Nella tana del diavolo

Nella tana del diavolo ■ IL QUARTIER GENERALE DEI MUSULMANI NERI Nella tana del diavolo A Chicago la cittadella dell Islam CHICAGO DAL NOSTRO INVIATO Noi Louis Farrakhan ce lo mangiamo, letteralmente. Magari con una salsa bruna alle lenticchie, oppure no, in una salsa chiara al rafano; o invece alla «Morocco», come l'agnello della casa, accompagnato da riso appena giallo di curry. 0 anche in tanti altri modi, perché noi, mio figlio Pietro e io, siamo seduti qui, a un largo tavolo di «Salaam», riflessi in specchi con aperture a sesto acuto, serviti e riveriti dalla Nazione dell'Islam. Siamo, come si dice, «chez» Farrakhan, nell'elegante ristorante da lui appena aperto tra i più disperati «slum» di Chicago Sud. Questo spiega perché sotto c'è Jerry, un cordiale irlandese di un centinaio di chili, che ci ha portato qui e ci aspetta in macchina in cambio di un normale compenso da tassista. Il «concierge» dell'albergo aveva ribadito, sottolineandolo, il consiglio di parecchi amici: «Brutta zona, se si lascia andare via il taxi, dopo è una parola trovarne uno per tornare a casa. Non è una buona idea per un bianco stare fermo sul marciapiede della 79a West ad agitare la mano». E poi c'è Pietro. Ha 11 anni e conosce parecchie città americane, ma, venendo al «Salaam», aveva tenuto gli occhi incollati sul finestrino, incuriosito, più che inquietato, da un ambiente insolito: stavamo viaggiando sulla 79" in direzione Ovest da mezz'ora e, sui marciapiedi relativamente affollati del sabato sera, non avevamo visto un solo bianco. Case basse, scure e cadenti, tutte in qualche modo incomplete. Un Liquor Store a ogni angolo, sempre senza luci e con cartoni a coprire le intere vetrate. Una sfilza di barbieri, parrucchieri, piccoli alimentari senza clienti, distributori di benzina arrugginiti. Qualche gruppo di ragazzi attorno a un distinguibilissimo spacciatore di crack. Ma, un miglio dopo avere incrociato la Dan Ryan Expressway, scintillanti bandierine azzurre con una bianca «esse» moresca, appese ai pali della luce, avevano cominciato a annunciare un'imminente, luminosa epifania: «Aperto dal 28 febbraio. SALAAM. Gusta i sapori». Non ci si può sbagliare. «Il Palazzo del popolo» si materializza inconfondibile sulla destra, nella forma di una palazzina moresca bianca dipinta di fresco e sormontata da una mezzaluna gialla con all'interno una stella dello stesso colore. Spaziose e luminose vetrate al piano terra illuminano il Blue Seas, un bar-cafeteria per famiglie, la versione economica di «Salaam», dove si possono avere sandwich di 11 tipi, insalate, tre minestre, pollo e perfino spaghetti al pomodoro con polpette vegetariane. Volendo, si possono gustare nel «Giardino di Elijah», la sezione del ristorante dedicata al fondatore della Nazione dell'Islam, Elijah Muhammad. Accanto al «Blue Seas» c'è la panetteria, che produce, oltre al pane, biscotti, torte e il famoso dolce della casa, il Supreme Bean Pie, fatto con una qualità di fagioli dal curioso nome di «Navy Beans», fagioli dei marinai. Il «Salaam», il ristorante di lusso per chi vuole spendere di più, è al piano di sopra e guarda dall'altra parte della 79a, dove, all'incrocio con Emerald Street, c'è la libreria della Nazione dell'Islam («Respect l'or Life», rispetto por la vita, proclama la sua insegna verde). Se si attraversa Emerald Street dalla stessa parte di «Salaam», ci si imbatte in un'altra palazzina, questa volta color crema, che un'insegna rossa annuncia essere la sede di «The Final Cali», la chiamata finale, il quindicinale della Nazione dell'Islam. Questo incrocio tra la 79n e Emerald è senza dubbio il quartier generale di Farrakhan, l'antisemita, il razzista, il diavolo per molti americani, l'erede di Malcohn X per altri, il suo assassino per altri ancora. La porta a vetri che conduce a «Salaam» è chiusa. Si suona e una signora con il capo velato si stacca da un banco e viene a aprire. «Welcome to Salaam». Si sale una scala e un giovane magro, elegante e con i baffetti sottili, si manifesta immediatamente come il «maitre de salle», staccandosi da uno sfondo di specchi resi più luccicanti dai grandi lampadari a pendagli e incorniciati da pesanti tende rosso scuro bordate d'oro. Il Palazzo del Popolo è un investimento da 5 milioni di dollari e si vede subito, come si vede subito che è pura vendemmia Farrakhan in tutti i dettagli, e non solo perché è stato disegnato e arredato da sua figlia Maria. Questa è la Nazione dell'Islam di Louis Farrakhan, per molti aspetti piti simile alla destra religiosa repubblicana di Pai Robertson che alle Pantere Nere eh Malcohn X. Per avere rispetto, gli afro-americani devono sfoggiare tutta la loro classe assieme a tutta la loro diversità, come il leader della Nazione dell'Islam, che all'alba si esercita con il suo violino sul concerto di Mendelssohn e la sera pronuncia oscure prediche sul numero 19, composto non a caso di un 9 e di un 1, dove il primo vuole dire una certa cosa e il secondo un'altra e tutti e due insieme... Alla Grande Marcia, quando stava per concludere il suo erratico discorso, il Maestro ha l'atto notare a un uditorio perlomeno interdetto che le circostanti statue di Jefferson e Lincoln erano non a caso alte entrambe 19 piedi. E poi ha notato che Jefferson è stato il 3" presidente e Lincoln il 16" e, se fate la somma, ottenete voi sapete cosa. «Quando c'è un 1 vicino a un 9, qualcosa di segreto deve essere scoperto», ha concluso il predicatore, convinto di aver fornito una spiegazione chiara. Ma la voce del «charmer», il sessantaduenne ex cantante di calipso che qualche anno fa ha sconfitto un cancro alla prostata, scivolava via liscia, sostenuta dagli incitamenti dei giovanotti in doppiopetto e farfalla del Frutto dell'Islam. Eleganza e rispetto. In sala sono sedute una quarantina di persone e ovviamente non c'è un bianco: un grosso gruppo famigliare di 25 persone, una famiglia di quattro (probabilmente la figlia ha portato il fidanzato, che infatti parla sempre), due giovani signore sole, tre uomini di mezza età dall'aria rilassata e vagamente intellettuale, una coppia di mezza età tipo insegnanti, una coppia più anziana e un dama sola, impeplata di verde smeraldo con un bottone sul petto: I love Farrakhan. Lo sforzo coordinato che queste persone fanno per non fissarci mentre attraversiamo la sala è degno di ammirazione. Anche perché siamo una coppia insolita, adulto e bimbo, e Pietro è elegantissimo nel suo unico blazer blu. Perdipiù il maitre, scusandosi, ci accomoda in un enorme tavolo da otto: «Ho solo questo». Sembriamo la famiglia reale inglese. Non abbiamo ragione di lamentarci, anche se ci sentiamo vagamente ridicoli. Si presenta la cameriera Olimpia, molto gentile, che prende gli ordini e ci serve con efficienza un pasto più che accettabile. In accordo alla dottrina coranica, a «Salaam» non si seive alcol, né maiale né frutti di mare. A «Salaam» non si fuma '.a nessuna parte e si parla piano. Pietro, però, appare più che soddisfatto del suo Filet Mignon e io lo sono del conto di 50 dollari e della torta di fagioli dei marinai. Uscendo, ho un piano in testa e vado a stringere la mano al maitre. Gli chiedo se ci sia davvero una sala da pranzo privata di Farrakhan nel ristorante (lo so che c'è) e gli confesso la ragione della mia curiosità: «Sono un giornalista». Komawi Ah si irrigidisce per un nanosecondo, poi prevale in lui il professionista, il businessman che deve corteggiare la pubblicità: «Vuole vederla?». Indovinato, bingo. Farrakhan ovviamente non vive qui e neppure nei pressi. Vive in una zona di un certo medio decoro, nei pressi di Hyde Park, nella palazzina fatta costruire dal suocero Elijah Muhammad e da lui poi riarredata sontuosamente. Ma qui, a «Salaam», c'è la sua sala da pranzo privata. Non è molto grande, quasi interamente occupata da un tavolo rettangolare di cristallo da otto, circondato da sedie a braccioli. C'è sfarzo, ma da nessuna parte simboli religiosi o esoterici. E' ora di andare e tutto va per il meglio. Spero che Pietro abbia capito che non esiste il diavolo, ma solo persone che talvolta hanno idee sbagliate. Jerry aspetta all'angolo, in una rara pozza di luce sulla 79". Gli chiedo: «Nessun problema?». «Nah - fa lui sicuro neanche un po'». Ma gli scappa un'occhiata verso il cassettino della consolle, dove deve esserci la fonte della sua sicurezza. Dentro «Salaam» è una cosa, fuori è un'altra. Paolo Passarmi jp

Luoghi citati: Chicago, Lincoln