Le festose elezioni del pifferaio Arafat di Fiamma Nirenstein

1 PALESTINESI Le festose elezioni del pifferaio Arafat 1 PALESTINESI PROVANO LA DEMOCRAZIA TEL AVIV OMANI sera, prima di Ramadan, tutte le operazioni di voto delle prime storiche elezioni palestinesi saranno compiute. Arafat vincerà, e su questo non c'è alcun dubbio. Anzi, in queste ore, dopo un'accurata orchestrazione delle Uste della campagna, sta cercando di non stravincere, perché la legittimazione sia più autentica anche agli occhi dei sostenitori internazionali, così sensibili ai diritti civili, a quel confronto delle idee che nel mondo islamico non è poi tanto popolare. I grandi centri sono pieni di rumori e colori, le mura tappezzate di ritratti sorridenti di uomini dall'aria soddisfatta, ricca, oppure guerriera, prevalentemente giovani e baffuti; le donne rappresentate sui cartelloni pubblicitari, poche, sono tutte quante, compresa la austera Hanan Ashrawi, che si presenta a Ramallah, con un tocco di gusto orientale, le guance molto rosa, i capelli e gli occhi molto neri. Ramallah è tutta imbandierata, pavesata, gli altoparlanti dalle macchi- ne in tutta la West Bank e a Gaza invitano a votare per questo e per quello, oppure a incontrare personalmente il candidato, si tengono assemblee collettive o per categoria, oppure incontri mirati. Esistono candidati ricchissimi, come Abu Farej Kaddura, di Betlemme, che basano la loro campagna su un'indispensabile promessa di benessere in luoghi dove manca tutto, l'acqua, la luce,, il telefono e le infrastrutture basilari come le fogne. Questo tipo di candidato arriva su una Mercedes bianca, veste all'occidentale, è famoso per come parla bene l'ebraico e per come sa fare affari con tutto il mondo e in particolare con l'ex nemico. Di loro un ragazzo palestinese, che tradu¬ ce per noi, dice: «E' gente made in Israel». Meglio questo, comunque, che essere, per esempio, un «kitkat»; questi, ci spiega Ù nostro amico, sono candidati grassottelli e viziati, che vengono da Tunisi, che non sanno cos'è l'Intifada, burocrati molli come cioccolatini, spaventati davanti ad Arafat, pronti a sciogliersi. Ci sono invece candidati come «Little Arafat», il generale Abu Khaled, un valoroso combattente esperto di tutti gli esilii, che in campagna elettorale esibisce soprattutto la sua esperienza di guerriero. Alcuni candidati, fra le proteste degli israeliani, hanno messo il Kalashnikov sulle loro insegne elettorali: programma elettorale più chiaro non potrebbe esistere. I campi profughi nelle città appena liberate sono l'epicentro dell'eccitazione. Ma la campagna elettorale è molto intensa anche fra i fellah, i contadini che vivono in piena West Bank, dove ad occhi socchiusi ci sembra che il paesaggio sia quello toscano. Gli ulivi sono antichi, i cipressi magri e neri li accompagnano sui terrazzamenti. Le case come quella dove vive la figlia di Abu Jihad, il braccio destro di Arafat ucciso da un commando israeliano a Tunisi nell'88, sono case armoniose, basse, fatte di pietra. Ad occhi spalancati tutto appare molto più povero e abbandonato. Ma Hanan, che si ricorda come il capo del commando entrando nella sua casa a Tunisi a volto scoperto le disse in arabo «Corri dalla mamma» e poi sparò a suo padre, oggi è finalmente tranquilla. Ci riceve in ima grande tenda piazzata sull'aia davanti a casa, tappezzata di foto di suo marito Ahmad Edik, un palestinese yuppie, finalmente senza Laffi, biondo, di modi raffinati. E' candidato nelle liste di Fatah e lo è anche la madre di Hanan, Umm Jihad, come dire Madre Jihad, la vedova dell'eroe. La mamma è candidata a Gaza ed è la grande favorita, una politica consumata, dinamica, molto emancipata. Il marito Ahmad Hanan lo incontrò al funerale del padre: «E poi cominciò a venire tutti i giorni a casa a trovarmi». Ha quasi vent'anni più di lei, ma lei ne ha solo 23. Ora dopo tanti anni di esilio è tornato come candidato molto appoggiato da Arafat, ha le sue radici nella campagna di Kift, vicino a Salpit. Una zona a cui manca tutto. Il padre contadino di Ahmad parla solo di prigionieri politici; se non torneranno, dice, tutto il processo di pace andrà all'aria. Ahmad, come per esempio Hanan Ashrawi o altri candidati, parlano poco di argomenti politici nelle loro riunioni. Toccano i temi della democrazia, o delle donne, ma prevalentemente non è questo il punto. Lo scontro ideologico è minimo in questa campagna a cui infatti Hamas non partecipa direttamente. Nessuno litiga sul fatto se sia opportuno o no portare avanti il processo di pace. I candidati discutono soprattutto di che cosa bisognerà fare nel futuro, di una vita migliore, di dove si troveranno i soldi per costruire le case e le fognature. In queste elezioni dove il partito di Arafat è praticamente un manto che tutto avvolge, lo scontro semmai è tra i capi dell'Intifada (di cui fa parte anche la vecchia leadership locale) e il gruppo dirigente di Tunisi da poco immigrato con Arafat. Poi ci sono anche le grandi famiglie, che però a loro volta in parte hanno messo il loro potere (controllano fino a cinquemila voti) a disposizione di Arafat. Il dolce sapore della libertà sembra in queste ore placare gli scontri interni, che pure certamente riappariranno a elezioni compiute. Le parole magiche «democrazia», «Parlamento» hanno un suono un po' arcano e misterioso in questo mondo arcaico. Ma come un pifferaio di Hamelin, vengono seguite, oggi, senza troppo chiedere. Fiamma Nirenstein \-«-:>, XVi ,..±..1..' .,i..-.:|3 La prima volta dei palestinesi: il manifesto che spiega loro come votare [foto ansa]

Luoghi citati: Betlemme, Gaza, Tel Aviv, Tunisi