«Ma poi chi perde va a casa»

«Ma poi chi perde va a casa» «Ma poi chi perde va a casa» Massimo prova a convincere la Quercia GLI APPLAUSI DELL'EMILIA FERRARA DAL NOSTRO INVIATO Eliminata «Bandiera rossa», musica e parole, promosse le note di «Novecento» come colonna sonora delle manifestazioni, rimaneva - talvolta, a scelta -1'«Internazionale», ma solo musica, a legare insieme passato e presente dell'immaginario pidiessino. Massimo Marchignoli, segretario di Imola (centomila abitanti, diecimila iscritti al pds), ci stava spiegando questa dietrologia minima della liturgia di partito, quando il palasport s'è riempito delle parole (e della musica) dell'Internazionale («futura umanità...») per salutare Massimo D'Alema, salito qui da Roma per preparare il suo traboccante popolo emiliano a un'eventualità piuttosto indigeribile, un'intesa, un «compromesso democratico» con la destra (Berlusconi) per fare le riforme istituzionali e forse anche per sostenere un nuovo governo con un premier, come fu con Dini, difficile da «baciare». Indizio piccolo, ma non insignificante di una strategia del consenso avvolgente. La regia pidiessina, mai casuale, dunque ha rispolverato perfino l'Internazionale (insieme a tutto il patrimonio razionale ed emotivo sfoggiato dal segretario) per una serata, venerdì, che si può tranquillamente definire un trionfo per D'Alema. Il palasport (periferia di Ferrara, dalle parti di via Krasnodar, secondo una toponomastica che viene da lontano) s'è trasformato in un catino ribollente di applausi, di entusiasmo, di «tieni duro», di «Forza Massimo», che alla fine hanno consentito al segretario di esibirsi in uno dei suoi numeri preferiti: il dileggio dei giornali. «Come vedete, la rivolta della base che racconta il manifesto è una fesseria». Facile a dirsi qui in Emilia dove la politica è pragmatismo, governabilità, ma anche viscere (rosse) e organizzazione. La macchina pds ha mobilitato una flotta di torpedoni che ha scaricato al palasport più di tremila persone, inzeppate in ogni angolo, anche dietro al palco dove si sentiva, ma non si vedeva. Il doppio di quanti ce n'erano la sera prima per assistere alla riconquista dell'idolo locale Alex Duran del titolo italiano dei pesi welter. Box giovedì e box anche venerdì, quando D'Alema è arrivato al palasport direttamente da Botteghe Oscure, con l'aria di uno che vuole incrociare i guantoni col giornalista che gli chiede giudizi e sentimenti del partito di fronte alla crisi di governo. Domanda: «Si racconta di una riunione accesa e vivace dopo le dimissioni di Dini. S'è sentito sotto accusa?». Pausa. Breve silenzio, sguardo di disprezzo accompagnato da un «che razza di domande...». Poi arriva la risposta: «Vivace? Accesa? A me la riunione del coordinamento è parsa molto catatonica... Se vuole le dò i miei appunti». Gli «appunti» se li è tenuti e forse avrebbe fatto meglio a mandarli a l'Unità che ieri mattina ha raccontato la riunione usando per l'appunto l'aggettivo «vivace», così schifato dal segretario. Ma che lì ci siano dei problemi è piuttosto evidente dal momento che il giornale di Walter Veltroni non ha nemmeno mandato il solito inviato a raccontare una serata di entusiasmo di partito per D'Alema impegnato in un passaggio da equilibrista: o si vince o si perde. E il bello del «maggioritario», ha detto a un certo punto il segretario, è che chi perde «va a casa». Come si divulga al popolo del pidiesse l'inaudita eventualità di un'intesa con Berlusconi? Con un comizio di un'ora e mezzo in forma piana, pedagogica, raziocinante e sentimentale che risistema sull'orizzonte della politica un «sole dell'avvenire» costituito dall'obbiettivo di «aprire alla sinistra una prospettiva eh governo». Ciò è possibile solo attraverso le riforme istituzionali: «In politica - ha detto D'Alema - ci vuole pazienza. C'è bisogno di un compromesso democratico. Senza regole nuove, perdiamo. Noi più degli altri dobbiamo essere il partito delle regole. Ci conviene». Dunque: federalismo, riforma del Parlamento per arrivare a una sola Camera legislativa (con «meno parlamentari» e qui scatta un applauso che sembra un'ovazione), una forma di governo non presidenzialista, ma a cui si arrivi attraverso un voto che dia la possibilità di scegliere tra maggioranze che «indicano» il candidato a premier. Doppio turno elettorale, perché un governo «forte» può essere tale solo se eletto dalla maggioranza assoluta dei cittadini. Come si può arrivare a questo? Raccogliendo «il dialogo che sem¬ bra potersi aprire tra le forze politiche», ma distinguendo - e qui sta il punto - tra la possibilità di accordo pregiudiziale su queste riforme e il governo che «si può fare». A tutto ciò D'Alema ci arriva attraverso il lungo itinerario della parabola storica della sinistra: «C'è voluto Garibaldi per unire l'Italia, ma poi al governo ci sono andati i conservatori. C'è voluto il pei per battere il fascismo e il terrorismo, ma poi sono saliti a comandare prima la de, poi Craxi». E allora D'Alema tira fuori dall'archivio storico del pei la parola «compromesso». Da sola, la sinistra - dice il segretario del pds - non governerà mai l'Italia. Nel '94 il raggruppamento progressista ha preso il 36 per cento. Tanto. Ma non basta. «E così abbiamo costruito una coalizione di centro sinistra, l'Ulivo, con leader Prodi, che nel '94 ha preso il 40 per cento dei voti avendo alla sua sinistra un partito con il 7 per cento». Ad Achille Occhetto, D'Alema tributa un riconoscimento al «merito» (applausi vivissimi); poi in privato con i giornalisti - lo sferza con ironia sulla richiesta di una sinistra più «visibile»: «Siamo così invisibili che in un anno abbiamo guadagnato tre milioni di voti». Stop alla vocazione minoritaria della sinistra con una citazione, «bellissima», di Gramsci (applausi) sulla «paura di vincere». Davanti alla borghesia rossa emiliana, deride quel pezzo di borghesia italiana sbarcata due anni fa alla Camera che «non sa niente di leggi e passa il tempo al telefonino per sapere come vanno gli affari in azienda». Cena alla «Provvidenza» con i quadri, ma senza giornalisti («Se no, non posso spiegare...»), per raccontare le ragioni del dialogo: «Berlusconi ha capito che se continua nella strategia dello scontro, si rafforza Fini; se invece vuole riguadagnare autorevolezza come leader moderato deve parlare con noi». Colazione (sabato mattina) a base di scudisciate ai giornali: «L'ultimo pezzo di tangentopoli che vive di cultura antidemocratica e antipopolare». Conclusione del tour emiliano al convegno delle cooperative, strette tra la crisi economica e le inchieste della magistratura: «Pubblicheremo un libro alto così (e fa il segno con le dita ndr) sulle assoluzioni». Tutto bene? Il vecchio Renato Zangheri lo saluta dicendogli che ha «spiegato bene» la situazione difficile. Il giovane presidente della Regione Pierluigi Bersani dice che il pds «possiede gli attrezzi della democrazia, ma spesso li lascia in garage». Perplessità? «No, d'accordo con D'Alema se si distingue bene tra l'intesa per le riforme, che va fatta prima, nero su bianco, e l'ipotesi di un governo. Di sangue, ne abbiamo già versato abbastanza». Cesare Martinetti Bagno di folla al Palasport di Ferrara «Problemi nel partito? Niente affatto» Foto grande: il segretario del pds Massimo D'Alema Qui accanto: il leader dell'Ulivo Romano Prodi

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