Vattimo: le nostre nottate a parlare di letteratura

Vattimo: le nostre nottate a parlare di letteratura IL DOLORE DEL FILOSOFO Vattimo: le nostre nottate a parlare di letteratura LTORINO 0 conobbi circa otto anni fa, a casa di una comune amica, quando ancora era uno scapolo d'oro. Passammo una bella serata in cui mi trovai a pensare: "Ma guarda un po', è proprio un ragazzo intelligente e pure con il gusto per l'ironia". Il giorno dopo, pensando di fargli cosa gradita, gli mandai in ufficio un regalo: «Accoppiamenti giudiziosi» di Gadda, un libro che pareva scritto apposta per lui. Anche se lui, giudizioso, bisogna dire la verità, è sempre stato. Come mi auguravo, gradì molto il mio dono, e da lì cominciò un'amicizia che ci vide per tante sere fare le tre a parlare di Kierkegaard o Calvino. Un'amicizia che oggi non posso che rimpiangere: per quanto sia abituato a chiacchierare con studenti e giovani intellettuali la sua personalità mi colpì in modo particolare, e fin dal primo momento». A confezionare questo ricordo inedito di Giovanni Alberto è il filosofo Gianni Vattimo che ieri pomeriggio ha accolto con grande dolore la notizia della scomparsa del giovane erede dell'impero Fiat: «Certo, eravamo preparati al peggio, ma in qualche modo si continuava a sperare in un miracolo. Il fatto poi di averlo visto mercoledì sera allo stadio ci aveva illuso che le sue condizioni fossero leggermente migliorate». Professore, in che modo preferisce ricordare Giovanni Alberto? «Mi piace farlo attraverso un aneddoto che ne può svelare i tratti del carattere più di tante parole. Un giorno ci trovammo a parlare dei suoi frequenti viaggi a Pontedera. Lui faceva il pendolare quasi ogni giorno. Già mi stupì il fatto che scegliesse il treno, la linea TorinoPisa, per i suoi spostamenti. Ma la cosa più sorprendente era il fatto che lui sottolineò subito di viaggiare rigorosamente in seconda classe. Gli chiesi il perché di una scelta così bizzarra. E lui mi rispose che preferiva viaggiare nei vagoni meno lussuosi perché in questo modo era meno esposto ai rischi di rapimento, ma soprattutto perché in seconda classe si potevano incontrare persone più interessanti». In che senso interessanti? «Perché si trattava di persone che non appartenevano al suo mondo. Ecco, questo gesto la dice lunga sul carattere di Giovanni jr: era un ragazzo democratico, aperto, pieno di stimoli e curiosità, mai prigioniero del proprio personaggio e sempre pronto a carpire nuove conoscenze. Si spiega così anche il suo amore per la filosofia morale e la letteratura. Quando mi accompagnava a casa sulla sua Alfa Romeo rossa, restavamo davanti al portone per ore intere a parlare di filosofia della politica come della scoperta di nuovi talenti letterari. Non che fossimo sempre d'accordo, anzi. Spesso la scelta di certe letture ci vedeva molto divisi. Io cercavo sempre di indirizzarlo verso i testi che trovavo più giusti per un personaggio come lui». Un personaggio che, come lei stesso sostiene, spesso si dimostrava ansioso di vivere la vita come un ragazzo qualunque. «Proprio così: voleva vivere la vita in modo semplice. Ed era questo il lato più originale e apprezzabile del suo carattere. Vuole un altro esempio? Lui era un giovane di bell'aspetto, ma nessuno l'ha mai sorpreso in atteggiamenti da play-boy. Non aveva mai l'aria di credere d'essere irresistibile anche grazie al ruolo che ricopriva: gli bastava essere brillante. E poi era coraggioso». In che situazione ricorda che abbia dimostrato coraggio? «L'esempio più eclatante riguarda sicuramente l'annuncio della sua malattia. Chi altri avrebbe pensato di informare il mondo in una maniera così pubblica, serena e composta al tempo stesso? L'ho trovato un atteggiamento schietto che dovrebbe restare un esempio per tutti». Emanuela Minucci Giovanni Alberto Agnelli. A sinistra il professor Gianni Vattimo. In alto la moglie di Agnelli jr., Avery Frances Howe

Luoghi citati: Pontedera