Palermo addio di 14 giudici alla procura

Caselli: nessun contrasto, lavorare qui è molto faticoso. Siclari: non sarà un fatto traumatico Caselli: nessun contrasto, lavorare qui è molto faticoso. Siclari: non sarà un fatto traumatico Palermo, addio di 14 giudici alla procura Hanno chiesto al Csm di essere trasferiti in altre sedi PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Abbandonano la procura della Repubblica di Palermo, con quella di Milano la più esplosiva d'Italia, 14 dei 44 sostituti di Gian Carlo Caselli. Non sembra una fuga, anche se ne ha tutta l'apparenza. Se ne vanno per i più svariati motivi. Lasciano i loro uffici nel secondo piano del palazzo di giustizia (il «palazzo dei veleni» in verità non più micidiali come anni fa) per passare ad altri incarichi. Alcuni puntano a far carriera e a non restare sostituti procuratori quando avranno ancora più capelli bianchi e altri probabilmente sono stanchi della loro «vita blindata». E come dar loro torto? Fra quanti hanno chiesto al Csm di essere assegnati ad altri incarichi, e qualcuno anche ad altra sede, ve ne sono che da anni non vanno al cinema o al teatro, non fanno shopping, non passeggiano con gli amici, non sanno cosa sia una pizzeria, sempre scortati dagli «angeli custodi» dei servizi speciali antimafia o di polizia, carabinieri e guardia di finanza. Una vita difficile e rischiosa in cui son coinvolti i loro familiari, mogli e figli anzitutto. L'aspetto umano, allora, in questa vicenda diventa estremamente importante. C'è chi ha già ottenuto tra loro il nulla-osta come Giuseppe Pignatone diventato procuratore aggiunto della Repubblica presso la pretura e chi, come Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone, diventerà giudice per le indagini preliminari al termine del processo a Bruno Contrada in cui sostiene la pubblica accusa. Per soffocare sul nascere voci che già facevano pensare a un terremoto nell'ufficio di Caselli, tale da far traballare la sua poltrona, è sceso in campo ieri sera Bruno Siclari, che prima di diventare procuratore nazionale antimafia fu procuratore generale proprio qui, a Palermo. Egli ha sottolineato ai giornalisti a Roma che si tratta di richieste di trasferimento accumulatesi nel tempo. Sì, ma quanto tempo? Pare da un anno o poco più. Ed escludendo chissà quali manovre, Siclari ha notato che i sostituti in partenza o che aspirano a farlo «hanno tutti un altissimo senso di responsabilità e pertanto non ho dubbi che non sarà un fatto traumatico». E che non sia una fuga l'ha detto, contando le parole, sempre ieri sera il procuratore aggiunto palermitano Guido Lo Forte: «Le domande di trasferimento per un ufficio con 45 magistrati sono as¬ solutamente nella norma - ha aggiunto - il lavoro è pesante, difficile, ma non c'è alcun malessere». Caselli ieri era all'estero e non ha volito fare dichiarazioni. Ha confidato agli amici: «Escludo nel modo più assoluto contrasti all'interno della procura. Tutti i colleghi godono della mia massima stima. Una stima reciproca, anche nei miei confronti. Capisco che lavorare a Palermo stanca, stanca moltissimo. E se nesuno ci crede venga a provarlo». Chi ricorda l'ostilità degli otto sostituti che dopo la strage di Capaci chiesero di andar via se il procuratore Pietro Giammanco non fosse saltato dall'incarico a Palermo perché avrebbero osta¬ colato il lavoro di Falcone «costringendolo» ad accettare la direzione generale del ministero di Grazia e giustizia, dunque non suggerirebbe un confronto proponibile. Giammanco, ora giudice istruttore in Cassazione, giorni fa si è preso comunque una bella rivincita, essendo stato prosciolto dalle accuse che aveva insinuato contro di lui un pentito. E Caselli? I bene informati nel palazzo di giustizia escludono categoricamente che sia in corso una sollevazione dei sostituti contro il capo venuto da Torino che ha incriminato e mandato sotto processo Giulio Andreotti e Bruno Contrada, che in novembre ha fatto arrestare il presiden¬ te della Provincia Francesco Musotto di Forza Italia e ha anche spedito alcune comunicazioni giudiziarie al sindaco ed eurodeputato Leoluca Orlando per alcune «storture» rilevate in municipio, e che guarda caso si insediò qui il 15 gennaio 1993, il giorno stesso in cui i carabinieri catturarono Totò Riina, il capo di Cosa nostra che da 23 anni beffava le forze dell'ordine. Nel riunire i sostituti approssimandosi il Natale, per il tradizionale scambio d'auguri, Caselli si era dichiarato «dispiaciuto» per le richieste di trasferimento definite ieri in procura «un ricambio fisiologico». Antonio Ravìdà Il Palazzo di Giustizia di Palermo

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