«Noi pellegrini notturni nelle cattedrali dello sballo»

Morire per andare in discoteca? Fa parte della logica della nostra vita E chiudere prima i locali è una semplice ipocrisia» In «branco» da Milano a Rimini: «Cerchiamo una risposta alle nostre angosce quotidiane» «Noi, pellegrini notturni nelle cattedrali dello sballo» MILANO ELLA guazza di una sera d'inverno, più grigio appare il grigio dei palazzi, più insensata la geometria di questo luogo informe e remoto. E Sesto San Giovanni non è solo il ritratto fisico di questa cartolina della notte, è anche il simbolo un po' triste e dolente di un percorso che si smarrisce, di un racconto che si perde a metà strada nella bolgia della musica, nel bagliore furioso delle luci stroboscopiche, rimaste a segnare un mondo che forse non diverte più, ma ancora imprigiona, stordisce, annienta. In fondo, il viaggio nelle discoteche non poteva che cominciare da qui, dove discoteche non ce ne sono, ma c'è un pezzo del suo popolo, disperato e decadente, che si mette-in marcia nella notte per cercare una rabbia e una musica. E dove il grigio dei palazzi era il colore persino tenero, legato al sudore dell'altoforno, alla fatica degli operai, alla miseria di un piccolo ideale, e adesso invece è rimasto soltanto la superficie di una muraglia screpolata. Inzeppati dentro una macchina, la portiera spalancata, sotto la pioggia che^ la sera si incolla contro i vetri, Fiorenzo Bortolami e i suoi tre amici aspettano di partire da questa piazza nuova nel cuore di Sesto San Giovanni che si chiama 01drini ed è disegnata come nei plastici dei modellini. Da Milano si va verso Rimini, dove la notte sarà più spensierata. Si vain una cattedrale del nulla, lontana sul mare, al Cocoricò o al Byblos, che scoppietta di musica e di sensazioni. Eccolo, quel che è rimasto del popolo della notte. Fiorenzo non ha un lavoro, e anche Antonio non ce l'ha più, perché la Falck di Sesto ha appena chiuso. Gianni Monaca ha 24 anni e studia ingegneria, suo fratello Carlo ne ha tre di meno e non studia neppure. Quello che cominciamo oggi assieme a Fiorenzo e ai suoi amici è un viaggio in questo mondo, in quel che rimane della grande industria del divertimentificio, e che è diventato anche un viaggio nella morte, nella droga, nella disperazione. Settemila giovani sono morti sulle strade nel 1994, di notte, tornando dalle discoteche dell'ecstasy. Centinaia di ragazzi vengono ricoverati nelle comunità e negli ospedali. In stato confusionale, collassati, disidratati. Per questo psichiatri, psicologi, carabinieri e polizia urlano l'allarme contro la nuova minaccia. E poi i giudici che hanno più volte denunciato l'emergenza sulle droghe sintetiche, spiegando che l'Lsd è tornato sulla piazza, e in cinque anni si è passati da 2800 dosi sequestrate a 238 mila. Ed è soprattutto il consumo dell'ecstasy a crescere vertiginosamente: se nel 1990 furono sequestrate 1691 «pillole della felicità», come vengono illusoriamente chiamate, nel '94 le pastiglie recuperate dalle forze dell'ordine sono state 36 mila, e nel '95 ancora di più. Ma tutto questo è diventato anche un viaggio nella crisi, come avverte Giorgio Pioggia, da Rimini, segretario provinciale del sindacato dei locali da ballo: «Prendiamo questo Capodanno. E' stato il peggiore degli ultimi anni, a parte qualche rara eccezione. Purtroppo, questo per le discoteche è l'inizio della fine». A dicemhre, poi, aggiunge Gianni Fabbri, patron del Paradiso, uno dei locali storici di Rimini, «le discoteche hanno subito un calo del 30 per cento. Forse abbiamo drogato il mercato, e non basterà una semplice pennellata per riportare I la gente in discoteca». In mezzo a questa crisi, ci sono locali costretti a pagare anche 30 buttafuori per difendere un po' d'ordine, come il Cocoricò di Riccione, e ce ne sono altri che si riempono di evocazioni, richiami, oppure di sale per cartomanti, o di palestre, per rincorrere le mode e le illusioni di un mondo che solo apparentemente è fuori di qui, da queste mura. E così anche il viaggio di Fiorenzo e dei suoi amici finisce per diventare un viaggio dentro la loro vita, gli stessi simboli, la stessa insensata ricerca di felicità. Alle nove della sera, stanno fermi nella piazza nuova di Sesto San Giovanni, in macchina. Lo stereo è al massimo, e tutta la strada ne rimbomba. Improvvisamente, dai finestrini abbassati parte un lancio di bottiglie che si infrangono contro le mura di fronte. Attorno, fuori di qui, una triste muraglia crettata di cemento ha ricoperto una campagna che doveva ricordare qualche storia antica, una melodia fatta di sussurri, di note lente, e che adesso più in là dove non arriva lo sguardo resiste ancora bella, via via ingoiando casali, pascoli, giardini. Caseggiati lunghi chilometri fanno da fondale a un reticolo di strade minime che non portano da nessuna parte, in nessun luogo, che si perdono nelle discariche, si infognano negli spiazzi terrosi gonfi di pioggia. Tutto sembra già guasto, smangiato, sfondato. Che cosa c'è di diverso nel viaggio che Fiorenzo, Antonio, Carlo e Gianni percorrono fino a Rimini, lungo i campi e le ciminiere e le città che sfilano nella notte nera? Che cosa c'è di diverso, in una discoteca qualsiasi con la musica che rimbomba come in quello stereo della macchina, con la gente che appare e scompare fra i barbagli di luce? Quella genesi, quell'atto di nascita, quel senso di esclusio- ne restano, non si cancellano, ma si perpetuano. Non è solo una distanza fisica dagli scenari di una città vera, ma è soprattutto una distanza psicologica, la sensazione di essere fuori, la rabbia di essere altro anche dal mondo della tivù, dei caroselli, degli amori felici e delle storie minime raccontate dal cinema e pure dalle canzoni. Anche per questo, per tutto questo, il viaggio è come lo sballo del sabato sera, una corsa sfrenata che non conosce mia logica, che non insegue la ragione. E Fiorenzo può ricordare e raccontare, senza un'emozione, di quella volta che vide la morte: «Eravamo usciti dal Sesto senso, sul Garda, era qualche anno fa. Tornavamo indietro. L'abbiamo visto sul ciglio della strada. La macchina distrutta, in fondo al fosso. Lui illeso, per miracolo. Lei era morta. Eravamo insieme fino a poco prima. Lui aveva bevuto, avevamo tutti bevuto». In fondo, si chiede Marco Lanzoni, 32 anni, «perché tanto scandalo se un giovane muore in un incidente dopo essere stato in discoteca? Questa è la logica sacrificale dell'esistenza. Se uno si alza alle cinque del mattino per andare a lavorare va bene, se uno va a letto alle cinque per divertirsi va male. Ma perché non ci domandiamo quali sono gli spazi di crescita in questa società, quali sono i rapporti dei giovani con la società dei consumi? La risposta alle nostre angosce sta lì. Non negli orari delle discoteche». Che poi i locali da ballo siano costretti a chiudere alle quattro, come in Veneto, o alle quattro e mezzo come in Romagna, o addirittura senza orario come a Milano, poco importa. Il problema, dice Gianni Fabbri, è un altro, «ed è che sono i giovani che hanno bisogno dello sballo il sabato sera. Non serve a niente chiudere un luogo, vietare gli alcolici, fermare la musica alle tre anziché alle cinque. Sono loro che vogliono bere e scappare, che hanno voglia di questo, e nient'altro». Quelli come Fiorenzo che abbracciano una bottiglia e cercano una doima. E la tristezza in questo quadro non è solo un'impressione. Quante ce ne saranno come Cristina Ricci, una ragazza che ha lavorato tanti anni in una discoteca e poi ha smesso: «Perché non ne potevo più, di stare a parlare con gli ubriachi e gli sfigati del mondo. Donne senza amore e uomini senza futuro. Mi deprimeva troppo, non ce la facevo più». Chissà perché a noi è tornata in mente Sesto San Giovanni. E adesso, quando alle quattro il dj ordina il rompete le righe, tutti vanno alle macchine, come tanti soldatini. Un furgone della polizia sorveglia, senza fermare nessuno. Qui fuori, quello che si scorge è un luogo livido, rabbioso, né città né campagna, né passato né futuro. E allora Fiorenzo può ripartire, con i suoi amici che hanno gli occhi fermi, «e adesso basta, tiriamo avanti», fino a che il giorno non avrà ripreso il suo posto, e qualcuno parlerà di niente, e se uno sentirà un peso al petto o un bruciore agli occhi darà la colpa alle sigarette, al vino, ai chilometri. E' tutta qui la vita, così piccola. E siamo di nuovo a Sesto San Giovanni, corso Italia, siamo già arrivati. E Fiorenzo e i suoi non hanno niente da scegliere. Non possono smettere. Pierangelo Sapegno ARRIVA IN DISCOTECA PER BALLARE 83% PER ASCOLTARE MUSICA 60% PER TROVARE UN PARTNER 16% [25 PER 1MASCHI] PER AVERE AWENTURE SESSUALI 9% [ 15 PER 1 MASCHI] ORE 2-4 IN QUESTO PERIODO LA MAGGIOR PARTE DEI GIOVANI, SOPRATTUTTO LE RAGAZZE, RIENTRA A CASA ORE 6 UN 36% DEI GIOVANI AMA FARE L'ALBA IL CONSUMO Dl DROGHE NESSUN CONSUMO 62% FUMASPINELLI 28% ALTRE DROGHE LEGGERE [COCA, ECSTASY] 6% i llii i A Riccione trenta buttafuori tutelano l'ordine in un dancing Una dj accusa «I ragazzi hanno voglia di bere e ruggire» Morire per andare in discoteca? Fa parte della logica della nostra vita E chiudere prima i locali è una semplice ipocrisia» Due immagini del «popolo della notte» La discoteca rimane uno dei divertimenti preferiti dai giovani italiani

Persone citate: Cristina Ricci, Da Milano, Fiorenzo Bortolami, Gianni Fabbri, Giorgio Pioggia, Marco Lanzoni, Pierangelo Sapegno