I monumenti i libri la politica la preparazione della morte Mitterrand un uomo libero «Orfeo in cerca dell'immortalità» di Barbara Spinelli

I monumenti, i libri, la politica, la preparazione della morte: Mitterrand, un uomo libero I monumenti, i libri, la politica, la preparazione della morte: Mitterrand, un uomo libero Come De Gaulle, una vi PPARIGI RIMA di morire, Frangois Mitterrand ha parlato più volte dell'aldilà, con una certa esitazione pudica ma con insistenza. Voleva opporre qualcosa di immateriale, alla corporeità del perire. Spesso parlava del trionfo, immancabile, dello spirito. Una volta disse ai connazionali, mentre la malattia già lo piegava: veglierà su di voi anche quando non ci sarò più, quando avrò vinto nello spirito. L'inflessibilità del tempo lo angustiava - ripeteva più volte - e lui voleva esser signore anche del tempo. Il suo peculiare rapporto con l'arte e la letteratura nasceva da questa frequentazione, assidua, della morte: perché anche letteratura e maquillage sono scudo contro la natura, contro l'invadenza della materia. Cosi come è armatura la religione, che promette eternità: tanto forte era l'ansia di immortalità, nel Presidente scomparso, che il pensiero religioso divenne dominante negli ultimi tempi. Tornavano spesso, nelle sue conversazioni, gli accenni ai grandi mistici, i cui scritti aveva studiato, e alla comunità dei santi, in cui forse voleva entrare. Nella vita contemporanea accade di rado: che un politico si preoccupi, sul limine della morte, di lasciare una traccia metafisica, non solo politica e mondana, come avveniva nei tempi classici per i santi, o i re, o i grandi artisti. Mitterrand ha lasciato dietro di sé grandi opere in pietra, grandi maquillage, che appartengono ormai al paesaggio architettonico di Parigi e di alcune città francesi. Ma anche della propria vita egli ha voluto essere il cronista acribico, anche la storia della propria educazione sentimentale e politica egli l'ha edificata con l'animo dello scultore, dell'architetto che ha in mente l'opera intera prima ancora di disegnarla, di edificarla. Ci furono momenti in cui l'intero suo agire s'apparentava a quello descritto da Flaubert, nell'Educazione Sentimentale, seduto in fondo alla carrozza, Frédéric Moreau vola verso Parigi e si sente «sopraffare da una sorta di ebbrezza. Come un architetto che esegua il disegno di un palazzo, predispose, in anticipo, la sua vita». Anche Mitterrand l'ha predisposta in anticipo, sempre, come in un romanzo di auto-educazione sentimentale. Ha predisposto l'astuta sua arte politica, e l'altrettanto astuto suo modo di schivarla, di scioglierla nella letteratura. Lo ha fatto in occasione della sua esistenza e della sua malattia, agghindando l'ima e l'altra in modo da poter arrivare fino alla fine del mandato presidenziale, fino a oltre gli infortuni di Chirac, come se vita e morte fossero materie che lui modellava liberamente, da padrone. Lo ha fatto nei quattordici anni in cui ha regnato sulla Francia, con una maestosità prudente che spesso fu intensamente contestata, ma che fini col sorprendere gli avversari come gli amici. Solo un Presidente con ambizioni di architetto, di decoratore, poteva far coincidere la teatralità dell'unzione regale, nell'81, con le cerimonie precedenti il commiato dall'Eliseo e con la messa in scena privatizzata, e introversa, dell'ultimo suo viaggio solitario in Egitto: un viaggio iniziatico, da Orfeo che visita gli Inferi, all'ombra calda di geometriche piramidi mortuarie e dei geroglifici misteriosi. La prima cerimonia liturgica si svolse davanti al Panthéon, nel maggio '81 quando fu eletto: una rosa rossa in mano, il capo di Stato celebrò già allora il suo personalissimo culto dei morti, deponendo il fiore socialista nella cripta dov'è seppellito Jean Moulin, eroe della Resistenza. La seconda fu allestita in fine regno, ancora una volta al Panthéon, per la traslazione delle ceneri di Eva Curie: e non somigliò a una mera ripetizione rituale ma fu come se Mitterrand avesse voluto completare perfettamente un'opera, renderla circolare e dunque etema. La coreografia da lui ideata si era fatta più scabra e ieratica di quattordici anni prima; si era fat- ta meno popolare, più sfinita, come dipinta da mano ascetica cui il contatto fisico ripugna. Accanto a lui già i candidati si contendevano la successione, secondo gli imperativi democratici del suffragio universale, nel mentre che lui già sembrava occuparsi da tempo di altro, già aveva altri culti, altre cure. L'esperto in diatribe parlamentari era al riparo ormai dal suffragio universale e dai foschi tribunali democratici. Scolpiva la propria statua, come un monarca di Ancien Regime che metta in scena ogni atto della sua esistenza, che addobbi ogni stanza, ogni entrata, ogni uscita delle città che per destino è stato chiamato a espugnare. Il Panthéon diveniva in tal modo segmento essenziale del cerchio biografico di Mitterrand, tempio laico specialmente venerato che accoglieva e conteneva anche lui, accanto ai Grandi di Francia che riposano nel suo seno come Jean Moulin, Eva Curie, o Victor Hugo. L'eredità che Mitterrand lascia ai successori è difficile, precisaniente a causa di questa statua regale che egli ha voluto incidere di sé. A causa della speciale aura che lo circondava, nel secondo settennio presidenziale in cui la sua politica si sfilacciò, si dissolse spesso nel cinismo, e il Presidente si occupò appunto di altro: di culti più intimi, quasi esoterici. Ma l'eredità è soprattutto difficile a causa della sua dimestichezza, profonda, con miti che non muoiono in Francia: con il mito del monarcalitérateur, della politica come letteratura, arte. Si è parlato molto delle deformazioni monarchiche del suo imperio, che sono indubitabili e che indignarono spesso al- De Gaulle: un modello sempre presente e negato per Mitterrand leati e amici politici. Perché l'amicizia privata fu sempre da lui coltivata con acuto senso della fedeltà, mentre in politica non esisteva vera amicizia ma solo complicità, spesso anche buia, spesso anche infedele, traditrice. I due piani erano separati, tra mondo interiore ed esteriorità politica c'era, dolorosa per gli altri, rottura netta di continuità. Cosa che fece soffrire uomini politici più trasparenti di lui come Rocard. e che costituisce tuttavia l'essenza della persona Mitterrand: essenza che consistette nella doppia natura del suo comando, del suo regno. Qui è una delle più grandi difficoltà, non sormontata, della successione. Con lui scompare l'ultimo Presidente Doppio, che è figura archetipica della storia di Francia: l'ultimo presidente-monarca e presidente-letterato. Scompare l'ultimo presidente che ha due corpi, come i Re descritti da Kantorowicz: un corpo politico e uno letterario, un deperibile corpo carnale e uno mistica, che rappresenta l'eternità della Corona e di una storia che diventa provvidenziale. La Francia non è l'unica ad avere questa tradizione di monarchi duplici, ma solo in Francia perii posto centrale che la letteratura ha sempre avuto nella sua politica - il culto del doppio corpo si e prolungato nelle età repubblicane, laiche. E' un culto che la Quinta Repubblica gaullista ha intensificato, esaltando l'immagine arbitrale se non taumaturgica del capo dello Stato. De Gaulle era un letterato e appassionato frequentatore dei classici, oltreché un militare e uno statista: e De Gaulle è ligura cruciale nell'itinerario mitterrandiano, e il segreto metro della sua biografia politica, e l'orse personale. 11 Generale scrisse libri decisivi, ogni volta che si ritirava deluso o sconfitto, dalla politica. Cosi Mitterrand, che si rifugiò nel libro ogni volta che i'a politica l'offendeva, l'escludeva. Alche lui aveva peraltro un suo stile impareggiabile, di scrittura: i testi e i discorsi di Mitterrand sono curati nel minimo dettaglio, coltivano lo stile latino della concisione, hanno il gusto seicentesco della frase affilata, dell'arguzia breve, della pointc. La figura che ritorna, in tutti i suoi testi e nelle allocuzioni, è tra le l'orine più belle della retorica ed è da lui prediletta: e la litote, che afferma attraverso una negazione e che stempera le perentorietà, le eccessive sicurezze. Per dire che un avversario era stupido, lui diceva: «Non è estremamente intelligente». Per affermare una propria volontà o ambizione, lui usava dire: «Non sarei dispiaciuto di pensare, di fare...». C'è poi il Mitterrand europeo, e anche qui De Gaulle fu unità di misura permanente, anche se non ammessa. 11 Generale aveva voluto lasciare un'impronta forte del suo passaggio in Europa, riconciliandosi nel dopoguerra con la Germania di Adenauer. Così Mitterrand fece molto, per passare nella storia come lo statista europeo per eccellenza. Per apparire come il garante - da Parigi - d'una Germania europea capace di evitare a se stessa l'infausta attrazione per un'Europa germanizzata. Lo aiutava in questo la sua speciale memoria culturale e storica, la sua conoscenza, fine, della letteratura tedesca romantica e neoromantica (di Nietzsche, di Jùnger che ammirava), la sua esperienza di uomo che aveva vissuto il secolo quasi interamente, con le sue avanguardie artistiche, le sue decadenze e i suoi orrori bellici. Non sempre riuscì: nell'89, quando cadde il muro di Berlino, il Presidente socialista si ritenni? offeso, s'incaponì, cerco addirittura di frenare la corsa verso la riunificazione. Ma dovette infine accettare quest'ultima, accettare una storia die questa volta non era stato lui a disegnare, progettare, e realizzare. La vera e grande differenza, tra Mitterrand e il Generale, va dunque cercata nella letteratura oltreché nella politica, nel corpo spirituale oltreché in quello contingente, politico. E' la differenza culturale che spiega il rapporto dei due uomini con il fascismo di Vichy: rapporto di cedimento sia pur breve nel primo caso, di immediata e istintiva repulsione nel secondo. Il primo sentiva la Francia «nelle vene e nella pelle», come ebbe a dire prima delle ultime elezioni. La riconosceva «dai colori diversi della terra e dal vento che piega i pioppi», e per questo Mitterrand sposò successivamente tutte le sfumature e le epoche del Paese, anche le più oscure e malefiche. Il secondo aveva «una certa idea della Francia», più astratta, meno carnale: un'idea trasportabile all'estero, quando la nazione soccombeva e cessava di corrispondere all'ideale. Ma l'uno e l'altro avevano attinto le proprie convinzioni nella letteratura, e spesso perfino nella stessa letteratura: più precisamente, nei libri di Barrès, scrittore dello scorso fin de siede che ambedue prediligevano, cultore dell'Io narcisistico che teme le ''contaminazioni barbariche» suscettibili di deformare la singolarità dell'individuo, di devastarla. Questo rapporto con il libro e la scrittura solitaria vengono meno, nei successori di Mitterrand, e da questo punto di vista il Presidente scomparso ha l'aura dell'Ultimo. E' l'ultimo Presidente con un carisma, con un'ambizione di lasciar tracce nella storia, non solo del proprio Paese ma di molti Paesi contemporaneamente. In un'intervista recente a Le Monde, il 29 agosto, Mitterrand parlo ancora una volta della morte, e della vanità dei «destini individuali di fronte alla storia». Qualche personaggio mitico faceva eccezione, come Mose o Napoleone, Cesare o Carlo Magno, «ma perfino loro rappresentano poca cosa, nella polvere dei secoli; non lasciano che schegge comparabili ai geroglifici, per lungo tempo indecifrabili, della grandezza egizia». Gli eredi e successori di Mitterrand vengono da altre scuole, amministrative e non letterarie. Non hanno fatto le guerre di Francia e d'Europa, e in un certo qual senso sono più europei, più omologabili ai colleghi di altre nazioni. Sono allievi quasi tutti dell'Elia, la Scuola Nazionale di Amministrazione, e con il mondo intellettuale hanno un rapporto più distaccato, meno rinascimentale e gesuitico, di quello che avevano Mitterrand o De Gaulle, i quali sembravano aver sempre in mente, come modello, la mitica coppia composta da Enrico II e il poeta Ronsard. Non a caso il Presidente socialista aveva scelto Elie VViesel, per scrivere il suo ultimo libro intervista. Wiesel scampato ai Lager incarnava l'evento ciuciale del secolo presente - l'evento di Auschwitz e fu come un rinascimentale Arco di Trionfo che Mitterrand pose di fronte a sé, nell'ultimo scorcio della propria vita. Protetto da quell'arco Mitterrand ha potuto non solo uscire dalla vita, ma dal Secolo. Ha potuto non solo lasciare un'impronta potente nelle memorie, ma dar senso a un'esistenza fatta di ambiguità, di compromissioni sottili con Vichy e con uomini di Vichy come René Bousquet, che restò suo amico e complice anche dopo le rivelazioni sul suo passato di poliziotto delle ..retate antiebraiche durante l'occupazione nazista. Grazie alla sua doppiezza di stìnge, al suo corpo fisico e metafisico, Mitterrand ha vinto la sua privata scommessa, che era quella di divenire un uomo assolutamente libero. Libero dalle famiglie, dalle amicizie, dalla politica quotidiana, dagli stessi obblighi dell'etica e dalle ombre che hanno oscurato la sua esistenza e che ha lasciato dietro di sé. Libero come può esserlo solo un esteta, un artista originale che dedichi ogni energia al culto dell'Io, e del proprio potere di influenza, Libero, segretamente irresponsabile, e proprio per questo interessante, originale, come il pellegrino Peter Schlemihl di Chamisso che pensa di poter liberarsi della propria ombra nonché dei propri obblighi mondani, divenendo totalmente indipendente nel Patto col Diavolo. Thomas Mann diceva: Schlemihl volle essere interessante, e qui è la sua grandezza e anche la sua tragedia. E' questa mescolanza di grandiosità e di tragedia, che rende Mitterrand un Ultimo e un Unico memorabile, in questo fine secolo. Barbara Spinelli Come il Generale eterno doppio inseguiva il sogno del monarca letterato che non poteva avere eredi corpi come i Re descritti da Kandeluso o sconfitto dalla politica Mltterrand posa all'Eliseo per il ritratto ufficiale