«Noi capitani della Padania non vogliamo secessioni» di Edmondo Berselli

Edmondo Berselli ammonisce «Attenzione, che in tempi di crisi le parole diventano pietre» «Noi capitani della Padania non vogliamo secessioni» IL NORD E BOSSI LMILANO A secessione? Ma non esiste...». Eppure, dottor Carrara, secondo la Lega, il Veneto è sensibile, anzi quasi pronto... «Macché. E' Bossi che si arroga l'interpretazione di un Paese molto distaccato da Bossi...». Fin qui Mario Carrara, presidente degli industriali del Veneto, federalista convinto e interprete della rabbia dei protagonisti del boom del Nord-Est, ansiosi di contar di più. Ma gli fa eco, sempre da Padova, uno dei leader dei metalmeccanici, il cislino Gigi Copiello. «Secessione? Qui l'unica secessione è dalla politica. Tutto il resto è chiacchiera da bar...». Ma in fabbrica? «Vent'anni fa - risponde lui, anziano di reparto - la polemica contro il Sud era ben più aspra. Adesso non ci crede più nessuno a queste balle...». Visto da qui, dal Nord-Est che ha fame di autonomia e invidia i cugini-rivali del centro Europa, lo spauracchio della secessione agitato dal Carroccio appare ben poca cosa. Ma che effetti può avere sul dibattito politico? «Parliamoci chiaro - ruggisce Giorgio Bocca - è il discorso di un ubriaco che pensa che ci siano parole magiche in grado di risolvere i problemi. Secessione, federalismo...». Ma se gli altri lo prendono sul serio... «Ecco il problema. L'atteggiamento colpevole e quello dei giornali che ormai non sanno più prender nulla sul serio. Feltri può pubblicare due pagine con un'interpretazione nazista delle cause del conflitto mondiale e nessuno protesta. E Bossi, uno che conta si e no il 5% al Nord, può sproloquiare senza che nessuno lo prenda a calci nel culo...». Ma in politica, si sa, spesso le parole, sensate o meno, rischiano di trasformarsi in pietre. 0 no? «Ceito, se ci sono le condizioni - risponde il direttore del Mulino, Edmondo Berselli -. La sinistra ha spiegato il dialogo con Bossi, in questi mesi, con motivazioni tattiche. Quando si parla, è stato il discorso, si deve accettare anche un certo folclore. Poi viene il momento della serietà». E invece... «E invece una bomba in piazza fa ben altri danni che dentro un garage. Di fronte a una crisi economica, a un momento di reale difficoltà, l'impatto potrebbe essere assai più grave». Ma, professor Berselli, quello di Bossi è un espediente tattico: voi non mi date il federalismo e io allora sparo più in alto. Non è comprensibile? «In politica - è la replica - le soluzioni sono tanto più adeguate quanto più vicine all'obiettivo. Parlar di secessione per raggiungere il federalismo mi sembra un po' come voler sganciare la bomba atomica per conquistare un fortino. Capisco le ragioni di Bossi, però...». «Però gli altri partiti rischiano di ripetere un errore fatale» aggiunge a distanza Ilvo Diamanti, un sociologo della politica che da anni studia da vicino il Carroccio. «Per troppo tempo - aggiunge - la Lega ha potuto monopolizzare il concetto di federalismo. Gli altri censuravano questo problema reale e così hanno assicurato una rendita di posizione a Bossi». Ma un conto è il federalismo, altro è la secessione... «Già, non c'è rischio di secessione, ma non dimentichiamo che non esiste nemmeno consenso attorno a questo Stato. L'Italia, poi, è da sempre un bricolage di poteri locali forti, più che una vera unità. E su questa condizione la Lega, in crisi di identità, cerca di ritrovar la strada della sua unità». Ma perché tanto discutere se la secessione non la vuole nessuno? ((Attenzione - conclude Diamanti - quando si parla di secessione la si legittima nel linguaggio, la si normalizza». «Per fortuna, però - commenta Bocca - la parola secessione ci dà ancora qualche emozione, almeno per due ragioni. Primo, la cattiva coscienza degli italiani legata al ricordo dell'Alto Adige, una terra occupata grazie alla connivenza degli Alleati. Secondo, la spaventosa tragedia della Bosnia. Eppoi l'Unità viene dal Risorgimento, che non fu affatto uno scherzo e ha avuto con la Resistenza la sua prova del fuoco. Checché ne dica Feltri, questa è la storia vera...». C'è chi ha cercato di misurare in cifre la «voglia» di separatismo. Tra gli elettori leghisti, a dire il vero, l'entusiasmo sembra piuttosto tiepido. La temperatura sale tra i militanti e tra i dirigenti del Carroccio, precipita tra i simpatizzanti e i possibili alleati, anche nel Nord-Est. «Per ora - conclude Diamanti - è più una parola d'ordine intema, un modo per ribadire la propria identità che altro». Oggi è così, insomma, domani chissà. Difficile interpretare l'evoluzione di una situazione così agitata, percorsa da rabbie e proteste ma anche dall'adesione al di là delle attese al concordato fiscale. «Una cosa la devo dire: sono angosciata, molto angosciata. Io, e tanti altri come me non vediamo un futuro». Parole terribili, soprattutto se a pronunciarle è Gianola Nonino, la signora delle grappe e della cultura del Friuli. Lei, al termine di un anno d'oro per la sua azienda e la sua regione, non si fa illusioni. «Sono federalista - dice non ce l'ho affatto con il Sud che è pieno di brava gente. Ma il Paese tutto, inutile nasconderlo, sta davvero malissimo. E quelli che ci governano danno prova di egoismo terribile. Vorrei ammazzarli tutti... Anche l'economia vogliono strangolare. Come si fa a limitare la Tremonti al Sud e alle aziende con 3 miliardi di fatturato e venti dipendenti. Chi è in quelle situazioni è già fallito e al Sud chi volete che ci vada in queste condizioni?». Ma la secessione? Non la spaventa che se ne parli? «Ma che male può fare? Peggio di così...». Ugo Bertone Edmondo Berselli ammonisce «Attenzione, che in tempi di crisi le parole diventano pietre» Gianola Nonino: sono sempre stata federalista j ma non contro il Sud ne l'elezione del premier, scelto insieme alla coalizione che lo rappresenta, con il doppio turno, come vogliamo noi. Però non possiamo passare per conservatori». Tuoni e fulmini. Tortorella si agita: teme la «deriva j Da sinistra: il leader della Lega Nord Umberto Bossi, Gianola Nonino e Edmondo Berselli

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