Ortona, un «americano» all'ambasciata d'Italia di Sergio Romano

Dalfascisino alla Casa Bianca, la sua vita fu un «romanzo» E' morto ieri, aveva 86 anni: ebbe un ruolo chiave nei rapporti fra Roma e Washington Ortona, un «americano» all'ambasciata d'Italia Dalfascisino alla Casa Bianca, la sua vita fu un «romanzo» E morto ieri a Roma, a 86 anni, l'ambasciatore Egidio Ortona. La sua vita è un romanzo in due parti. Nella prima parte un giovane piemontese, ventiduenne, da poco laureato in giurisprudenza all'università di Torino, entra in carriera diplomatica e fa le sue prime esperienze all'estero, prima in Egitto, poi in Sud Africa. Siamo negli Anni Trenta, l'Italia è una grande potenza, intraprendente e ambiziosa. Terminata la conquista dell'Etiopia il giovane Ortona approda nella capitale della «perfida Albione», vale a dire nel Paese che ha maggiormente osteggiato le ambizioni imperiali dell'Italia fascista. Il suo ambasciatore è un uomo sottile, elegante, il mento ornato da un pizzetto grigio-pepe, rispettato dagli inglesi, ma poco amato da Mussolini. Nell'ombra di Dino Grandi Ortona impara a muoversi attraverso i corridoi della politica britannica, avvicina Eden, Churchill, Chamberlain, Halifax, aiuta il suo ambasciatore a ricucire pazientemente la tela strappata dei rappor- ti italo-inglesi. Ma la tela si strappa con la dichiarazione di guerra nel giugno del 1940 e Ortona ritorna a Roma con l'ultima nave dopo aver bruciato i cifrari, come in un romanzo. Pochi anni dopo Giuseppe Bastianini, da poco nominato governatore della Dalmazia, lo porta con sé e lo introduce alle follie di una penisola dove gli italiani, formalmente alleati dei croati, fecero del loro meglio per difendere i serbi e gli ebrei contro le persecuzioni del regime di Zagabria. Passano pochi mesi e Bastianini diventa di fatto ministro degli Esteri al posto di Ciano e lascia Ragusa, accompagnato dal suo giovane collaboratore. Come a Londra e in Dalmazia la carriera offre al giovane Ortona un posto di seconda fila nel gran teatro della politica inter¬ nazionale. Lo spettacolo, questa volta, va in scena a Roma ed è il più drammatico a cui un diplomatico abbia occasione di assistere: la morte di un regime, la sconfitta di uno Stato. Nella notte del 25 luglio 1943, mentre Bastianini siede al Gran Consiglio del Fascismo, Ortona passeggia avanti e indietro per le scale e le anticamere di Palazzo Venezia. La seconda parte del romanzo comincia il 3 novembre 1944 a bordo di una nave diretta verso gli Stati Uniti su cui viaggiano, con Ortona, alcuni uomini dell'economia e della finanza come Enrico Cuccia, Raffaele Mattioli, Mario Morelli e Quinto Quintieri. La piccola delegazione porta con sé tre lettere: la prima per Roosevelt, la seconda per il segretario di Stato Cordel Hull, la terza per il segretario al Tesoro Henry Morgenthau. A Washington gli italiani parlano di prestiti, ricostruzione, prospettive economiche e finanziarie. Da quel momento tutta la vita di Ortona ruota intorno al tema centrale dei rapporti italo-americani. Era a Washington quando De Gasperi vi fece il suo famoso viaggio nella primavera del 1947, vi rimase fino al giorno, nel 1958, in cui divenne rappresentante presso le Nazioni Unite, vi tornò come ambasciatore dal 1967 al 1975. In quegli anni conobbe tutti coloro che contavano qualcosa al Dipartimento di Stato, al Pentagono, sulla collina del Campidoglio, alla Casa Bianca e nelle case neoclassiche di Georgetown dove l'establishment americano parla incessantemente di po¬ litica tra un pranzo e un cocktail. Per vocazione e talento Ortona divenne il diaframma attraverso il quale passavano le relazioni fra gli Stati Uniti e l'Italia. Forse l'unico diplomatico europeo che godette in quegli anni a Washington di uno stesso prestigio fu Dobrynin, rappresentante di cinque segretari generali sovietici, da Krusciov a Gorbaciov. Ortona amava l'America, ammirava gli americani e fu per molti anni, agli occhi di molti, il più «americano» dei diplomatici italiani. Ma non credo che egli si sarebbe identificato a tal punto con la causa dell'amicizia fra l'Italia e gli Stati Uniti se nella prima parte del romanzo della sua vita non avesse assistito a tre brutti spettacoli della politica estera europea. La fine del¬ la sua missione a Londra nel giugno del 1940, la guerra civile nei Balcani e il dramma italiano nell'estate e nell'autunno del 1943 lo convinsero che soltanto gli Stati Uniti potevano garantire la pace, la sicurezza e l'armonia del continente europeo. A me parve talvolta che tale certezza fosse destinata, come ogni altra cosa umana a logorarsi col passaggio del tempo e che l'America un giorno sarebbe stata un ostacolo sulla strada dell'unità europea. Ma a quella convinzione Ortona rimase fedele con una lealtà e una intelligenza che suscitavano il rispetto dei suoi interlocutori. Un'ultima osservazione. Per molti anni dopo la fine della sua carriera Ortona lavorò a ricostruire i suoi diari e a preparare l'edizione di (Anni d'America», apparsi in tre volumi presso II Mulino nella seconda metà degli Anni Ottanta. Nessuno potrà scrivere, senza consultarli, la storia della politica estera italiana negli ultimi cinquantanni. Sergio Romano L'ambasciatore Egidio Ortona