Mariotto vizi e virtù del leader «interrotto»

DIARIO DELLA CRISI DIARIO DELLA CRISI Mariotto, vizi e virtù del tender «interrotto» ROMA UNQUE, adesso ci prova Segni. E come al solito, dato il personaggio, non si capisce bene se è una minaccia o una vantaggiosa opportunità. Gran lavorio e folgorante presenzialismo, in ogni caso, nel giorno che l'ha visto partecipare alla convention presidenzialista, in una piazza Capranica spaventosamente ingorgata di auto blu (pessimo segno), poi a un incontro privato con Berlusconi e infine, per quel che riguarda l'altro schieramento, all'assemblea della Rete. In tutte e tre le occasioni «il leader referendario» - così hanno ripreso a chiamarlo - ha caparbiamente replicato la soluzione primigenia, «il punto di svolta», «l'unica proposta chiara», quella del «sindaco d'Italia». Il Polo un po' l'ha accettata (Fini) e un altro po' (Berlusconi) meno. Sull'altro fronte, invece, nicchiano. Questo non ha comunque impedito a Segni di rientrare, sia pure per un giorno, nel novero dei protagonisti di questa crisi che in un mese non ne ha poi consumati così tanti. I tempi, in effetti, ma soprattutto le circostanze, il passato, gli spostamenti, le impuntature, le oscillazioni, i collegamenti, i vizi e le virtù dell'uomo l'hanno come depositato in una strana posizione di possibile cerniera. In una specie di terra di nessuno, con mobilissimi confini, dalla quale Mariotto, ma anche «Variotto» e talvolta addirittura «Svariotto» Segni seguita ad enunciare proposte che non si sa bene - anche qui - se rispondano al buonsenso o alle suggestioni dei proclami vuoti. Perché al dunque la generosa enigmaticità del personaggio resta tale, neppure camuffata da toni che continuano a suonare ripetitivamente perentori. Anche ieri, per dire, ha battuto e ribattuto sull'Italia, gli italiani e quello «Stato forte» che sembra condensare le inevitabili semplificazioni del messaggio e le più gratuite velleità cespugliesche. E così, apodittico e manovriero, tanto per cambiare, lapidario e insieme istintivamente dubbioso, Segni s'improvvisa anello di virtuale congiunzione presidenzialistica tra Fini e Occhetto via Berlusconi. E se il suo (ex?) amico Gerardo Bianco - esagerando - gli rinfaccia di aver rispolverato la figura del «podestà» fascista, con tutto il rispetto forse vale anche la pena di chiedersi se non abbia qualche ragione Bobo Maroni, un altro che lo conosce benino, quando descrive il Segni di oggi come «un poveretto sul punto di finire tra le braccia di chi vuole l'esatto contrario di ciò che dice lui». L'aggrovigliato concetto, peraltro espresso in forme larvatamente iettatone, rientra in realtà nel vasto repertorio di insolenze che Segni colleziona ormai da anni, e che i suoi avversari contribuiscono di volta in volta ad incrementare con lo scopo aggiuntivo di pungerlo nell'orgoglio personale. Terribilmente crudele, in questa specie di frequentatissimo e irriverente tiro al bersaglio, fu Ciriaco De Mita che a suo tempo lo qualificò «un cretino». E tuttavia, per capire meglio il personaggio, ò doveroso allegare al fascicolo una recente replica di Segni che, parlando di sé in terza persona, ebbe appunto a dire: «Bene, il cretino è pronto a ripartire con tutto il suo zelo infaticabile e pignolo». Sullo zelo e la pignoleria, in effetti, c'è poco da arzigogolare. Così come, sui suoi tanti passi falsi, sulle paure, sulle debolezze, sulle improvvisazioni e sulle sorprese non sempre piacevoli che comporta avere Segni come alleato, conviene senz'altro andarsi a leggere la biografia che il suo (ex? ancora) amico Franco Morganti, già co-protagonista dell'avventura referendaria e poi garante del Patto, ha appena pubblicato per Diabasis con il titolo Una vita impolitica. Assai meno scontate appaiono invece l'energia e in fondo la voglia di ricominciare. Nessuno più di Segni, si può dire, ha sperimentato sulla propria pelle la rovinosa provvisorietà del successo. Peggio: nessuno pivi di lui è stato a un passo dalla vittoria, e poi non ce l'ha fatta. L'immagine, l'esempio, la parabola che meglio esprime, ben al di là della politica, questa sua straordi¬ naria occasione mancata è quella di chi ha vinto la lotteria ma ha smarrito il biglietto. O, per tornare su un piano assai meno fantastico, quella di un leader che dopo aver sfiorato Palazzo Chigi non viene piti nemmeno riconosciuto dal carabiniere che, come riferito da Epoca, aveva il compito di filtrare l'ingresso dei deputati fra le transenne di piazza Montecitorio. Ebbene, forse proprio da quel giorno Segni ha fatto la guerra («con coltello tra i denti ed elmetto in testa») a Berlusconi; ha scritto un bel libro (sintomaticamente intitolato La rivoluzione interrotta); ha proposto Di Pietro premier; s'è unificato tiepidamente con il Si di Boselli e l'Ad di Bordon; ha mostrato al Venerdì il frigorifero di casa (pieno di marmellate) e dopo ripetuti «mene-vado» se n'è andato sul serio dall'Ulivo. Ora, legittimamente, ci prova. Anzi, ci riprova. 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