«Germania, io israeliano non posso perdonarti» di Emanuele Novazio

«Germania, io israeliano non posso perdonarti» OLOCAUSTO Duro discorso di mezz'ora in ebraico, e un monito: strappate alla radice ogni germe di neonazismo «Germania, io israeliano non posso perdonarti» // presidente Weizman al Bundestag: questa non è una visita facile BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ha scelto l'ebraico perché «era la lingua delle grida nelle camere a gas», ha scelto l'ebraico perché «è simbolo e prova della nostra rinascita». E il Bundestag in sessione congiunta col Bundesrat, le due Camere insieme per un avvenimento che entrerà nella storia, lo hanno ascoltato come fosse una scossa. Con una tensione turbata e commossa che fasciava il silenzio, con una emozione che colmava l'aula di vetro nella quale era un intero Paese a fare i conti col proprio passato. Per mezz'ora, ieri mattina, il discorso del presidente israeliano Ezer Weizman davanti al Parlamento tedesco - il primo di un capo dello Stato ebraico, il primo di un capo di Stato nella Germania riunificata - è stato una coraggiosa rinuncia ai luoghi comuni del protocollo e dei doveri ufficiali. Per mezz'ora, Ezer Weizman ha rovistato nella forza eversiva della memoria, ha evocato una confessione e un giudizio che è possibile non condividere, ma che non è possibile eludere: «Non è una visita facile, questa. Come presidente dello Stato di Israele, posso piangere e commemorare le vittime dei lager. Ma non posso perdonare a nome loro». Per mezz'ora, le parole di Weizman sono state il segno doloroso e severo che fra Israele e Germania la «normalità» non c'è ancora, nonostante «l'amicizia e la collaborazione in campo economico e in molti altri ancora», come il Presidente ha ricordato ai deputati tedeschi. Il segno che le relazioni fra Germania e Israele rimangono, ancora oggi, «speciali». Che bisogna aspettare, che c'è ancora molto da fare e che anche il tempo è speciale, quando si parla di Olocausto e di lager: «Soltanto 50 anni, un attimo nella lunga storia del mio popolo, sono passati dalla fine di una guerra orrenda. Non è faci¬ le per me visitare il campo di concentramento di Sachsenhausen, non è facile per me essere in questo Paese, ascoltare i ricordi e le voci che gridano verso di me dalla terra. Non è facile essere qui e parlarvi, amici miei di questa casa». La Germania di oggi non è più quella di allora, gli aveva detto poco prima il presidente del Bundestag Rita Suessmuth, in un sobrio discorsa di benvenuto che ha dato voce al desiderio sincero - nella stragrande maggioranza dei tedeschi di oggi - di «tornare normali», di essere finalmente in pace con la storia e con le memorie più cupe del proprio passato: «Lei è in un Paese diverso, democratico, europeo, che ha imparato la lezione dall'odio e dal genocidio ed è consapevole delle sue responsabilità». Weizman le ha risposto, ancora una volta, ripensando un passato che ha impresso il marchio dello sterminio e dell'odio, sulla storia di un popolo e d'Europa, del mon¬ do: «Walter Rathenau, Martin Buber, Albert Emstein sono soltanto alcuni nomi che questo Paese ha ben conosciuto. Fra i miboni di bambini del mio popolo che i nazisti hanno ucciso, c'erano altri nomi che potremmo ricordare con lo stesso rispetto. Ma quei nomi non li conosciamo. Quanti libri che non sono mai stati scritti, sono morti con loro? Quante sinfonie che non sono mai state composte, sono soffocate con loro? Quante scoperte scientifiche non hanno potuto maturare con loro? Ognuno di loro è stato ucciso due volte: la prima volta era il bambino che i nazisti hanno trascinato nei lager, la seconda volta era l'adulto che non è riuscito mai ad essere». Se dunque c'è spazio per l'amicizia e la collaborazione, il perdono rimane la soglia che ancora non si riesce a varcare, è il messaggio che Ezer Weizman ha portato con sé - 50 anni dopo - in Germania. Insieme con lui, nell'aula del Bundestag stordita, c'erano l'orma della catastrofe che accompagna il secolo arrivato alla fine. E un appello, segno di speranza e condizione estrema di normalità: «Posso soltanto chiedervi di guardare al futuro con la consapevolezza del passato. Di riconoscere ogni sentore di razzismo, di an¬ nientare ogni sentore di neonazismo. Posso soltanto chiedervi di guardarli con coraggio e di strapparli alle radici: perché non crescano, perché non diventino mai rami e alberi». Emanuele Novazio Il presidente israeliano Ezer Weizman durante il discorso tenuto al Bundestag

Persone citate: Albert Emstein, Ezer Weizman, Martin Buber, Rita Suessmuth, Weizman

Luoghi citati: Europa, Germania, Israele