Prodi resto il leader e vincerò

Prodi: resto il leader e vincerò Prodi: resto il leader e vincerò «Dini? Con lui un tandem che funziona» L'ULIVO UN ANNO DOPO MBOLOGNA INUTO più minuto meno, un anno fa - 2 febbraio 1995 - Romano Prodi pronunciò le prime parole che inauguravano l'Ulivo: «L'Italia ha bisogno d'affetto». Stagione buonista, si disse, ma che si rivelò assai cattiva e confusissima, sgocciolando fino all'ingorgo grottesco di oggi. Ingorgo che il professore guarda dalla sua grande poltrona di casa, tenendo acceso il rubinetto domenicale del telefono e sospirando su questo lungo anno di politica che da qualche parte andrà, ma ancora non si sa dove. Un anno (però) da raccontare. Cominciamo dalla fine: che succederà professore? «Succederà che l'Ulivo vincerà le elezioni, governerà questo Paese per cinque anni avviando le riforme che porteranno l'Italia in Europa. La coalizione si manterrà salda, la destra finirà per sgretolarsi e ricomporsi in modo un po' più decente, e in capo a qualche anno l'Ulivo potrà finalmente trasformarsi nel partito democratico...». Come non detto, prof. «Guardi che non scherzo: il progetto è esattamente questo». Peccato che non si sappia ancora nulla di elezioni, né di compattezza del centro-sinistra, né di riforme, né... «Freni. In queste ultime settimane si è visto l'impensabile: il monolite Berlusconi-Fini si è rivelato d'argilla. Le riforme sono in stallo. Le elezioni non sono affatto improbabili...». E la coalizione? «Il programma la terrà salda». Però avete già perso per strada Segni e i Verdi minacciano di... «Lasci stare Segni... Berlusconi gli ha offerto di rientrare nel grande gioco politico e lui è disposto a qualunque cambiamento. A Segni interessa il presidenzialismo e sugli altri temi ha sensibilità nulla». E i Verdi? «Cercano di contare il più possibile dentro alla coalizione, ma strappi radicali non ne faranno. Ripa di Meana fa il suo gioco e lo fa bene: però so che al momento decisivo giocherà con noi la partita». Si è mai pentito del passo fatto lo scorso 2 febbraio? «Pentito? No». Però? «Una fatica boia, un lavoraccio... Per di più fatto con scarsità di mezzi e senza esercito, ma questo lo sapevo dall'inizio». Quantifichi la scarsità. «L'Ulivo è costato un miliardo fino a oggi, forse qualcosa di più. Quattrocento volte meno di Forza Italia se è per questo. Ci reggiamo grazie al volontariato e ai 3-4 mila comitati nati in tutta Italia». E i 3 miliardi e mezzo della signora Borletti? «Un giorno o l'altro arriveranno. Almeno spero». Tutto cominciò un anno fa con una cena romana - lei invitato da Nino Andreatta, Giovanni Bianchi, Rosy Bindi - dopo un colloquio con Scalfaro. «E' già stato scritto... L'incontro altrettanto importante fu con D'Alema e Veltroni: l'idea era ed è molto semplice, per battere la destra il centro e la sinistra dovevano trovare un terreno comune su cui far nascere l'intesa. L'intesa la chiamammo Ulivo». Chi ebbe l'idea dell'Ulivo? «Un giornale scrisse: non vorremmo che all'ombra della quercia ci fosse posto solo per dei cespugliArturo Parisi, uno dei politologi che lavorano con me, mi disse: l'ulivo è forte quanto la quercia e forse anche di più». Poi vennero i mesi del viaggio in pullman. «Era mio dovere farlo: per intraprendere un viaggio politico bisogna soprattutto saper ascoltare. E io per cinque mesi e 21 mila chilometri non ho fatto altro che ascoltare. Mi ricordo che il povero Berlusconi chiamò una dozzina di fotografi a Arcore per mostrare il suo pullman super accessoriato. Lo mostrò, credo, per farmi un dispetto: ce l'ho anch'io il pullman e anche più bello del tuo». Per un anno Berlusconi è stato il suo avversario. Lo è ancora? «Credo che il passaggio di consegne dentro alla destra sia già avvenuto e che toccherà a Gianfranco Fini guidare il Polo. Il comando oggi ce l'ha lui». La preoccupa di più o di meno? «Di più: la somma dello strapotere televisivo di Berlusconi con la vocazione autoritaria del partito di Fini diventa un fatto davvero inquetante. Per un verso o per l'altro questa destra è sempre di più un'anomalia». Sono giorni che lei parla del fascismo niente affatto declinato dentro Alleanza nazionale. «Ne parlo perché l'operazione politica di Fiuggi - l'msi che diventa An - si sta rivelando sempre di più un semplice rito battesimale. Un cambio di superficie che non ha intaccato il vecchio». Dopo un anno che opinione si è fatto di Berlusconi? «Consideri solo quello che ha combinato in queste ultime settimane. Ha proposto il presidenzialismo all'americana, poi l'elezione diretta del premier, poi il semipresidenzialismo alla francese, poi il cancellierato e adesso siamo al sindaco d'I- talia. Ma dico! Ha scambiato le riforme costituzionali per un palinsesto televisvo». Parliamo di tv. Il battesimo pubblico della sua candidatura transitò nel «Fatto» di Biagi e nel «Costanzo Show». Lei più che parlare, borbottava... «Lo so, lo so. In tv non bisogna borbottare e bisogna guardare la telecamera, non ci si devono stropicciare le mani... Me lo hanno ripetuto cento volte e forse sto imparando». Forse. Ma a prescindere: tre reti restano in mano ai suoi avversari e la Rai è ancora governata da Letizia Moratti... «Io continuo a dire che questo squilibrio nei media non può continuare: in un Paese normale deve essere garantita la parità di accesso all'informazione e in Italia questa precondizione non esiste proprio». Non si sente un po' troppo solo in questa battaglia? Siete rimasti lei e Bossi a parlare di antitrust... «Non è vero, la coalizione ha ben presente i rischi di una competizione del tutto impari». Insisto. Anche sulla questione dei poteri forti lei parlò più o meno da solo. Quando attaccò Mediobanca per l'affare Super Gemina, D'Alema si affrettò a dire: non dobbiamo demonizzare Cuccia. «Nella sostanza non ci fu alcuna smentita. Le regole di cui parlo, quelle necessarie a garantire la libera competizione, valgono por le banche, le industrie, la stampa, la tv. E la coalizione le condivide. Se non fosse così, non potrei mai esserne il leader, negherei tutta la mia formazione e la mia storia». A proposito di storia. Quando inziò la sua avventura, An e il Giornale di Feltri passarono un mese a promettere dossier sull'Iri e la sua presidenza. «Poi però hanno smesso. Scheletri nell'armadio non ne ho». Lei pensa che i suoi telefoni siano intercettati? «Rimarrei deluso del contrario». Che fine ha fatto Di Pietro? E soprattutto che fine farà? «Di Pietro ha chiesto di essere lasciato solo e io lo rispetto. Vuole risolvere le questioni aperte a Brescia. Poi deciderà. La mia opinione su di lui non è cambiata». Secondo lei gli attacchi polisti contro Scalfaro e Di Pietro fanno parte della stessa strategia? «E' possibile. Il primo è un attacco a un'istituzione che considerano ostile, il secondo è un placcaggio per tornaconto elettorale. In tutti e due i casi è una brutta guerra». Lei ripete che la sua leadership è salda. Eppure tornano a correre voci su Lamberto Dini. Si dice che il pds potrebbe puntare su di lui... «Se sono voci dentro al pds, chieda a Ligas (il portavoce di D'Alema ndr) che è persona assai gradevole». E invece chiedendo a lei? «Incontro Dini con assoluta regolarità e non...». Compresa la sera del duello tv D'Alema-Berlusconi, giusto? «Non abbiamo guardato la tv». E dunque? «Dunque il discorso avviato con Dini continua e niente affatto in termini di contrapposizione, nonostante quello che scrivete sui giornali...». Che lei non legge come D'Alema? «Che io leggo eccome». Cominciando da? «Se arriva presto, dall'Herald Tribune». Perdoni la suggestione della lingua straniera: e De Mita? «De Mita cosa?». Qualche mese fa scoppiò un putiferio quando si riparlò di una sua candidatura. «Vorrei esser chiaro una volta per tutte. In politica si possono esercitare due ruoli: il ruolo di autorità e il molo di potere. Credo che De Mita abbia le carte in regola per esercitare il primo e anzi sarebbe utilissimo. Il secondo lo considero non appropriato». Dunque candidato magari sì. «Magari sì». La spaventa la strada che resta da fare? «No. Appartengo a quelli che amano il fondo e non la velocità». Sempre che ci sia un traguardo. «Se il traguardo saranno le regole e il compromesso democratico, ben venga. Auguri». Lei non ci crede. «Non ne ho mai fatto un mistero». Cos'ha imparato in questo anno? «Che l'Italia ha bisogno di affetto». PinoCorrias «Nel Polo invece c'è stato il passaggio di consegne: oggi il comando ce l'ha Fini Di Pietro? Vuole stare solo, io lo rispetto Da sinistra: il «numero 2» dell'Ulivo Walter Veltroni e Mario Segni

Luoghi citati: Arcore, Brescia, Europa, Fiuggi, Italia