«Questa Germania è anche di noi ebrei»

7 «Questa Germania è anche di noi ebrei» COHN-BENDIT CONTRO BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Gli ebrei possono continuare a vivere in Germania nonostante i roghi e le stragi neonaziste, nonostante Moelln, nonostante Solingen, nonostante - ma il dubbio ancora si impone, sulle cause della catastrofe dell'altra notte - i morti straziati di Lubecca? La polemica innescata dalle dichiarazioni del presidente israeliano Ezel Weizman, durante la sua recente visita ufficiale a Berlino e a Bonn, si infiamma: dalle colonne della «Zeit» replica al capo dello Stato ebraico Daniel Cohn-Bendit, ebreo cresciuto in Francia (dove rimase fino al '68, quando fu espulso dopo i moti studenteschi di maggio, dei quali fu protagonista) e residente da allora in Germania. «Le parole di Weizman non mi hanno soltanto ferito. Mi hanno anche fatto arrabbiare», scrive Cohn-Bendit, che chiede di rimando a Weizman: «Se dopo Auschwitz gli ebrei non possono più avere una patria in Germania, lo stesso dovrebbe valere per gli zingari, per gli handicappati, per gli omosessuali». Non solo: «Come potrebbero i tedeschi che sono nati dopo il 1945, soprattutto loro, vivere in Germania?». Quando il presidente israeliano si riferisce agli attentati contro gli stranieri e gli ebrei in Germania, aggiunge l'ex leader del '68 francese, «tocca certamente un punto dolente della storia tedesca di oggi». Ma la Germania, ribatte CohnBendit, non è soltanto Moelln, non è soltanto Solingen: «Non dovrebbe dimenticarsi, Weizman, che milioni di persone, da Monaco ad Amburgo, sono scese per strada a dire di no al razzismo». Dopo la «Notte dei cristalli» al contrario, che nel '38 avviò il sistematico terrore antisemita, «milioni di persone rimasero nelle loro case, come se non conoscessero neppure gli ebrei dei quali erano amici fino al giorno prima». Molto è cambiato, dunque, dai tempi del nazismo, la Germania oggi è una democrazia europea che deve certo continuare a interrogarsi su un passato difficile, tremendo. Il problema degli ebrei tedeschi perciò non va risolto per vie capaci soltanto di aggravare la comprensione e la convivenza: «Bisogna soprattutto capire che molti ebrei preferiscono vivere nella diaspora. Per me - per dirlo con una provocazione - Israele significa la fine dell'ebraismo e l'inizio della coscienza nazionale israeliana. Io ho una idea dell'ebraismo diversa da quella di Weizman. Cresciuto in Francia e da anni in Germania, non soltanto mi sento un cosmopolita a proprio agio nella diaspora, ma amo ogni società multiculturale che cerca di superare il pensiero etnico unidimensionale». Ec¬ co allora la conclusione - soltanto in apparenza paradossale - di Cohn-Bendit, ecco il senso della sua replica polemica a Weizman: «Prima del 1933 vivevano in Germania più di mezzo milione di ebrei. La Germania troverà la pace con se stessa e la sua storia soltanto quando molte centinaia di migliaia di ebrei forgeranno, insieme con musulmani, cristiani e atei, la Germania del futuro». Per dirla altrimenti: «Quando ci si sarà di nuovo assuefatti alla possibilità che gli ebrei in Germania possano essere imprenditori e operai, banchieri e debitori, conservatori e Verdi, ministri e autonomi, puttane e ladri, allora l'essere ebreo in Germania sarà diventato una cosa normale. Vale la pena di lottare, per questo». [e. n.j Nelle foto in alto l'ostello in fiamme di Lubecca e i primi soccorsi ai feriti Qui sopra Cohn Bendit [FOTO ANSA-REUTER]