I cespugli salgono al Colle è Fora dello spezzatino di Filippo Ceccarelli

I cespugli salgono al Colle è Fora dello spezzatino I cespugli salgono al Colle è Fora dello spezzatino IL DIARIO DELLA CRISI E ROMA vabbe' che Carlo Ripa di Meana, a nome dei Verdi, ha detto no a un «governo-timballo, infarcito - come ha voluto chiarire - di tutte le spezie e di tutti i sapori», ma il terzo giorno di consultazioni al Quirinale è stato soprattutto quello dello spezzatino. 0 del fritto misto - se si vuole restare alla metafora gastronomica - del pasticcio di maccheroni, del minestrone surgelato e della macedonia decomposta di partiti e partitini saliti al Colle a testimoniare di nuovo, davanti alle telecamere, gli effetti perversi del prolungato big bang partitocratico. Giornata di cronache, perciò, lievemente lunari. Quasi tutti inspiegabilmente ottimisti, tanto per incominciare, con Bordon, per I democratici, che nella crisi intravede una fanta^ stica «finestra spazio-temporale»; Segni, dell'omonimo Patto, che annuncia la possibilità di dare all'Italia «uno Stato forte»; e Boselli, dei Socialisti Italiani (comprensibilmente presentati nel Calendario ufficiale come Socialisti Progressisti) che parla di occasione «unica e irripetibile». «Mai come in questo momento - ha poi scandito il laborista Spini sotto gli occhi del senatore Sellitti che non stava nella pelle per dire la sua - ci sono le condizioni per un accordo». Sarà. Già meno convinto, infatti, Leoluca Orlando, dimagrito e vagamente somigliante a Felipe Gonzales, che dal podio ci ha tenuto a far sapere di esser venuto lì da Strasburgo. Ripa di Meana, bello come al solito, aveva dietro tre parlamentari, e a parte la felice immagine del timballo - e la proposta di far esplorare Napolitano - è riuscito a infilare nel breve speach pure i frigoriferi che bucano l'ozono e il cardinal Martini. L'estesissimo rito consultatorio, nel frattempo, procedeva con la grazia di una catena di montaggio: valletti in polpa che aprono il portone, luci abbaglianti che si accendono, delegazione che esce; sorrisi, «buongiorno» (o «buonasera»), dichiarazione del leader, domande dei giornalisti, cortesemente avvicinati da una specie di bastone-microfono (bisogna subito dire nome e testata, in modo che Scalfaro, nel suo studio, possa capire in bassa frequenza da dove nascono). E infine i saluti e gli auguri di buon lavoro. Sullo sfondo, un arazzo con un paio di putti che si danno i bacetti e due corazzieri. Uno dei quali, irrigidendosi nel saluto militare, a un certo punto stava per fare secco il pattista Gianni Rivera, che alla tribùnetta ha mormorato: «Ho rischiato un occhio». Solo nel torpore del dopo-pranzo, mentre stava per iniziare la passerella della Lif, Lega italiana federalista, la macchina è parsa muoversi in ritardo. Ma poi anche il leader Ellero, accompagnato dall'onorevole Caselli e dal senatore Rosso, ha avuto i suoi primi cinque minuti di cele- brità al Quirinale. Dieci delegazioni, comunque, ieri. L'ultima, intorno alle 19,30, era costituita dall'ex re- pubblicano Gualtieri in rappresentanza della «Sinistra democratica» del Senato. Nessuno gli ha chiesto chiarimenti, come invece era accaduto poco prima all'ex democristiano Buttigliene, ora Cdu. E tuttavia nulla più di questa automatica sfilata di cespugli è riuscita a comunicare quel che comporta, pure in termini di mesta e rassegnata spettacolarità, una crisi con 26 (ventisei) distinte consultazioni e un'ottantina di personaggi che vanno e vengono come coriandoli fuori stagione, naufraghi nemmeno troppo allegri. Di qui l'interrogativo: quando mai si metteranno d'accordo? L'inesorabile molteplicità dei partitini, oltretutto, è vissuta un po' da tutti come una sorta di vergogna nazionale, il frutto marcio di una classe politica che proprio puntando a un'auspicabile semplificazione ha prodotto al contrario la più sconsolante e variopinta polverizzazione. E così, additati al pubblico ludibrio come generici, nel migliore dei casi, o come comparse, ieri i cespugli un po' apparivano contenti perché dopotutto si sono beccati la loro dose di visibilità, ma un altro po' seni- bravano anche scusarsi. Con molta onestà l'ha riconosciuto Bordon: «La presenza, nelle consultazioni, di 26 forze politiche, o presunte tali, a cominciare da chi vi parla, è la dimostrazione di una patologia». «Piccoli partiti - ha premesso sintetico Boselli con i giornalisti - dichiarazioni brevi». Solo da Ellero è parsa giungere un'orgogliosa rivendicazione di ruolo: «Noi siamo battaglieri e vivaci, anche se non ci danno spazio». Ce l'aveva, come sempre, con la Rai. Ma anche lui ha poi dovuto definirsi «forza medio-piccola». Il che è suonato come un preventivo scarico di responsabilità rispetto ai problemi veri della crisi. Per il resto lo spezzatino, il pasticcio, il minestrone o la macedonia non hanno offerto troppi altri brividi. Come se fosse davvero di un qualche rilievo, hanno tutti spiegato la loro rispettabilissima posizione, stando però bene attenti a non palesare, per il dovuto riserbo, quel che Scalfaro gli aveva risposto. Solo l'incauto laborista Sellitti non ha resistito alla tentazione e a sorpresa, in una botta di protagonismo, si è lanciato sul microfono rivelando che il presidente li aveva «fortemente confortati» nel no all'esploratore. Spini l'ha subito fulminato intimandogli un doveroso silenzio. Ma era troppo tardi e poi, in fondo, si sapeva già. Filippo Ceccarelli Da Scalfaro sfilano dieci partitini quasi tutti inspiegabilmente ottimisti Ripa di Meana: no al governo-timballo Bordon: siamo troppi Ormai la situazione è diventata patologica Enrico Boselli qui a fianco e Willer Bordon nella foto a destra sono stati ricevuti da Scalfaro per le consultazioni

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