«Noi custodi dei gusti di una volta»

Da Rocco Barocco tunichette in pizzo trasparente che mostrano glutei e seni Veronelli contro l'industria: cancella i sapori naturali per omogeneizzare il gusto sempre «Noi, custodi dei gusti di una volta» Primo comandamento: evitare il frigo, killer di sapori PRENDIAMO una bottiglia di questo vino rosso, scuro, immobile e apparentemente impenetrabile. La Paola ce lo fa ruscellare nei bicchieri con un gesto lento e delicato. Siamo divisi da un piatto di scaglie di toma che arriva da una malga sopravvissuta dalle parti di Crodo. Giriamo in bocca questo vino non pastorizzato, un Boca che ha quattro anni e non si può vendere - dal momento che non ha neppure l'etichetta - e che Piero tira fuori per gli amici quando le saracinesche del suo ristorante sono abbassate. Il gusto è aspro, «sa di terra», dice lui. Lo riproviamo dietro un boccone di toma. E' una specie di liturgia che Piero celebra accompagnando l'incresparsi della barba grigia con gesti aerei della mano. «Ecco dice - ascolta, lega con il formaggio, gli tira fuori il profumo, si sente l'odore dell'erba di montagna». Sulle piste dei sapori perduti siamo arrivati dal Bertinotti, uno di quei moderni monaci della gastronomia a cui la difficile storia di fine millennio ha affidato il compito di rintracciare e conservare i gusti di una volta. Quelli possibili, dal momento che - consoliamoci - nemmeno nell'orto di sua mamma qui a Borgomanero i pomodori hanno più quel sapore. Ma lui resiste, sua figlia Paola s'è diplomata assaggiatrice di vini, ha le sue teorie sul passato e sul presente («Meglio adesso di vent'anni fa») e il suo ristorante ha compiuto trent'anni. Piero Bertinotti è uno famoso. Ma ce ne sono tanti altri come lui, piccoli, grandi, conosciuti e sconosciuti (per forza o per scelta), una catena che si tiene insieme a forza di tarn tam, messaggi cifrati e corrispondenza per tramandarsi notizie o comunicarsi nuove scoperte nel campo dei miracoli dei gusti. Professionisti e amateurs, come il notaio Lincio di Domodossola che tiene accesi i contatti tra le malghe dell'Ossola; o il Milani, ex operatore della Rai di Milano che adesso s'è dato alla conservazione del & 1 Bettelmatth, un formaggio semi-fossile (nel senso di quasi estinto! che si impasta e si matura su in Val Vigezzo. La sua specialità consiste nel frizionarlo con il Picolit e ridurlo, dice Bertinotti, a una specie di parmigiano. Gruppi di amici, bande di ghiottoni che con senso dell'ironia e della catastrofe prossima ventura celebrano riti gastronomici chiamati «giornate di resistenza umana» che consistono nella santificazione dei sensi. Sono loro, insieme a varie altre associazioni (tipo ArciGola che predica non solo il cosa ma anche il come: slow food, mangiar lenti) e a piccoli ristoratori sparsi per le cam pagne che conservano i gusti e cercano di tramandarli ai posteri. La teoria non enunciata del Bertinotti, per esempio, è che il «formaggio allunga la vita». Il rito è semplice, come ci mostra in un pomeriggio di neve, sul legno nudo del tavolo, all'ingresso del suo ristorante. Un piatto con frammenti di due o tre tome, di gorgonzola (dura e venata di verde, servita con un filo di miele e due noci), una montagnetta di ricotta semi-rosa impastata ad erbe di montagna e con una sfondo di gusto di peperoncino. Un po' di formaggio e un po' di vino mescolati a parole, sguardi, smorfie, silenzi, occhi che s'increspano e baffi che si attorcigliano. Le ore che pas¬ sano. Dietro ogni formaggio ci sono storie di uomini, un'altra catena di «resistenze umane» che si intreccia ai drammi di oggi, come nella cascina Bocchino di Serale (Langa astigiana) regno di don Boberto Verri e dei suoi ragazzi che nella comunità hanno trovato una soluzione ai loro disagi urbani. Lassù in cascina le dieci capre di don Boberto (per questo detto «don caprino») producono formaggi che hanno commosso persino Gualtiero Marchesi, oltre che il nostro Bertinotti. Ci sono grandi segreti che si tiene ben stretti, anche a prova di un altro bicchiere di Boca, e altri - piccoli - che ci rivela. Il comandamento fondamentale, per i formaggi, consiste nell'evitare il frigorifero, frullatore di odori e di sapori, killer dei buoni gusti. Chi ce l'ha, usi la cantina, dove le muffe prolificano e i formaggi si «inorgogliscono». Come capita al «Sancarlino», una varietà morbida, tipo robiola, che da queste parti, il giorno di San Carlo, si impasta con la grappa. Bertinotti ne parla come se stesse scrivendo un romanzo: «Si mette in una ciotola con una velina sopra, si lascia in cantina e dopo un po' sulla sua superficie spuntano monti e crateri che la fanno assomigliare a una faccia della luna. Si prende quella crosta su cui i microbi danzano come in una discoteca, e si mangia». Quanti palati sanno capire? La Paola racconta che certi clienti non vogliono il burro naturale perché lo vedono giallino e pensano che sia vecchio senza saper riconoscere la differenza di gusto. Potenza della cultura televisiva galban-invernizzina che ha ridotto la gorgonzola, come dice il Bertinotti, ad un aborto impastato di mascarpone. «La grande industria - ci dice Luigi Veronelli, enologo e ghiottone - è la tragedia dei gusti». Eppure non è vero che i sapori si siano annebbiati e perduti: «Ho una memoria del gusto vivissima e vi assicuro che il Barolo di oggi è immensamente più buono di quello di una volta». Testimonia Veronelli che sono maturate e si sono acculturate nuove generazioni di artigiani del gusto: «Il problema è che si allarga sempre di più il baratro tra quest'elite e la massa». Da una parte i gruppi di «resistenza umana»; dall'altra i comuni mortali a cui la grande distribuzione ha piallato i palati e offuscato le lingue. Si arriva al punto di cancellare i sapori naturali per cospargere di aromi «identici a quelli natu- rali» (ma prodotti in laboratorio) per omogeneizzare il gusto di un prodotto in ogni stagione dell'anno. Si parla di cibo e si finisce in politica: «Sono infami - grida Veronelli - i nostri politici: lasciano che quel baratro si allarghi e sono incapaci di garantire alcuna previdenza all'agricoltura». L'avvenire ci riserva altri dis-gusti, profetizza un gastronomo «allarmato» come Edoardo Baspelli, un «euroscettico» non citato nell'inchiesta di copertina dell'ultimo Newsweek, ma che, nel nome del gusto in pericolo, esprime un drammatico: «Difendiamoci dalla Cee». Bivela Baspelli l'esistenza di un piano nordeuropeo per copiare, commercializzare, insidiare (e dunque ferire a morte) quattro gioielli italiani: il prosciutto di Parma, quello di San Daniele, il Parmigiano Beggiano e il Grana Padano. «Pretendono di farli anche loro». E noi? «Non li difendiamo, aggrediti dal Nord, sembriamo disponibili ad abolire la "denominazione d'origine protetta". Di più: l'antitrust presieduta da Giuliano Amato li ha messi sotto inchiesta con l'accusa che pretenderebbero di monopolizzare il mercato». A sentir Cee e Usi, anche le malghe dovrebbero avere un'igiene da sala operatoria per fare il formaggio. Non basterebbe controllare il prodotto finale? E se vince l'imperialismo alimentare nordeuropeo, possiamo salutare come un caro estinto il Bettelmatth e tutti i suoi fratelli. Fortuna che il Bertinotti ha la sua cantina, con i formaggi e qualche bottiglia ancora di questo Boca che «sa di terra» e di tante altre cose. Cesare Martinetti (Fine) I SAPORI PERDUTI 3. LA SPESA MENSILE Di UNA FAMÌGLIA latte, formoggi e uova Bevonde 1990 75.000 56.000 sulla spesa 3% 2,2% 1994 97.000 60.000 suila spesa 3/1% 1,9% CHI SPENDE PI PIU' CENTRO 89.744 [2,8%] 56.588.11,8%] uzione ai loro disagi urbani. Lassù in cascina le dieci capre di don Boberto (per questo deto «don caprino») producono formaggi che hanno commosso persino Gualtiero Marchesi, grappa. Bertinotti ne parla come se stesse scrivendo un romanzo: «Si mette in una Una «riserva» di vini nobili

Luoghi citati: Boca, Borgomanero, Crodo, Domodossola, Milano, Ossola, Potenza, San Daniele