OSSERVATORIO«Mostar,nuovo esame per l'Europa di Aldo Rizzo

Mostar, nuovo esame per l'Europa OSSERVATORIO Mostar, nuovo esame per l'Europa GGI, i ministri degli Esteri dell'Unione europea, riuniti a Bruxelles, dovranno occuparsi, oltre che dei loro affari correnti, della situazione in Bosnia. Anzi in Erzegovina. Ascolteranno infatti un rapporto del tedesco Hans Koschnick, che sarebbe il «sindaco» di Mostar, cioè l'autorità preposta dall'Ue ad «amministrare» la città, dopo la vera e propria guerra che vi si è combattuta tra croati e musulmani. Sì, tra coloro che oggi formano la «federazione» che, secondo gli accordi di pace di Dayton, dovrebbe dar vita, accanto alla «repubblica» serba, alla nuova Bosnia. Che dirà Herr Koschnick? Dirà che, nella regione dell'Erzegovina, i rapporti tra croati e musulmani continuano a essere pessimi, forse perché lì non ci sono abbastanza serbi contro cui fare fronte comune e dunque prevalgono le antiche e recenti ragioni di conflitto etnico. Dirà che a Mostar, la capitale o capoluogo, il fiume Neretva divide i quartieri croati sulla riva Ovest e quelli musulmani sulla riva Est, senza la possibilità di ricostruire i ponti che ne avevano fatto una città multietnica. Ponti simbolici, ma anche materiali, come il famoso Stari Most (Ponte Vecchio) del XVI secolo, distrutto nel 1993 dai cannoni croati e sostituito da una precaria passerella, sulla quale pochi si avventurano. Dirà infine che la responsabilità principale ricade sui capi della «Herzeg-Bosna», l'autoproclamata «repubblica» (un'altra!) dei croati erzegovinesi, che non vogliono saperne di un'amministrazione comune di Mostar, neanche parziale e graduale, e chiedono una Bosnia-Erzegovina divisa per tre anziché per due. Dunque, questo è il più recente sviluppo della crisi balcanica: mentre, sotto l'occhio pesante della Nato, migliorano i rapporti dei serbi con gli altri, come dimostrano anche, ma non solo, gli scambi di prigionieri, gli altri, cioè i croati e i musulmani, sembrano sempre più nemici, o sempre meno amici, tra loro. Certo, l'amicizia è stata imposta dalle circostanze diplomatiche e strategiche (la lotta contro il progetto della Grande Serbia), più che da fatti o sentimenti concreti, come di- de S sent mostrano appunto i lunghi e sanguinosi scontri nell'Erzegovina. Ma la federazione croato-musulmana, bene o male, è un pilastro degli accordi di Dayton: se gli estremisti croati di Mostar (non senza qualche ambiguità dei dirigenti di Zagabria) lo fanno saltare, Nato o non Nato, si riapre una finestra sul caos. Ma bisogna dire che, ad alimentare la diffidenza reciproca, in generale, concorrono anche i musulmani di Sarajevo, cioè in sostanza il presidente Izetbegovic. Una fonte non sospetta, il primo ministro dimissionario Silajdzic, ha accusato esplicitamente il partito musulmano Sda, cioè il partito di Izetbegovic, di monopolizzare tutti i posti di potere e di manipolare la volontà del Parlamento. Accuse eccessive? Forse. Come forse è eccessivo il sospetto di una crescente influenza del fondamentalismo islamico, di matrice e con aiuti iraniani. Sta di fatto che ciò che accade a Sarajevo, sul piano interno, offre quanto meno un alibi agli estremisti (e supercattolici) croati, a Mostar e dintorni. Ma torniamo al nostro «sindaco» tedesco, anzi europeo, che apre oggi il suo «Cahier de doléances» a Bruxelles. Egli dirà anche, ai quindici ministri dell'Ue, che se non riceverà un adeguato sostegno diplomatico e politico, nel suo estremo tentativo di «riunificare» Mostar, dovrà dimettersi. E allora, come già chiedono i musulmani, la parola passerà alla solita America. Che ha pronto un mediatore. Intendiamoci: questo è un aspetto marginale, benvenuta un'altra volta l'America, se si tratta di salvare il processo di pace, che essa stessa ha avviato. Ma per l'Unione europea, che a Mostar aveva acquisito un suo piccolo ruolo autonomo, si tratterebbe di un'ennesima, deprimente sconfitta. Aldo Rizzo g°

Persone citate: Bosna, Hans Koschnick, Herr Koschnick, Izetbegovic, Most, Silajdzic