Il '97, anno dell'odio per Netanyahu

Il '97, anno dell'odio per Netanyahu Il sasso nello stagno (a sorpresa) dal giornale progressista Haaretz: «Ingiusto demonizzarlo così, è un caso di nevrosi nazionale» Il '97, anno dell'odio per Netanyahu Dibattito in Israele: perché non gli si perdona niente? PSICANALISI DI UN PAESE TEL AVIV I L 1997 è stato «l'anno dell'odio B per Netanyahu». Così venerdì scorso il quotidiano Haaretz, un giornale che è per Israele specchio e banco di prova dell'elite fondatrice e di tutti i suoi figli, ovvero il foglio più caro alla sinistra, titolava uno sconfinato saggio scritto con la coscienza in mano da Ari Shavit. Shavit è un giornalista e uno scrittore tutt'altro che tenero col primo ministro d'Israele, e in queste buone quattordici colonne di piombo non manca di tirargli delle autentiche stoccate. Ma l'intendimento principale, peraltro perfettamente riuscito, è stato quello di aprire una crisi di coscienza su un fenomeno senza precedenti in tutta la storia d'Israele. Perché, come dice Shavit, se è vero che Israele ha sempre avuto una stampa e in generale un'opposizione molto sveglia, mai, neppure quando i primi ministri hanno creato dei veri e propri guai a Israele come nel caso di Golda Meir, si è attaccato qualcuno al cuore, nel carattere, nella famìglia, nella struttura personale e sociale, come oggi si attacca Bibi. Che cosa ha portato, si chiede Shavit descrivendo il fenomeno, «a quest'atmosfera di linciaggio? Perché le pagine dei commenti sono un'infinita lista di verdetti sommari? Come mai pubblichiamo storie che somigliano, l'una appresso all'altra, a una serie di plotoni di esecuzione allineati e tutti col fucile puntato sullo stesso condannato? Com'è possibile che intellettuali così per bene, così democratici, si siano tutti gettati a corpo morto in questa caccia alle streghe, e vi abbiano partecipato senza nessun ritegno?». Domande che per un lettore italiano che ha vissuto le grandi tempeste di odio ideologico dei nostri Anni 60 e 70 sono particolar- mente interessanti. La reazione praticamente di tutti i commentatori politici di Israele, colpiti dal fatto che un uomo del calibro di Shavit, e su un giornale come Haaretz aprisse un capitolo, per così dire, «politicamente scorretto», è stata esplosiva, e persino un po' isterica. Sui giornali, alla televisione, per la strada, alla radio, tra gli anchormen e i direttori di giornali, è stato tutto un ripercorrere le ragioni per cui l'odio per Bibi, invece, sarebbe un diritto politico; la sostanziale rottura del processo di pace, la fama di bugiardo che ha distrutto la fiducia dei palestinesi in Israele, le violazioni dello status quo, a Gerusalemme, la costruzione del nuovo quartiere di Har Homa, le bravate fallite del Mossad, il grande tasso d'odio che Netanyahu suscita fra i suoi, la smania di potere, e quell'orribile moglie di cui tutte le baby-sitter e i parrucchieri maltrattati e licenziati raccontano storie da basso Impero, hanno fatto sì che l'analisi di Shavit sia caduta come una meteora rovente su tutte le cene e i salotti dove prima di cominciare la minestra era d'obbligo recitare un ar- ticolo di fede sull'ovvia impresentabilità di Bibi. Ma vediamo dunque gli argomenti sostanziali di Shavit: prima di tutto lo scrittore ricorda che Rabin e Peres sono stati ampiamente perdonati dal pubblico israeliano e dal mondo intero per motivazioni che invece hanno valso a Bibi condanne severissime: per esempio, l'impotenza di fronte agli attentati terroristici, oppure il pugno di fer- ro col nemico e anche grandi errori come lo spargimento di sangue dovuto agli ordini di Shimon Peres nell'ultima guerra col Libano quando fece bombardare il rifugio delle Nazioni Unite pieno di civili. I motivi dell'odio, dunque sostiene Shavit, sono altri: dall'inizio degli Anni 90, fino all'autunno del '94, noi, gli israeliani, dice Shavit, siamo stati invasi da uno spirito messianico, ci siamo messi a danzare, dopo essere per tanti anni stati sobri e razionalisti, la grande danza estatica e cabalistica della pace. Ci siamo raccontati la novella che dietro l'angolo c'era la fine del vecchio Medio Oriente, e che Rabin era il Messia di un'era di improvvisi cambiamenti globali; presto Israele e la Palestina sarebbero diventati la Norvegia. Quando la storia dimostrò che lo scenario non era così semplice, che qualcosa di terribilmente più complesso, qualcosa di legato all'identità, alla storia e alla cultura, tornava a mostrare i conti, quando la tragedia dell'assassinio di Rabin si mescolò con quella delle tante vittime del terrorismo, i credenti del Nuovo Millennio dovettero cominciare a ricredersi. Ed è qui che entra in scena Netanyahu, il Giuda Iscariota del sogno, l'assassino del Messia. Insomma, Shavit sostiene che odiare Netanyahu ha risposto ai bisogni emozionali più profondi che Israele sentiva nel momento in cui le era più difficile esaminare se stesso; perché odiare rende sempre la vita più facile che non affrontare le proprie difficoltà, che non confrontarsi con un brusco risveglio. Shavit ricorda anche che fu la paralisi di Oslo a portare all'ascesa di Netanyahu, e non il contrario. E che guardare fisso Bibi è servito a non guardarsi intorno e a non scorgere l'insufficienza di una politica di pura ritirata, l'impotenza di fronte al terrorismo, la rinnovata forza dell'esercito egiziano, i missili siriani, la guerra chimica pronta da parte irachena, le insidie iraniane... Insomma la vecchia storia d'Israele. «Abbiamo seguitato a coltivare l'illusione che se lui fosse sparito, allora sarebbero spariti anche tutti i nostri problemi». Matti Golan risponde che Netanyahu è odiato soprattutto dai suoi, e che quindi la tesi dell'odio faritasmatico non vale; Dan Margalit dice che persino le cameriere di Sarah, e non solo le élites, ce l'hanno con lui, e che sono in buona compagnia dato che anche Clinton farebbe volentieri a meno di averci rapporti. Uzi Ben Zimann, un altro illustre giornalista, ha sostenuto che da Bibi emana un'aria di menzogna e che è per questo che nessuno lo può soffrire... C'è stato anche qualcuno però, come Menahem Ben, che in un impeto liberatorio ha scritto che i politici odiano Bibi perché è più colto, più sincero, più bello, insomma migliore di loro. E che anche sua moglie è migliore di tutte le mogli di tutti i primi ministri precedenti. Comunque sia, si è rotto un tabù che costringeva tutta l'Israele bene a fare boccucce, e che oltre alla parte di legittima critica conteneva anche molti elementi di scherno e di snobismo irrazionale. Insomma, si tratta di una discussione fuori dagli schemi, benaugurate per il 1998 d'Israele, e di cui tutto il mondo ha sempre bisogno. Fiamma Nirenstein La difesa: su di lui si scaricano frustrazioni che si spera così di esorcizzare Tate e parrucchieri maltrattati raccontano sulla moglie storie da basso Impero «Ogni articolo o programma tv su di lui si trasforma in un linciaggio» Leah Rabin, moglie del premier israeliano assassinato, non ha risparmiato le critiche all'uomo che è succeduto al marito La first lady israeliana Sarah Netanyahu è stata spesso accusata di arroganza e autoritarismo dai giornali israeliani Il volantino blasfemo distribuito a Hebron da Tatiana Susskin che rappresenta come un maiale il profeta Maometto Dopo l'attentato israeliano contro un leader di Hamas a Amman, Re Hussein ha sollevato una bufera diplomatica contro Netanyahu