E Io zio buono diventò cattivo di Fabio Martini

C'è in programma una missione anche in Israele Sarà il viaggio più importante della sua svolta METAMORFOSI m UN LEADER E Io ilo buono diventò cattivo Fini, i segreti della svolta anti-Silvio E ROMA quasi mezzanotte e nella silenziosa via della Scrofa c'è una luce accesa che filtra attraverso le veneziane. Lassù, al secondo piano, più stanco del solito, Gianfranco Fini «veglia» sui destini del suo partito, chiuso nello stesso studiolo che fu di Giorgio Almirante negli ultimi anni della sua vita. Nei corridoi strettissimi di questo appartamento stile ministero Anni Cinquanta, sono restati soltanto gli uomini dello staff e a chi, come Gasparri e Tatarella cerca il capo per sapere la verità sull'ultimo match, Fini racconta: «Ma sì, è andata bene. Io sono un testardo con gli amici, figuriamoci se mi sono lasciato smontare dalle "colombe". Ora il rischio del papocchio non c'è più, anzi sarà molto difficile evitare le elezioni...». C'era una volta la favola dello «zio buono». La raccontava papà Silvio Berlusconi ai suoi «ragazzi» nei giorni felici dell'idillio con Fini. «Io - spiegava un anno fa il Cavaliere - mi espongo negli scontri più aspri ed è naturale che sia così e Gianfranco se ne sta al coperto, media, fa la figura dello "zio buono"...». Già, ma ora l'incantesimo si è rotto e lo «zio buono» è diventato il «nipote sveglio», per dirla con Adolfo Urso, il più sottile tra i colonnelli di Fini. Anche se proprio ieri Berlusconi ha cercato di sdrammatizzare, ribattezzando «fratello minore» l'ex zio Gianfranco. Ma la svolta nei rapporti tra i due oramai c'è stata. Una svolta partita da lontano. Sotto traccia. Come una talpa. Tutto ha inizio la notte di lunedì 24 aprile. Le prime proiezioni delle elezioni regionali dimostrano che l'atteso sfondamento di An non c'è stato. Fini va in «tilt». Dalla sera alla mattina l'uomo di ghiaccio scompare dalla circolazione. Crisi di nervi. «In quelle ore parlai con Gianfranco - racconta Mirko Tremaglia - e lo trovai scosso. Ma in quelle ore Fini capì che se continuava ad andare a rimorchio di Berlusconi, la spinta propulsiva di An si sarebbe definitivamente esaurita». Seguono settimane di incertezza, senza decisioni e per il Transatlantico si aggirava Tomaso Staiti di Cuddia, un ex missino capace di aggrapparsi anche alle fantasie, pur di mettere zizzania: «Tra Fini e la moglie Daniela ci sono dissapori...». Poi, il primo preannuncio della svolta. «Prima di partire per le vacanze - racconta Publio Fiori - Gianfranco riunisce il gruppetto più fidato e ci dice: nell'iniziativa del partito c'è una fase di stanca, dobbiamo rilanciare Alleanza nazionale. Pensateci ad agosto...». Ma durante la vacanza ci pensa lui. «Fini è fatto così racconta Urso - durante le vacanze stacca completamente con la politica, ma quando torna, puntualmente, c'è una novità». Ed è proprio ai primi di settembre che Fini decide di mandare in pensione lo «zio buono», di far uscire An allo scoperto, di lanciare il guanto di sfida a Berlusconi. Dopo tanti rinvìi, Fini chiama Tremaglia («Lo facciamo il viaggio in America?») e Trainino («A che punto è l'organizzazione del viaggio in Cina?»). E' il fischio di partenza dell'operazione Fini-leader. E a Tremaglia che lo pungola: «Vuoi capire che dobbiamo lanciare la tua candidatura per palazzo Chigi?») Fini, scherzando (ma non troppo), gli risponde: «Cazzo e ti pare che posso dirlo io?». In Cina e negli Stati Uniti Fini ci è andato, ma il viaggio più importante della carriera dell'ex fascista Fini è un altro, quello in preparazione sotto traccia da sei mesi. Destinazione: Israele. «Oramai - svela Marco Zacchera che in Isreale ha già incontrato il vecchio Shamir - l'organizzazione politica del viaggio è quasi ultimata e tutto avrebbe potuto concretizzarsi se non ci fosse stata la crisi di governo». Ma per il Fini viaggiatore di questi mesi resta un tabù: «Non ci si è mai chiesti dice Francesco D'Onofrio, Ccd - come mai Fini faccia tante difficoltà in Europa dove resta una pregiudiziale: in Germania non è mai stato, in Francia e Inghilterra le accoglienze non sono state calorose». Ma in questi giorni così difficili, per una volta, un viaggio all'estero può aspettare. Anche perché, dietro l'aplomb sfoggiato a Mixer o nelle interviste ai Tg, in queste ore Fini è più teso del solito. Nelle riunioni ristrettissime della «cupola» di An, il capo interrompe i suoi, stronca ogni dissenso e più tardi magari si va a scusare: «Guarda, non ce l'avevo con te...». Racconta Publio Fiori: «E' vero in questi giorni Fini è preoccupato. Anche perché so che è stato sottoposto a pressioni di ambienti molto importanti che spingevano per la grande intesa. Un vero boni- j bardamento, a cominciare d'Oltretevere... Ma da qualche giorno le pressioni sono scomparse, segno che tutti quegli ambienti hanno capito che Fini non si schioda o forse che è meglio andare a votare...». Dunque, pressioni importanti suggerisce uno che certi ambienti li conosce come l'ex andreottiano Publio Inori. «Ma nella difficoltà ad invischiare An - spiega Urso - c'è un dato politico - nel bene e nel male non subiamo ricatti ma anche un dato quasi antropologico: per Fini il successo non ha significato l'ingresso nei salotti buoni, lui per esempio è uno che va in vacanza sempre con le stesse persone, da anni». La storia del Fini «incontaminato» cozza un po' con il corteggiamento a tanti manager pubblici e banchieri di grosso calibro, da Arcuti a Zandano, da Pascale a Viezzoli, eppure nello strappo di Fini da Berlusconi c'è anche una diversità «antropologica» col mondo berlusconiano e dunque anche con una parte dell'elettorato «forzista». Una volta, un amico di Fini in visita alla sua villetta anonima, da ministeriale in quel di Anzio, disse al capo di An: «Qui, in questa casa, Berlusconi non ci metterebbe piede...». E' l'eco lontana di un Fini sconosciuto, il Fini che negli Anni Settanta ogni tanto si trasferiva nel gabbiotto della pompa di benzina del padre a cambiare le banconote degli automobilisti, un'immagine che oggi può sorprendere e che lui stesso ricorda così: «Nei primi distributori automatici si faceva benzina con pezzi da cento lire, servivano saccocciate di monete che io e mio fratello cambiavamo». Ma ora alla vigilia della settimana decisiva, quella che deciderà delle sorti della crisi, del Polo e dell'amicizia tra Silvio e Gianfranco, al secondo piano di via della Scrofa la tensione resta altissima. Racconta Francesco Storace: «E' vero, Fini è cambiato rispetto a qualche anno fa: ora sente molto la responsabilità delle sue scelte, non vuole sbagliare una mossa». Con una paura dentro, che non confessa. E che l'amico Storace sintetizza così: «Non ha alcuna intenzione di apparire come lo sfasciacarrozze». Fabio Martini Publio Fiori: «Da Oltretevere lo hanno bombardato perché accettasse la grande intesa» C'è in programma una missione anche in Israele Sarà il viaggio più importante della sua svolta