioni dell'economia, è più elevato di quello italiano. Eppure, se il nostro Stato pagasse sul suo debito il tasso di interesse che vi paga quello belga, già risparmierebbe attorno ai 60 mila miliardi l'anno; grosso modo si potrebbe ridurre l'Irpef di oltre un terzo. Oppure prendiamo la Germania: se - sempre in relazione alle dimensioni del sistema economico - l'Italia avesse un indebitamento consistente quanto il suo e vi pagasse i medesimi tassi di interesse, si vedrebbe il bilancio alleggerito, a dir poco, di 120-130 mila miliardi l'anno; si potrebbe abolire l'Irpef quasi del tutto! E allora, che senso ha fare i soliti stantii raffronti con gli altri Paesi europei se dentro non ci si mette tutto? Possiamo volere una pressione fiscale allineata alla media europea (e questa è grosso modo la situazione attuale), ma in questo caso non possiamo poi pretendere che lo Stato faccia tutto quanto fanno gli altri Stati con la stessa efficienza. Oppure possiamo pretendere dallo Stato prestazioni paragonabili a quelle degli altri, ma allora non possiamo pretendere di pagare le medesime tasse. Potremmo anche sostenere che si possano pagare le stesse tasse per ricevere dallo Stato le medesime prestazioni, ma in questo caso corre il dovere di avanzare qualche proposta su come ridurre la spesa per interessi al livello di quella degli altri. A quanti poi calcano l'accento sulla oppressione che da una elevata pressione fiscale deriverebbe per l'economia, magari calcolando quanti giorni dell'anno si lavora per lo Stato e quanto per se stessi, è opportuno ricordare, soprattutto in considerazione della bassa quota di titoli pubblici detenuti da stranieri, che la spesa per interessi è in buona parte una partita di giro: il reddito che l'economia produce viene decurtato dall'imposizione fiscale, ma una quota rilevante di questa gli ritorna nella forma di rendita finanziaria. I flussi finanziari netti che lo Stato preleva dall'economia, quindi, in Italia sono molto inferiori a quelli che si registrano negli alìri Paesi. Questo inusitato ruolo di intermediazione svolto dallo Stato determina paurose sperequazioni nella distribuzione del reddito delle quali la politica è quanto meno distratta, ma comunque riduce la pressione esercitata sull'economia a livelli inferiori a quelli degli altri Paesi. Alfredo Recanatesi esj

Luoghi citati: Belgio, Germania, Italia