Quando il potere fa rima con barbiere

IL PALAZZO IL PALAZZO Quando ilpotere fa rima con barbiere OME potete giudicar? Come potete condannar? Chi vi credete che noi siam? Per i capelli che portiam?...». E già: chissà chi si crede che siano, e con quali risorse di consenso il sindaco di Milano Albertini giudica e condanna - come da antica canzoncina dei Nomadi - alcuni vigili urbani per le loro lunghe chiome, talora raccolte in code di cavallo, e per gli orecchini con i quali pretenderebbero di adornare il loro aspetto, seppur in spregio al regolamento municipale. Ecco dunque l'ultimo episodio dell'interminabile guerra tra Albertini e i vigili milanesi: ledono l'immagine e il prestigio del Corpo fluenti capigliature e accessori alla moda? Può il cittadino ritenersi infastidito dal ghisa capellone e orecchinato o dalla vigilessa - giacché il decoro regolamentare riguarda anche il genere femminile con gioielli troppo appariscenti? Il sindaco ritiene evidentemente di sì, e la sua autorità, sia pure attraverso il comandante Chirivì, gli consente ultimatum ed eventuali provvedimenti disciplinari. Per cui, certo, Milano avrà purgj tanti altri problemi, ma intanto, secondo la lezione del sindaco di New York Giuliani, si parte da questioni minime di ordine e pulizia per quanto di indubbio peso simbolico e impatto emotivo. Misteriosamente, nel divieto non sembrano contemplati piercing e tatuaggi. Ma il dato puramente estetico sembra secondario. Se il vigile con la coda di cavallo può in effetti risultare poco gradevole alla vista, altrettanto si può dire dello slippino a strisce gialle rosse e nere che comparve la scorsa estate in una sequenza di foto di Albertini mentre si spogliava, per prendere il sole, nel suo estremo biancore, oltretutto su un incongruo sfondo alpestre. Come si vede, e come d'altra parte possono confermare sindaci e vigili impeccabili, sul piano del gusto tutto è discutibile e relativo. E tuttavia il potere non può riconoscerlo. Anzi, con qualche I esempio si può addirittura I sostenere che nelle sue varie incarnazioni il potere è irresistibilmente attratto da capelli, barbe, baffi, monili, vestiti, lunghezza di gonne. E spesso si ritiene autorizzato a decidere sull'aspetto altrui. Giuliano Ferrara si ricorderà senz'altro del suo preside - all'Albertelli, fine Anni Sessanta - che per aver tagliato le chiome a due capelloni contestatori si meritò l'appellativo di «preside barbiere». Lo stesso simbolico rito di degradazione, trent'anni dopo, ai danni di due zingari, l'ha compiuto platealmente il vice presidente del Senato e avvocato Misserville (An) che pure li aveva difesi in tribunale. Più di una volta, da presidente, Fanfani jspmanò rigorose circolari sul-- ■-, l'abbigliamento del personale di Palazzo Chigi e Palazzo ^Madama, Invano, a Montecitorio si tentò di far indossare alle impiegate delle vesti disegnate da un sarto fiorentino. Di Scalfaro si ricorda una clamorosa intemerata contro il prendisole di una signora, durante il Giubileo del 1950. Di Berlusconi si sa che ancora detesta barbe e baffi. Nelle sue aziende e nel suo partito, tali personali idiosincrasie sono legge, così come il blazer è considerato uniforme d'ordinanza. Anche Togliatti non risparmiava paternali a quei deputati che alla Costituente si presentavano vestiti «da rivoluzionari», con la camicia da partigiano. Ai vigili milanesi è toccato in sorte Albertini (che è persona di spirito). Magari potrebbero riaprire il negoziato sul decoro del Corpo mettendo nella piattaforma la garanzia di non vedere mai più sui giornali il loro sindaco che si sfila i pantaloni. Filippo Ceccareili

Luoghi citati: Milano, New York, Ome