Sarajevo tiro a segno sull'Alleanza

Agguati a legionari e inglesi che rispondono al fuoco, ancora a rischio la base dei bersaglieri Agguati a legionari e inglesi che rispondono al fuoco, ancora a rischio la base dei bersaglieri Sarajevo, tiro a segno sull'Alleanza Colpito un aereo francese, spari sulle pattuglie SARAJEVO DAL NOSTRO INVIATO Il giornale che la forza d'intervento Nato distribuisce in Bosnia si chiama «Glasnik Mira», che grossomodo significa «(Araldo della Pace»: esce da appena tre settimane e si trova già nella situazione in cui o cambia linguaggio, o cambia testata. Il linguaggio dimostra da solo un'approssimazione grottesca. Chi ha concepito la pubblicazione l'aveva voluta bifronte: da una parte una copertina per i serbi (con articoli e didascalie in cirillico) e dall'altra gli stessi articoli e le stesse foto in caratteri latini. Solo che anche in caratteri latini il linguaggio contiene termini e sfumature scelti dai serbi per differenziare la loro lingua da quella dei bosniaci, altrimenti identica. «L'Araldo di Pace», insomma, finisce con l'essere una pubblicazione due volte cetnica provocando le battute e i lazzi che si possono immaginare. Dopo le prime tre settimane di missione il linguaggio della Nato mostra però di dover cambiare anche se si esce dalla metafora: cambiare in tutte quelle forme d'espressione (presenza, convinzione, azione, reazione) che fanno parte del linguaggio militare. Ieri, un portavoce ha fatto sapere a quanti ufficialmente non combattono più ma continuano a sparare che l'Alleanza «sta valutando l'opportunità di usare altre opzioni». Le opzioni possono consistere solo nel modo in cui rispondere a bande o settori che evidentemente di smetterla con mitra e cannoni non vogliono sentir parlare. Ieri si celebrava il Natale ortodosso, e il livello di sparatorie e aggressioni ha toccato ancora una volta una soglia allarmante. All'aeroporto, raffiche contro un aereo francese, un «Falcon 50» che all'atterraggio si è scoperto con la cabina sforacchiata. Più tardi, altre raffiche verso un C-130 greco che ha dovuto rinunciare ad atterrare a Sarajevo ripiegando su Tuzla. A Grbavica, quartiere serbo di Sarajevo, i soldati francesi di una pattuglia hanno sentito fioccare dei colpi nella loro direzione e hanno risposto con otto raffiche del cannoncino da 12,7 millimetri piazzato sull'autoblindo su cui viaggiavano, senza peraltro riuscire a individuare chi aveva sparato. A Sanskj Most, sparatorie da un bunker serbo contro alcuni blindati inglesi che hanno risposto con deci ne di raffiche senza badare troppo alle cosiddette «regole d'ingaggio» A Vogosca, ieri mattina i soldati del nostro contingente restavano ner vosi in un quartier generale non an cora convenientemente protetto e forse non proteggibile, mentre tut t'intorno e dai palazzi sovrastanti le raffiche di mitra rincorrevano boati. E' stata una giornata tesa anche nella Sarajevo dei bosniaci: un ragazzo si è ferito da solo giocando al la «roulette russa» con un gruppo d'amici, al mercato coperto verso mezzogiorno è entrato un uomo che ha affrontato un venditore, lo ha «gambizzato» a colpi di pistola e poi se n'è andato senza fretta. Non servivano sfere di cristallo per immaginare che in questo stato di guerra sospesa, il terrorismo avrebbe preso piede assieme con l'incrociarsi delle vendette personali. Quel che ne deriva è proprio quel «fuoco disordinato» che la Nato aveva previsto alla vigilia del nuovo anno ma che comincia a durare un po' troppo, e soprattutto continua a fare vittime. A Mostar, dopo ferimenti e uccisioni incrociate ieri il sindaco della riconciliazione se n'è uscito in un messaggio disperato. Hans Koshnick, già amministratore di Brema e da due anni simbolo di un disegno di multietnicità decisamente prematuro, ha detto in sostanza: «Non posso essere io, un tedesco, ad accettare le richieste di separazione che giungono dai croati, non potrò mai creare un ghetto musulmano. Se non la smettono tutti, per noi europei è forse il momento di andare via. Portando fuori i nostri soldati e anche i nostri soldi». E' una tesi da noi cara a chiunque consideri la frontiera di Opicina come inizio di un nuovo deserto dei Tartari, e l'ex Jugoslavia come emisfero diverso, luogo di gente sanguinaria per natura e divisa da faide così intrecciate alla storia da risultare irrisolvibili. Ancora una volta, al contrario, in Bosnia si sta dimostrando che l'atteggiamento dell'Occidente decide tutto quanto è destinato ad accadere. L'Ifor si accorge di essere inciampato nella stessa trappola in cui era caduto l'Unprofor, mediatori e generali cominciano ad ammettere che cambiare le divise non serve se non muta l'esecuzione del mandato. E il compito di un esercito cosi potente e numeroso, qui, può consi- stere solo nello stroncare dall'inizio qualsiasi nuova scintilla di guerra. «L'applicazione degli accordi di Dayton prosegue in un clima sereno, anche se bisogna registrare qualche incidente isolato...». Al famoso albergo Holiday Inn, le quotidiane conferenze stampa della forza d'intervento cominciano ad assumere un senso di farsa. Gli «incidenti isolati» prima consistevano nell'impatto di soldati americani o britannici con mine o granate inesplose. Poi incidentalmente qualcuno ha sparato a un soldato italiano, a un aereo greco, a un altro velivolo francese e adesso agli inglesi di Sanskj Most. Che la guerra non si fermasse solo con tre firme era prevedibile, ma nessuno immaginava che tutto sarebbe ricominciato cosi presto. Dovreste trovarvi questa sera a Sarajevo, per capire quanto assurde fossero le idee di chi considerava tutto concluso in gloria. Stanno sparando da ore, e se questo è solo il Natale ortodosso immaginate cosa accadrà il 13 notte per il Capodanno dei nostri cugini cristiani. Ogni tanto, il boato di una granata celebrativa rammenta al mondo che i serbi sono ancora li, e le aperture di Dayton - meglio, le slabbrature negli apparati di controllo di regimi che si fronteggiano - si richiudono in fretta. Sull'«Avaz» di oggi, giornale ipergovernativo, una vignetta mostra una donna coi capelli ritti che giace a letto, mentre due medici bosniaci commentano: «Poverina, non è ancora uscita dal coma». La donna, com'è scritto sulla coperta, rappresenta la Federazione croato-musulmana, a un mese dalla nascila già vacillante dopo il cecchinaggio incrociato di Mostar. Il portavoce Nato ieri aggiungeva: «Questi sono chiari esempi dell'incapacità delle parti di controllare le loro forze». E invece, ancora una volta, cosi pare proprio non sia: sulla presunta «incontrollabilità» di bande e banditi le parti di questa guerra hanno giocato per tre anni e j mezzo, adeguandosi al limpido esempio dei serbi. Quel che continua ad accadere in Bosnia e attorno a Sarajevo (sparatorie, sequestro di cittadini bosniaci a Ilidza, celebrazioni a fuoco, minacce di trasformare i serbi dei sobborghi in un popolo di paria) conisponde a un ennesino calcolo politico. A un progetto terminale forse, un'idea disperata, eppure l'ultima a cui possa appigliarsi un governo di pazzi che tiene in pugno un popolo di contadini. Giuseppe Zaccaria POSTO DI OSSERVAZIONE nella soffilta. TENDE O TELA DI SACCO er nascondere le nistre rivestile con un reticolato per non far entrare granate o tascapane pieni di esplosivo. GRONDAIE e grondaie devono essere tolte perché sono utili come scivoli | per le granate. LE ASSI DEL PAVIMENTO SONO TOLTE sotto le finestre del pianterreno così nemico non trova un pavimento solido se riesce a entrare. Chiodi o frammenti di vetro fra le travi. PROTEZIONE DELLE FINESTRE E RIPARI una rete alle finestre mpedirà che vi lancino dentro una granata. Un riparo di sacchetti intorno alla postazione protegge da scoppi di granale e cedimenti Il regista del film «Underground» gira il video di una banca francese POSTO DI OSSERVAZIOnella soffilta. TENDE O TEDI SACCO er nascondernistre rivestilun reticolato pefar entrare grao tascapane piesplosivo. GRONDAIE e grondaie devessere tolte persono utili come sper le granate. 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Persone citate: Araldo Della Pace, Araldo Di Pace, Brema, Falcon, Giuseppe Zaccaria, Hans Koshnick, Holiday, Karadzic, Most