Ilidza, dove la pace inghiotte i bosniaci di Giuseppe Zaccaria

I musulmani: passavano per quella città come permesso dagli accordi. Pale: mai visti I musulmani: passavano per quella città come permesso dagli accordi. Pale: mai visti liidza, dove la pace inghiotte i bosniaci Scomparsi in 16 nella zona serba, furore a Sarajevo ILIDZA DAL NOSTRO INVIATO Nella tradizione serba la «Vraska» è l'ignoto, l'oscuro, il pozzo dell'orrore. Quello che nelle nostre fiabe è bosco incantato, per i figli dei contadini di qui è selva inospitale, luogo senza ritorno. Pozzo scuro dove gli spiriti che portano via le persone e le divorano sono spiriti musulmani, proiezioni favolistiche dell'antico terrore del Turco. Ebbene, eccoci al centro della hVraska». Solo che qui siamo in piena zona serba, e a scomparire sono i musulmani: sedici persone di cui non si hanno pili notizie da Natale. In nome delia «libertà di movimento» sancita dagli accordi di Dayton tornavano a Sarajevo o ne stavano uscendo, in convogli che attraversavano il territorio serbo - attraversavano Ilidza - sotto scorta della Nato (o Ifor, come si dice qui). «Quella gente è scomparsa, inghiottita dal nulla. A questo punto riteniamo indispensabile vietare a tutti i sarajevesi di attraversare il territorio serbo, nonostante ogni garanzia». Hasan Muratovic, ministro bosniaco, è ben deciso a fare di questa vicenda un «caso» internazionale. L'omaccione che adesso mi sta seduto davanti invece sdrammatizza e anzi chiede, direi pretende, comprensione. «Davvero qualcuno può pensare che la liberta di movimento sancita negli accordi si trasformi in assoluto diritto di transito0 I musulmani sono terroristi, e io ho il dovere di difendere la mia gente...». Dragati Mijovic è uno con grandi baffi ritorti che al comune di Ilidza, sobborgo serbo di 30 mila persene, è segretario generale. Mi ha accolto con cortesia, ha fatto preparare il solito caffè ma sedendosi lia dimenticato che a volte la pancia fa sollevare il maglione all'altezza della schiena. E sulla schiena, infilato nei pantaloni, porta un pistolone. 1 soldati francesi l'avevano detto, all'ultimo check-pomt: spiacenti, ma le auto civili non passano. Con tanti saluti alla libertà di movimento, alla liberta di stampa e a qualsiasi principio di libertà che uno possa invocare in una stradina sommersa dal fango e circondata dalle mine. Una volta ottenuto il transito le facce dei soldati dicevano, in esperanto: vuoi passare? Vai pure bello. Poi facci sapere. In questo momento nell'ufficetto del Comune che è anche sede di polizia uno vorrebbe far sapere ai soldati francesi che mai la loro prudenza sarà sufficientemente apprezzata. Poiché il signor Mijovic, l'uomo col pistolone, segretario generale di questo piccolo triangolo delle Bermude dove gli uomini scompaiono senza lasciare traccia, è un concentrato di serbitudine. Grande e grosso quanto grande è la sua bonomia e grosse sono le mani, generoso («prendi il caffè»!, molto generoso («bevi questo»l, generosissimo («anche quest'altro»), poco alla volta Mijovic dilaga E' paterno, didattico, pervasivo, trabordante: se ami il rischio provati a contraddirlo. «Musulmani scomparsi? Ma do- ve? Gente tirata fuori dalle auto, costretta a pagare centinaia di marchi, arrestata dai nostri, magari uccisa? Qui non risulta alcun arresto. Peraltro lei pensa davvero che bastino quattro righe in un trattato per cancellare quattro anni di guerra?». Se non altro in fondo è sincero, il signor Mijovic. «Qui fino al '92 c'era il trenta per cento di musulmani, se ne sono andati via perche lo hanno voluto, ina adesso noi abbiamo un comune e una polizia serbi mentre loro hanno un governo e una polizia musulmani». Al serbo lei pero contrappone il musulmano: non dice serbo e bosniaco, né ortodosso e maomettano... «Parlo in termini di potere: e il potere nell'altra Sarajevo adesso è musulmano. Quelli hanno usato il terrorismo anche contro la loro stessa popolazione, se pretendono di transitare in un comune serbo devono sottoporsi ai controlli, e se non sono in regola possono essere arrestati». Quindi, i sedici di Sarajevo sono stati arrestati? «Le ripeto, a noi non risulta alcun arresto: loro stanno dalla loro parte e noi dalla nostra. Poi col tempo si vedrà: se davvero Ilidza dovrà passare sotto l'autorità musulmana ci diano almeno il tempo di andarcene. Tutti. Perché è chiarissimo che qui non resterà un solo serbo: porteremo via anche i nostri morti». Già. i morti. Di questo racconterò fra un istante, poiché ieri nel¬ la «Vraska» di Ilidza mi è accaduto di vivere una delle esperienze più incredibili che possano capitare. Al signor Mijovic, segretario generale, ho chiesto se avesse paura di qualcosa, e lui ha risposto di no. Allora, perché porta la pistola? Attimo d'imbarazzo, l'unico, poi l'omone ha risposto: «Per abitudine... d'altro canto prima o poi avremo paura delle vendette musulmane come i musulmani avran¬ no paura delle nostre. E' la guerra, no?» Era guerra, anzi dopoguerra, anche quel che poco più tardi ho potuto vedere prima nel cimitero di Ilidza e poi in quello, più lontano, di Vlakovo. Ricordate? Qualche giorno fa si parlava di serbi che preparandosi alla migrazione portavano via anche i loro morti. Quello di Vlakovo è un cimitero monumentale, prima che il grande macello esplodesse era stato costruito perché a Sarajevo, come in tutte le grandi città, non c'è più posto per i morti. E' diviso in settori. Il primo è per i «comunisti», ovvero gli atei. Poi sulla sinistra due sterminati campi per i defunti musulmani, irti di «nisani», le stele che dividono per sesso anche i morti. Se terminano con una sorta di turbante, le ossa lì sotto appartenevano a un uomo. Ecco infine i campi ortodossi: più scuri, più ridondanti, ma non più tristi degli altri. Un becchino alto e inagrissimo che si chiama Ivica Grabovac, si dichiara croato ma ha sposato una serba e si è trasferito, era l'esausto cicerone. «Quelli che se ne sono andati? Eccoli», faceva, mostrando un campo in cui le tombe mostravano un po' di terra in rilievo, coperta d'erba. «Qui c'erano i serbi morti durante la guerra: già una decina di famiglie li ha portati via Vede la terra smossa, le croci che non ci sono più? Gli altri si stanno organizzando, vogliono che il Comune di Ilidza organizzi un sistema di esumazione collettiva». Il padre di Grabovac è morto a Sarajevo mentre Ivica, già operaio metallurgico, si trasformava in necroforo per seguire la famiglia. E' sepolto in città, nel cimitero sorto nei prati intorno allo stadio di Zetra, e forse su quella tomba il figlio non pregherà mai. Giuseppe Zaccaria Nella foto in alto soldati italiani a Vogosca e qui sopra un bersagliere disinnesca una mina (FOTO ANSA]

Persone citate: Grabovac, Hasan Muratovic, Ivica Grabovac

Luoghi citati: Comune Di Ilidza, Dayton, Sarajevo