Quell'inutile omicidio a Manhattan

Massacrata a colpi di bastone al cimitero Quell'inutile omicidio a Manhattan Un tassista vittima dei sogni infranti di una ragazzina IL RACCONTO DEL '97 Cm NEW YORK ERA questa notte di pioggia che lavava via il '97 e questo bar dove rifugiarsi, giù a Tribeca. E c'era questo tipo con il toupé che gocciolava sul bancone, nello sgabello a fianco. «Cosa fai per vivere?» domandò. Racconto storie. «Ali sbuffò - mi pagassero per questo, sarei il principe di Manhattan». Diceva di conoscere le migliori storie di New York. Facemmo una sfida, consumazioni in palio. Una storia a testa, al meglio delle cinque, come una partita di tennis. Lui sceglieva l'argomento della prima sfida, chi vinceva, quello della seconda e cos'i via. Nessun giudice: le storie si giudicano da sole. Partimmo con una storia d'amore: vinsi io. Di morte: mi stracciò. Di disperazione: lo battei. Di speranza: recuperò. Match-ball. «E adesso - decise una storia di amore e morte, disperata, ma che lasci una speranza, una storia del '97». Questa è la storia con cui Mister Toupé ha vinto quattro Lagavulin, senza ghiaccio, e conservato la corona dei narratori massimi. Pioveva anche la notte di venerdì 14 novembre, quando Elhadjj Gaye, di anni 33, uscì dal buco a Spanish Harlem dove stava rintanato con altri quattro senegalesi. Salì sul taxi che aveva da poco preso in affitto, una Lexus LS 309, accese l'insegna sul tetto e si avviò sulle strade bagnate. Direzione: Manhattan. Al primo semaforo sistemò meglio sul cruscotto l'immagine di una donna che aveva visto solo in fotografia e sentito solo al telefono. Portava una camicia bianca e i capelli raccolti. Era la sua futura moglie. Viveva in Africa e aspettava da lui il denaro per un biglietto aereo. Destinazione: New York. La pioggia infastidiva Marta Nelson. Quella sera avrebbe voluto una visuale nitida, perché, finalmente, aveva davanti agli occhi il suo sogno, il pegno d'amore che aveva chiesto a Israel. Quando lui le aveva detto: «Ti cambio la vita», lei si era messa a ridere. Diciassette anni e aveva già fatto quasi tutti gli sbagli possibili: droga, prostituzione, affiliazione a una banda. Un uomo le aveva sfregiato il volto, un altro tirato giù due denti, un terzo marchiato le braccia con tre sigarette. Il suo soprannome era Cash, perché aveva sempre bisogno di contante. Cosa vuoi cambiare, Israel? «Voglio cambiare te». E l'aveva portata a vivere downtown, tra i castelli di ghisa di Soho. «Contenta, Marta?». Lei aveva ancora un desiderio, ma si vergognava a svelarlo. Una cosa che l'avrebbe fatta sentire una signora, perché una volta aveva letto che ce l'aveva Jacqueline Kennedy e ci passava le serate: un telescopio. E quella sera Israel le aveva regalato un telescopio. Piccolo, ma un telescopio. Con tutti i suoi risparmi. Qualunque cosa volesse farne Marta. Se bastava a cambiarla. Un telescopio. «Questo è un accidente di città - disse Mister Toupé - ho letto che si vendono cinquemila telescopi l'anno e non si vede una stella dal black out del '77. Li comprano per guardarsi nelle case, nessuno tira le tende alle finestre. New York: metà esibizionisti e metà guardoni». Elhadjj Gaye guardava la strada e non c'era nessuno che cercasse di fermarlo. Tutti rintanati nei locali. Bisognava aspettare l'orario di chiusura per tirar su qualcuno. Si diresse downtown, dove c'erano più club. Portò la visiera del berretto sulla nuca e intonò una preghiera nella notte di una città che cominciava a sentire meno straniera, anche se non aveva nessun documento e, quindi, nessun diritto per restarci. Marta Nelson cercava di mettere a fuoco il suo nuovo giocattolo, quando sentì qualcuno bussare alla porta e Israel aprirgli. Lo sentì parlare con suo cugino. Udì la voce di quello, più acuta, dire: «Non fa per te, non vedi che è un'altra razza? Una così non cambia, può solo rovinarti». Aspettò una risposta decisa, non la sentì arrivare. Non subito. Non come avrebbe voluto. Non prima che lei avesse spalancato la porta della camera, attraversato l'appartamento e fosse uscita di corsa, lasciandosi alle spalle, nell'ordine: la nuova vita, Israel e il telescopio. Andò a cercare Erica, un'amica più grande che era stata con lei nella banda e in qualche notte sbagliata, come si annunciava questa. Un po' bevvero, un po' fumarono, poi si misero in piedi accanto a un lampione, la mano di Marta tesa, per fermare un taxi. Ma non volevano andare da nessuna parte. Elhadjj Gaye si fermò e le fece salire. La voce registrata di Placi¬ do Domingo le pregò, inutilmente, di allacciare le cinture. Il guidatore chiese due volte, invano, la direzione. Alla terza, Marta disse: «East Harlem, tra la centoventesima e la prima». Stava tornando a casa. Stava tornando Cash. Non arrivarono mai. Mentre costeggiavano l'East River Cash estrasse la pistola e chiese a Elhadjj Gaye l'incasso della sua notte al volante. Lui aveva le tasche vuote. Si spaventò. Prese la foto della donna mai sfiorata, aprì la portiera e cercò di scappare. Erano le quattro e quaranta del mattino e pioveva ancora. Il colpo partì all'improvviso. Non era diretto a Elhadjj Gaye, era per il cugino di Israel, per i primi 17 anni della vita di Cash, per tutto quello che avrebbe potuto cambiare e lei, per rabbia, non voleva più. Uccise il suo futuro e un tassista senegalese, il quarantesimo morto ammazzato in dieci anni. «E a New York - disse Mister Toupé - vivono sì e no mille senegalesi, uno sputo nell'oceano, non li conosce nessuno, non li vede nessuno, quando arrivano vendono perline, quando hanno fatto un po' di soldi affittano un taxi, quando hanno il taxi muoiono ammazzati». Il funerale fu celebrato alla Francisco's Funeraria di Harlem. La bara era una cassa da imballaggio con i chiodi piantati male. Sopra, avevano scritto a pennarello «Senegal». Di fianco, qualcuno aveva aggiunto «I love you». Funerale di ultima classe. I soldi della colletta erano serviti a rispedirlo in Africa, dalla donna che non l'avrebbe mai sfiorato. Israel seppe tutto dalla polizia. Si sentì colpevole. Disse che Marta aveva perso la ragione per colpa sua. Gli risposero che non era un'attenuante. Chiese di andarla a trovare in carcere. Le portò un regalo. Il telescopio l'aveva restituito. Le diede un caleidoscopio. Guardi dentro e vedi un mondo fantastico: gemme e scintille, barlumi e perle. Meglio, molto meglio, delle case altrui o delle stelle, che a New York non ci sono. Non le promise che l'avrebbe attesa, ma le disse che aveva capito tutto e amava anche la sua disperazione e la sua rabbia. Le chiese scusa. Lei guardò nel tubo colorato e le sembrò che qualcosa potesse ancora avere la magia di cambiarle il futuro. Strinsi la mano a Mister Toupé. Aveva servito un ace. Nessuna risposta. Era la storia del '97: l'anno in cui sulla strada sono morti principesse inglesi e derelitti africani, in cui migliaia di uomini senza nome hanno traversato le frontiere per cercare di rifarsi una vita e hanno trovato la morte o sono sopravvissuti diventando invisibili anche alla lente di un telescopio che, in mancanza di stelle, punta le camere da letto, metafora di un mondo che non sa mirare a ideali più alti dei propri tetti, ma dove tuttavia c'è ancora chi, come estremo pegno d'amore, è capace di regalare la visione di una luminosa utopia alla fine del tunnel. Gabriele Romagnoli Lei si era aggrappata a una storia d'amore per dire addio a droga e violenza Lui inseguiva la speranza di far arrivare dal Senegal la futura moglie Un'immagine di Manhattan: il delitto del tassista senegalese per mano di una ragazza di 17 anni è avvenuto in una strada del cuore di New York il 14 novembre