Sen, la solidarietà è un affare

Sen, la solidarietà è un affare La provocazione dell'economistà-filosofo, a Venezia per il seminario dei librai Sen, la solidarietà è un affare «Lo sviluppo non dipende dalle merci, ma dalla crescita delle libertà» VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Smarriti, divisi, un po' impauriti: lo siamo tutti, in Europa, in America e nel mondo. D'improvviso s'è spalancato un mare d'incertezze fra le due opposte e lontane rive del marxismo che fu e del liberismo, che è una costa con molti paesaggi e molti porti uno diverso dall'altro: qui è difficile scegliere dove gettare l'ancora. Così inizia il racconto di Amartya Sen, che venerdì conclude alla Fondazione Cini il seminario annuale della Scuola per librai Umberto e Simonetta Mauri. Sen, nato nel Bengala, è uno studioso speciale: tiene a Harvard due corsi contemporaneamente, uno di economia e uno di filosofia, quest'ultimo insieme con un filosofo che ora va per la maggiore, Robert Nozick. Sen ha vinto nel '90 il Premio Giovanni Agnelli per la dimensione etica nella società contemporanea. Segue una sua rotta, Sen. Riesce a far convivere l'esigenza di aiuto sociale con una rigo- rosa salvaguardia del sano bilancio. In questo modo sconcerta sia i liberali di sinistra, quando sostiene che l'assistenza non risponde quasi mai ai bisogni profondi delle persone, sia i li¬ berali di destra, perché per lui l'io non può essere il padrone assoluto. E' quel che dirà ai librai, reduci dall'indottrinamento sulle nuove tecniche di vendita e sui cambiamenti del mercato in Italia e all'estero. Il suo discorso indagherà proprio il rapporto fra impegni sociali da una parte, «a tutela dei disoccupati, dei vecchi, dei malati, dei disabili», e conservatorismo finanziario dall'altra, che ha il suo valore nella lotta all'inflazione. La chiave della conciliazione fra le due visioni Sen la vede nella «partecipazione», nel dialogo tanto conflittuale quanto liberatorio e creativo che le diverse componenti della società devono intrattenere tra di loro e con il governo. Lo sguardo si fa ora sottile, polemico, dietro le lenti. Dice Sen: «Visto che cosa è successo in Francia? Chirac ha dovuto ripensare le sue scelte. L'accordo di Maastricht pone certo dei vincoli, ma io sono contro i tempi d'attuazione che Maastricht prevede. Troppo stretti. Ho presenti le cifre: solo il Lussemburgo e la Germania possono rispettarle. Occorre allentare la presa per cominciare a risolvere il problema della disoccupazione. Io sono per l'Europa, idea bellissima, e per la moneta unica, ma non a un costo eccessivo». Sen condivide le ultime analisi di Dahrendorf, le sue preoccupazioni che le tante difficoltà che ci assediano possano sfociare in un dirigismo tecnocratico. «Ma Dahrendorf ha una formazione da sociologo, viene da Weber e da Durkheim; io no, sono un economista e un filosofo». Il segreto per lui è nella consapevolezza che ognuno deve avere di sé e del suo agire nel mondo insieme con gli altri. C'è un immenso lavoro educativo da fare. «Ripartiamo da Socrate - esorta - e rifacciamoci la domanda: quale vita vogliamo vivere?». Sen ha un'ossessione quasi religiosa delle libertà individuali. Dice che «lo sviluppo non è una questione di incremento dell'offerta di merci, ma di aumento delle capacità delle persone», e che «due persone che hanno lo stesso paniere di beni primari possono avere libertà molto diverse di perseguire le loro vite». In primo piano pone le differenze, le esigenze irriducibili di ogni singola persona: «Su questo discuto spesso con il mio amico filosofo John Rawls: lui tende un po' a dimenticarsene». La passione per la libertà gli viene dal nonno, Kshilà Mohan Sen, professore universitario collega di Tagore. Scrisse fra l'altro un volume, Hinduism, che ancora si vende benissimo nei Penguin. «Il nonno mi ha insegnato il sanscrito a tre anni. Era hello leggere i testi antichi di quelle antichissime civiltà. Ho imparato che non c'è un solo induismo... Il nonno mi parlava, mi incantava, mi insegnava il valore della tolleranza. Era religioso e mi diceva: "In questo devi decidere da te". Sono ateo, ma l'amore per la morale me l'ha dato lui». Non dimentica due scene. Un giorno era a scuola e si affacciò nell'aula un uomo mite e stravolto: si accasciò e morì. Di fame. Un'altra volta a nove anni vide in strada un uomo che portava della legna sulle spalle pugnalato a morte da un indù: quell'uomo si chiamava Kader Mia ed era un disoccupato musulmano che era andato a cercar lavoro nel quartiere indù. «Ho imparato com'è necessario distribuire le risorse e difendere tutte le libertà». Claudio Altarocca Amartya Sen: l'economista originario del Bengala ha vinto nel '90 il «Premio sen. Giovanni Agnelli» «Ripartiamo da Socrate: per migliorare le capacità della gente occorre un immenso lavoro educativo»

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