Lidia Rolfi, le piaghe della maestrina ribelle di Mirella Serri

Lidia Rolfi, le piaghe della maestrina ribelle Morta a 70 anni la staffetta partigiana che, diventata scrittrice, ha raccontato la vita delle donne nel Lager Lidia Rolfi, le piaghe della maestrina ribelle Dopo le violenze dei nazisti, il difficile reinserimento nella scuola ETORINO A maestrina che non si era voluta piegare. Poco dopo le vacanze cu Pasqua, l'insegnante ribelle Lidia Beccaria Rolfi, che il direttore didattico aveva più volte chiamato a rapporto per vietarle di scendere in bicicletta a Saluzzo, di indossare i pantaloni (indecenti per una donna), di frequentare ragazze che si sospettavano in collegamento con i partigiani, verso le 6 del mattino del '44 vide irrompere in casa sua le Brigate Nere. Dai fascisti la Beccaria Rolfi, staffetta partigiana, fu consegnata alla Gestapo e poi alle SS. Fu internata nel campo di concentramento di Ravensbruck dove iniziò il suo calvario destinato a durare fino al '45. La Beccaria Rolfi aveva dedicato il suo primo libro alla raccolta (con Anna Maria Bruzzone) di testimonianze delle donne del Lager di Ravensbruck. La successiva fatica è il bellissimo racconto (uscirà a giorni da Einaudi) L'esile filo della memoria, che l'autrice ha avuto appena il tempo di vedere stampato: è scomparsa l'altro ieri notte, a 70 anni, dopo una lunga malattia. «Aveva iniziato a scrivere questo romanzo sapendo che non le restava ancora molto tempo da vivere» ricorda commosso Nuto Revelli, amico di lunga data, che l'aveva conosciuta ventenne, appena rientrata dalla Germania a Mondovì, dov'era nata. «Questo libro mi ap¬ pare come il suo testamento spirituale: Lidia era una donna forte, tenace, che ha svolto un'intensa e faticosa attività soprattutto presso i giovani. In particolare andando a parlare nelle scuole, tenendo conferenze per mantenere vivo il ricordo delle violenze subite. Sapeva bene come fosse difficile comunicare agli altri la sua esperienza di deportata: sia quelli che oggi ne sanno molto poco, sia chi ha vissuto in maniera troppo superficiale il dramma della guerra». La ventenne Lidia, di ritorno da Ravensbruck, di persone per nulla disposte a capire ne incontrò molte. L'esile filo della memoria comincia il racconto proprio quando la maestrina vide aprirsi le porte del famigerato Lager e ritrovò la libertà. Lei non poteva saperlo, ma per un ex internato, e soprattutto per un ex prigioniero di sesso femminile, s'iniziava un'altra strada difficile da percorrere. «Quando la conobbi era molto chiusa in se stessa» ricorda ancora Revelli. Lidia si trovò davanti un muro di gomma, in cui le componenti dell'incomprensione o della voluta emarginazione furono molteplici. Le ferite che le veimero infette furono intenzionali oppure frutto di ignoranza e di disinformazione. Erano affettuosi amici di famiglia quelli che, ritrovandola dopo mesi di prigionia, le dissero che «poi in Germania non doveva essere tanto male, visto che dalla Germania sono tornati tutti, meglio che essere in guerra in Russia o in Africa». Invece un'altra domanda che la perseguitò per anni, come un Leitmotiv, fu se i tedeschi, come si fa di solito con le prigioniere di guerra, «avessero abusato di lei». Glielo chiesero i soldati russi che incontrò sulla via del ritorno affamata, ricoperta di stracci, con il corpo piagato. Le ripeterà lo stesso identico interrogativo, cinquant'anni dopo, una conduttrice del Tg2. «Quando le risposi: "Se allude alla violenza sessuale, guardi che noi eravamo schiave dell'industria tedesca", mi tolse il microfono», raccontò poi. La Beccaria Rolfi si trovò alquanto isolata anche nel gruppo degli ex internati, dove le donne erano pochissime, a volte guardate con diffidenza. E fu difficile pure il reinserimento nella scuola: Lidia continuerà a sentirsi una «diversa». Sempre spinta, però, dal desiderio di «raccontare a chi non sapeva o si rifiutava di sapere. Per venir fuori da quella spirale pericolosa era meglio tacere, adeguarmi alla vita delle mie coetanee, pensare al futuro, agli esami, ai vestiti, alle vacanze, illudermi che Ravensbruck non fosse mai esistito». Ma Lidia ha preferito sempre fare a meno delle facili illusioni. Anzi le ha buttate nella spazzatura: per tutta la vita, sino alla fine, ha continuato a ricordare e a raccontare. Mirella Serri Il ricordò commosso di Nuto Revelli, mentre l'ultimo libro sta per uscire da Einaudi Lidia Beccaria Rolfì in una foto di alcuni anni fa: catturata nel 1944, passò un anno nel Lager di Ravensbruck

Luoghi citati: Africa, Germania, Mondovì, Ravensbruck, Russia, Saluzzo