Uno Cupola dietro il tricolore

«Così ho comprato l'Italia» :-:::::v:;:: Uno Cupola dietro il tricolore / segreti della sede diplomatica di Lagos LA ROTTA DELLE SCHIAVE DEL SESSO LAGOS DAL NOSTRO INVIATO L'hanno costruita nel 1972. Hanno cominciato a disonorarla nel 1989. L'ambasciata italiana a Lagos è a Victoria Island. Muri bianchi, cancellate, guardie. Un cartello annuncia gli orari in cui è possibile richiedere i visti. Se qualcuno immagina code chilometriche all'ingresso, sbaglia. Venivano poche persone, ottenevano molti permessi. Spedivano all'estero carne umana, destinata ai marciapiedi italiani. Adesso l'edificio è più blindato che mai. L'ambasciatore Umberto Plaja si limita a dire che le accuse dovrebbero riguardare il periodo precedente la sua nomina, risalente a un anno e mezzo fa, e che ha già sospeso le tre funzionarie implicate. Tre donne che arrotondano lo stipendio, cinquecento prostitute spedite a battere in Europa, amen. Tutto qui? Forse no. Gli inquirenti italiani puntano più in alto, alla cupola della connessione criminale tra Italia e Nigeria e sospettano che passasse proprio attraverso questi cancelli, che abbia i volti di uomini e donne nigeriane e di italiani a Lagos che venivano qui. E quello di coloro che li ricevevano. Allora entriamo in questa ambasciata e vediamo chi ci troviamo. Il personale italiano è di diciotto elementi. Poi ci sono i nigeriani di complemento, centralinisti, dattilografe, autisti. A disposizione, una Croma blindata e altre tre auto di rappresentanza. Nel parcheggio, tra loro, una Mitsubishi che non si muove da oltre un anno. L'aveva presa il capitano Finocchiaro, spedito in Nigeria per indagare sul traffico di droga. Investigò poco. Dopo una settimana, mentre si trovava al Jakande Market, gli ficcarono un proiettile in' pancia. «Volevano la sua auto, qui attirano molto i fuoristrada di quel tipo», spiega l'ambasciatore. Non è esattamente la versione più accreditata. Più probabile che la sua presenza desse fastidio e che indagasse su italiani coinvolti nel narcotraffico. Chiedere ai suoi assalitori se qualcuno li avesse ingaggiati, è impossibile. Uno dei due fu giustiziato al mercato, per direttissima. Bastonato a morte e poi bruciato. L'altro, mai identificato. Pensare che la polizia nigeriana se ne occupi ancora è una illusione disperata. Dicono che il capitano Finocchiaro, trasportato in Italia d'urgenza con un jet militare, tornerà un giorno a riprendere le sue cose. Gli inqche gli del bus Altra bella illusione. Dovesse mai farlo, troverebbe a attenderlo l'ambasciatore Umberto Plaja. E' un diplomatico dall'aspetto esile, circondato da un alone di raffinata tristezza. Rivela il suo nervosismo accendendo una sigaretta con l'altra. Una Pali Mail dà fuoco a una Carnei che dà fuoco a una Nazionale con filtro che dà fuoco a un sigaro. L'ambasciatore è un uomo sulle braci. E' di origine siciliana, ma nato a Milano. Suo padre Eugenio era lui pure diplomatico. Plaja si laureò in legge e vinse il con- corso per notaio. «Ma mi annoiavo e così, sei mesi dopo, avendo superato anche l'orale del concorso diplomatico, cambiai carriera. Poiché mio padre era capo del personale scelsi la sede più difficile per non passare per raccomandato. E finii a Saigon». Subito una scelta dura. Come lo è stata, da ultimo, quella di Lagos, classificata come «particolarmente disagiata». Un posto dove nessun diplomatico chiede di andare. Nemmeno Plaja, dice. Freferiva il Sudamerica, pare. E spera di andare in Cile, dopo. «Perché ho studiato là e sono amico di tutti i governanti». Nell'attesa, si è ambientato bene. Gioca a bridge con i figli del dittatore Abacha. Nuota nella piscina annessa alla sua residenza, interna all'ambasciata dove, ma neppure troppo spesso, riceve fino a cinquecento persone per un party. Rappresenta, oltre all'Italia, l'Unione Europea. Quattro giorni fa, in quella veste, è andato a Abuja per consegnare un memorandum al ministro degli Esteri nigeriano, ponendogli condizioni per la riammissione del Paese nell'orbita internazionale. Quello gli ha giocato un brutto tiro. Ha chiamato i giornalisti e ha mostrato il memorandum. Poi lo ha sfogliato e ha recitato un peana alla «democratizzazione in corso della Nigeria» facendo credere che fosse contenuta nel testo. Tredici giornali su quattordici hanno titolato che l'ambasciatore Plaja apprezzava la situazione nigeriana. Lui si è consolato andando a giocare a golf con l'amico Marcello Mancini. Con lui condivide anche la proprietà di una barca. Alla domenica la fanno scivolare sulla laguna, passano davanti al vecchio penitenziario di Kiri Kiri e raggiungono il mare. Mancini è un uomo d'affari che lavora da sempre nell'Africa occidentale. E' un sosia di Claudio Lippi, non tacerebbe nemmeno durante un minuto di raccogli¬ mento e ha una moglie che lavora in ambasciata. Il cruccio dell'ambasciatore sono i rapporti con la famiglia, che ha praticamente interrotto da quando è in Nigeria. Gli amici dicono che riempia il vuoto affettivo allevando animali esotici: pappagalli tanzaniani e un coccodrillo. Il suo curriculum professionale è d'eccellenza. Al ministero molti lo apprezzavano durante i cinque anni in cui ha diretto l'unità di crisi. Adesso è chiamato alla prova più dura. Il suo vice è Mister Caponi, dedito soprattutto alla rappresentanza culturale, specialmente dopo la chiusura dell'istituto di cultura italiana. Di lui la stampa locale si è occupata diffusamente in occasione del festival del cinema europeo a Lagos. Data la sede, altri Paesi hanno scelto film leggeri, tipo «Tre uomini e una culla» per la Francia. Caponi ha presentato «L'intervista» di Fellini. Riporta una rivista: «Alla fine della proiezione il signor Caponi è stato circondato da spettatori che pretendevano spiegazioni e pitano raffico mente se n'ò andato disgustato dicendo che una simile reazione davanti a Fellini costituisce sacrilegio». Il terzo diplomatico, Stefano Dejak, è alla sua prima missione internazionale. Ha scelto la Nigeria «per non farsi burocratizzare a Roma» e gli è stata concessa nonostante non avesse sufficiente anzianità di servizio. Non aveva concorrenti. E' primo segretario di legazione e si occupa degli aspetti commerciali. Lavora dalle sette del mattino, riceve decine di persone, mostra organici di altre ambasciate in cui sono diciotto a svolgere il suo lavoro e la sua frase preferita è: «I diplomatici non sono quelli del Ferrerò Rocher». Con loro lavorano quindici persone. Anzi, lavoravano. Ne restano dodici, perché tre sono state sospese. Dopo Graziella Monaci, altre due. Gli inquirenti le vorrebbero in Italia per arrestare anche loro. Per il momento restano a Lagos, ma l'ambasciata si sta spopolando. Dipendenti sospesi, funzionari in viaggio. Diminuisce il personale, aumentano i sospetti. Qui, dal 1989, non si offrivano Ferrerò Rocher. Piuttosto, polpette avvelenate. Gabriele Romagnoli L'ambasciatore Plaja: le accuse riguardano un periodo precedente alla mia nomina «Già sospese le tre funzionarie implicate in questa inchiesta» Gli inquirenti sono convinti che gli uffici fossero la base del business criminale Un anno fa arrivò un capitano per indagare sul narcotraffico ma fu ferito misteriosamente Una baraccopoli a Lagos sullo sfondo i palazzi dirigenziali (foto grazia neri]