«Conti pubblici il'95 unno della svolta» di Stefano Lepri

Dini: deficit sceso a quota 130 mila miliardi, adesso bisogna concentrarsi sull'occupazione Dini: deficit sceso a quota 130 mila miliardi, adesso bisogna concentrarsi sull'occupazione «Conti pubblici, il '95 unno della svolta» E si torna a parlare di maxi-manovra ROMA. «Il '95 è stato un anno di vera svolta per la finanza pubblica»: chissà quante volte nei mesi scorsi Lamberto Dini si era immaginato a rivendicare questo successo per il suo governo. Le cifre non erano ancora tutte pronte per il discorso di ieri alla Camera, ma c'è ormai la certezza che l'obiettivo è stato centrato. Il deficit per il 1995 si ferma a quei 130.000 miliardi che alla fine di maggio il governo si era proposto di non superare. E' quindi in netto calo rispetto ai 155 mila del '92, '93 e '94. Di polemica con la Banca d'Italia Dini non ne ha voluta fare. Né sui tassi di interesse, né sul deficit; appena appena sull'inflazione, che «sta rallentando». Ma è convinto che i buoni risultati dei conti pubblici diano ragione a lui e torto al pessimismo del governatore Antonio Fazio. Due mesi fa, la Banca d'Italia aveva sostenuto che sul raggiungimento degli obiettivi in materia di finanza pubblica «gravavano incertezze». Secondo alcune indiscrezioni, le incertezze sarebbero ammontate tra i 5000 e i 7000 miliardi. I veri timori di Fazio, d'altra parte, riguardano la legge finanziaria '96, a rischio per circa un terzo dei 33.000 miliardi annunciati. Dini salta oltre e ripropone al Parlamento, senza troppo entusiasmo nella voce, senza retorica dell'emergenza, l'ipotesi della maximanovra (55-60.000 miliardi) per allinearsi ai criteri di Maastricht nel '97: «Gli sforzi necessari non sarebbero da poco, occorre valutarne costi e benefici». Urgente, invece, affrontare quelli che per Dini sono i due problemi principali: la disoccupazione, «un'emergenza che affligge al pari dell'Italia anche gli altri paesi dell'Unione europea e che neanche la ripresa economica riesce a debellare», e il Mezzogiorno, dove la percentuale dei senza lavoro raggiunge punte elevatissime. Il «risultato senza precedenti» del '95 sul fronte della finanza pubblica, ha spiegato il presidente del Consiglio, è meglio espresso da un'altra cifra (questa davvero nuova): «l'avanzo primario di 65.500 miliardi di lire», che «non trova confronti tra i maggiori Paesi». Senza l'eredità della gestione sconsiderata degli Anni 70 e 80, lo Stato italiano è uno dei più austeri del mondo. Il «saldo primario» è appunto la differenza fra tutte le entrate e tutte le spese tolto il rimborso degli interessi sul debito pubblico: è in attivo da qualche anno, ma non lo era mai stato per cosi tanto. Per ogni cento lire che incassa dai cittadini, lo Stato ne spende, escludendo le cedole dei titoli di Stato, meno di novanta. L'«avanzo primario» di 65.500 miliardi è superiore allo stesso obiettivo del governo, che era stato posto a 60.000 in giugno ed elevato a 61.000 in settembre. A quanto trapela dai ministeri, le entrate fiscali sono andate secondo le previsioni, smentendo tutti quelli che prevedevano un collasso del sistema tributario; il concordato di massa è riuscito, con almeno 7000 miliardi di gettito. Le spese sono state leggermente inferiori al previsto, nonostante la ripresa degli appalti nel secondo semestre. Nel quadro tracciato da Dini, l'unico dato negativo è la spesa per interessi. E' stata di 195.000 miliardi nel '95, contro i 191.000 delle stime di settembre e i 176.000 pre- visti dallo stesso Dini quando era ministro del Tesoro di Berlusconi. Ma i tassi, ha detto il presidente del Consiglio evitando ogni accenno alla Banca d'Italia, devono farli scendere i mercati, man mano che si accorgeranno che i conti dello Stato sono davvero migliorati («Scenderanno i tassi di interesse nel '96; in Italia forse scenderanno un po' meno e un po' più tardi» prevede intanto il presidente della Fiat Giovanni Agnelli). La «svolta» si riassume in un terzo dato: la stabilizzazione del debito. «Per la prima volta da vari lustri - dice ancora Dini - si è arrestata la crescita del debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo» (il valore dei beni e servizi che la nazione produce, ndr). L'indice si ferma a circa il 124%, oltre il doppio del parametro fissato a Maastricht, il 60%. Stefano Lepri Il presidente del Consiglio Lamberto Dini

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