Il bollo del cattivo gusto

I SAPORI PERBUTI Addio ai formaggi mitici, la burocrazia adesso impone che gli alpeggi siano piastrellati Il bollo del coltivo gusto Così le leggi uccidono la genuinità I SAPORI PERBUTI SROMA A di storia natalizia quella di Giancarlo Milani: e, se non c'è la cometa, ci sono per fortuna i pastori. Quindi mucche, latte e formaggio. Un formaggio che si chiama Betelmatt, che pochi conoscono, che è antichissimo, buonissimo e salvo. Aveva rischiato di scomparire e se non fosse stato per Milani, volenteroso pensionato di Reino di Leggiuno, nel Varesotto, nessuno assaporerebbe più «quel fresco che ti riempie la bocca». E' rinato sugli alpeggi della Val d'Ossola, davanti alla Svizzera, a 2 mila metri, da 85 mucche mandate a pascolare per 15 giorni. «Da quel latte speciale adesso se ne ottengono 200-230 forme l'anno, stagionate per almeno 40 giorni, anche se credo che il meglio lo diano dopo anni. La passione mi è nata quando me ne fecero assaggiare un pezzo di 20 anni. La gente si teneva il Betelmatt in baita, senza immaginare che custodiva un tesoro. Speriamo che questo tesoro duri». Il Natale di Stelio Bettini, invece, è stato malinconico. Pensionato pure lui, aveva riempito il tempo ricreando la salsiccia senza conservanti dell'infanzia, quando con lo zio andava ad ammazzare il maiale dalle parti di Soliera, nel Mantovano. «L'ho riportata in vita con carne di prima scelta. Avevo tutto in regola, il laboratorio a norma di legge». Poi, 2 anni fa, è arrivato l'obbligo del bollo Cee ed è stato l'inizio della fine. «Ci voleva la scadenza e, dato che non avevo gli strumenti necessari, dovevo farla analizzare prima di venderla ai macellai. Ma il dramma era che ci volevano 2 giorni per le procedure burocratico-scientifiche. Troppo, perché dopo 2 giorni, anche se era sempre buonissima, la salsiccia marca Bettini diventava scura». E i negozianti, e soprattutto i clienti, non la volevano più. «Oggi la gente compra con gli occhi. Vuole che resti tutto uguale, anche per una settimana». Storie parallele. A Bettini resta il rimpianto e Milani prova un'inquietudine sottile. In un caso e nell'altro in agguato c'è l'irragionevolezza di alcune leggi. «Pretendono che gli alpeggi siano piastrellati, che ci sia acqua corrente secondo certi parametri, ma come si fa?». Sa di leggenda metropolitana quella delle piastrelle in quota, ma è vera. «E' talmente complicato e antieconomico fare un alpeggio del genere che ci si scoraggia e spesso si chiude», si lamenta Carlo Gottero, dirigente della Coldiretti. «A 2 mila metri impongono norme più rigide che nelle sale operatorie. Vogliono sistemi di depurazione come se ci si trovasse in un'indu¬ stria e la legge contro gli infortuni è la stessa degli stabilimenti. Ma lo sa che bisognerebbe dipingere le stalle di blu? Dicono che tiene lontane le mosche. Sembra che le norme siano fatte apposta per far scomparire ciò che non è omologato». Dove sta la salvezza, eroismi a parte? Secondo Corrado Barberis, direttore dell'Istituto di sociologia rurale di Roma, sta nella terziarizzazione. Brutta parola, solo apparentemente agli antipodi del mondo «primario» dell'agricoltura. «Contadini e allevatori devono specializzarsi in piccole produzioni ad alto valore aggiunto, legate all'agriturismo». Anche cos'i si umanizzano le leggi- «Chi produce un insaccato deve offrire 3 elementi: la materia prima, la trasformazione e l'evocazione di situazioni». Si entusiasma, Barberis: «La famosa salama da sugo è già citata nei testi del '700 e l'Artusi elaborò una ricetta apposta. Venderla e mangiarla significa riappropriarsi di un passato nobile». Come è successo con il lardo di Arnad, in Valle d'Aosta, strappato all'è- stinzione da una politica di valorizzazione: lo fanno di nuovo come una volta, in recipienti di vetro e coccio, con sale, vino, chiodi di garofano, achillea millefoglie, ginepro. «I sapori si preservano ridiventando artigiani del cibo», conferma Gabriele Costantini, veterinario di Teramo, che ha appena creato l'associazione «Carni d'Abruzzo»: «I macellai, e gli allevatori, devono conoscere ogni aspetto, dall'alimentazione degli animali alle ricette per le carni. Solo il prodotto locale è controllabile dall'inizio alla fine». E uguale attaccamento al territorio l'hanno dimostrato i coraggiosi del consorzio dell'aceto balsamico tradizionale di Modena, un mix di antico in veste post-moderna (bottiglia disegnata da Giugiaro e tappo con capsula termosaldata). «Ci ispiriamo alla filosofia cinese, per la quale i cibi che si assimilano meglio sono quelli che appartengono alla propria terra», spiega Costantini. Insomma, è questione di Dna e di echi interiori, come li chiamava Italo Calvino. Non basta l'occhio. L'occhio del consumatore da supermarket scambia il bello e brillante per buono, si fa affascinare dal dominio della quantità. «Ma è una quantità apparente». Osserva Barberis: «Nel I secolo Plinio elencava 50 salumi, e relativi gusti, e un'ottantina di pani. Oggi siamo, rispettivamente, a 250 e 200, ma c'è un ma. A furia di selezioni la carne di maiale è diventata sempre più uguale e magra e la varietà delle farine non c'è più: che senso ha questa moltiplicazione se la base è unica?». Il massimo dell'offer- ta virtuale l'ha raggiunto tina gelateria di Merida, in Venezuela, che offre 683 aromi di gelato: c'è anche il cornetto alle sardine e per questo la «heladeria» è entrata nel Guinness dei Primati. «Così succede che ingeriamo sempre più cibi trattati industrialmente, i cui sapori si uniformano e si svuotano, con la riduzione delle vitamine e la denaturizzazione delle proteine», osserva Renzo Pellati, alimentarista. «E' indiscutibile che ci sia un legame tra aromi naturali e patrimonio nutrizionale». L'impero dell'occhio ha finito per produrre mostruosità peggiori della mucca pazza. La storia più sconvolgente, nient'affatto natalizia, arriva dalla Gran Bretagna ed è quella dei tacchini, alimentati con antibiotici che ne fanno esplodere la crescita, finché diventano tanto grossi che si spezzano le zampe per eccesso di peso e impazziscono, spesso beccandosi a morte gli uni gli altri, al limite del cannibalismo nevrotico. Chi lo direbbe che c'è un segreto sapore di morte a fissare quelle carni bianche, magre, tenere, invitanti? Gabriele Beccaria [Fine] «Bisognerebbe dipingere le stalle di blu: dicono che tiene lontane le mosche» «La salsiccia va analizzata prima della vendita ma diventa scura e non la comprano più» «L'occhio del consumatore da supermarket scambia il bello e brillante per il buono» PERBUTI Un produttore di formaggio a Castelmagno: è uno dei sapori che stanno lottando contro la burocrazia