Doppiogioco tra fotografo e artisti

Spettacolare esposizione milanese dedicata a Gianfranco Gorgoni Spettacolare esposizione milanese dedicata a Gianfranco Gorgoni Doppiogioco tra fotografo e artisti Diapositive ridipinte da pittori e scultori MILANO ARTE fotografica di Gianfranco Gorgoni, attorno a cui mota l'originale mostra «Acfuattromani» - a Palazzo Reale fino al 4 febbraio -, ha il potere di sintetizzare una caratteristica fondamentale del linguaggio artistico della seconda metà del nostro secolo: il superamento di ogni separatezza fisica e concettuale fra le varie forme espressive e della loro osmosi convergente in una sorta di «fusione», prendendo a prestito il termine dalla contemporanea sperimentazione musicale «di confine». Introducendo il catalogo Hopefulmonster della mostra (organizzata da Maria Rosa Sandretto), il critico Germano Celant si esprime in questi termini sull'arte di Gianfranco Gorgoni: «La sua forza sta nell'attendere e nel fissare le immagini che nascono spontanee ed eccessive, in un abbraccio fusionale, in cui la funzione di mediazione della fotografia viene cancellata». E ancora: «Il risultato è un'accezione forte del processo visivo che segnala l'irruzione sulla scena di un doppio che rispecchia un altro doppio, quello fra arte e fotografia. Di un'immagine che vive per un'altra immagine» Il cinquantacinquenne Gorgoni, che vive fra New York, L'Avana e Milano, da più di vent'anni fonde in immagini di grande creatività opere e artisti della cultura concettuale, comportamentale, ambientale, neoespressionista in cui sono tutt'uno l'artista, le sue procedure e atti, il prodotto visivo finale, con cui si confronta dinamicamente Inocchio» alternativo e paritetico dell'obbiettivo fotografico; di qua e di là dall'Atlantico ritrae all'opera De Kooning e Rauschenberg, Schnabel, De Maria, Serra, LeWitt, Nauman e Beuys, Merz, Kounellis, Paolini. Su questa base di partenza, l'esposizione milanese si trasfonde in mostra-spettacolo con una sorta di gioco al rialzo, coinvolgente ulteriormente gli artisti stessi e il visitatore. Innanzitutto, le diapositive scattate lungo vent'anni sono state proiettate e stampate con ricchi effetti pancromatici su grandi teli, con risultati di pittoricità neodadaista ben noti a partire da Rauschenberg. A questo putito, su questo primo grado di intensificazione espressiva di un'immagine che già aveva modulazioni assai varie a seconda dell'artista e dell'opera - dall'oggettivazione psicologica alla spe¬ rimentazione ottica d'avanguardia storica -, sono intervenuti in misura maggiore o minore gli artisti con le loro peculiari procedure e materiali: un vero e proprio, e straordinario, «gioco di sponda». Con un accento umano che vivifica la rarefazione del gioco intellettuale prevalente, la mostra è dedicata allo scomparso Alighiero Boetti. Nel suo caso, l'immagine scattata a Roma nel 1976 ò «segnaletica», ma specularmente sdoppiata, in coerenza con il suo sdoppiamento concettuale in Alighiero & Boetti. Sdoppiata e speculare è anche l'immagine di Mondino: qui il gioco è fisiognomico, su se stesso; il pittore mette da parte il suo giocoso kitsch islamico per dipingersi volto e penne come confronto fra due capi indiani, forse Cavallo Pazzo e Toro Seduto. Tutta giocata sul suo usuale neoespressionismo è la ridipintura integrale da parte di Chia, quasi uno spreco rispetto all'espressionismo classico della fotografia scattata a Montalcino nel 1994, con l'artista-Rambo sovrastato dal nero controluce di una casa da Nosferatu. In altri casi, fra scultura e poverismo, l'autore interviene sulla propria immagine «ambientata» - fra le opere, come Spagnulo - con forme e materiali suoi tipici: Kounellis, Mattiacci, Paladino, Pomodoro, Zorio; di grande eleganza l'intervento di Nunzio, che fa coincidere le venature di un grande tronco fotografato con quelle della sezione di tronco sovrapposta. Merz sovrappone ad una forte immagine di se stesso in uno sfocato intemo di chiesa l'inizio della consueta serie di Fibonacci al neon. Gastini e Paolini, con le loro diverse alternative linguistiche, entrano al meglio nello spirito del «gioco di sponda»: il primo sovrappone all'immagine che lo ritrae dall'alto su una base di amatissime «beole» i suoi scarti lignei; il secondp sparge sopra e al di fuori della foto che lo iconizza sullo spigolo fra due stupendi muri medioevali di San Gimignano, matita e foglio in mano, i frammenti di una grande fotocopia della sua tipica immagine metaforica di mano-meridiana con tracciato astrologico. Con De Dominicis l'osmosi concettuale fra fotografo e artista si estremizza: nessun intervento sulla foto che ritrae «Gino De Dominicis, invisibile, seduto nel suo studio». Marco Rosei

Luoghi citati: L'avana, Milano, Montalcino, New York, Roma, San Gimignano