L'albero dei frutti d'oro
UHIT WRAOS si11 I/albero dei frutti d'oro agna, dove l'Europa non fa paura CESENA (Forlì) DAL NOSTRO INVIATO C'è un allevamento, non lontano da Cesena, che non assomiglia a nessun altro in Italia. Innanzi tutto i suoi ospiti si contano a migliaia, e in secondo luogo stanno tutti in pochi metri quadrati. Mangiano, bevono si riproducono e fanno vibrar elitre (chi le ha) in contenitori non molti più grandi di una scatola da scarpe. E' la «fabbrica degli insetti utili», ovvero il Biolab, nato da una sperimentazione universitaria (nel sottoscala di un mercato ortofrutticolo) e divenuto cooperativa. Dal '91 produce insetti i cui nomi non dicono nulla al profano (eccezion fatta per la coccinella), e che sono destinati soprattutto alle serre e alle colture protette, ma si stanno esercitando - pare con successo anche sugli agrumi di Sicilia e sul verde pubblico. Aggrediscono gli insetti dannosi, li divorano o fanno le uova dentro le loro larve, comunque li uccidono. Il «Biolab» è una iniziativa d'avanguardia, ancora pionieristica (fattura poco più di quattro mibardi, contro i 40 della più celebre e antica «fabbrica» di questo genere, che è olandese) ma, come spiega il presidente Guido Piraccini, esporta anche in Olanda. E poi al Sud, il cliente migliore soprattutto per i «bombi», simili alle api ma molto più attivi nell'assicurare l'impollinazione. La fabbrica degli insetti utili non poteva che sorgere qui, nel più grande «laboratorio» italiano per i prodotti ortofrutticoli, dove a maggio c'è Macfrut, la più importante fiera europea del settore, e l'Europa non fa paura. «Perché i regolamenti europei ci hanno consentito un progresso importante», ci spiega Renzo Piraccini, direttore generale dell'Apofruit, una mega-cooperativa del settore. Stesso cognome per i manager del Biolab e dell'Apofruit, ma dimensioni incomparabilmente diverse (questa cooperativa ha 4200 soci sparsi, come vedremo, in tutta Italia - 5 stabilimenti tra Forlì, Rimini e Ravenna, 200 miliardi di fatturato) e stessa attenzione, sarà un caso?, al Sud. Qui entra in campo l'Europa. «Il 60 per cento del nostro fatturato va all'estero. Ma non possiamo portare solo i prodotti della zona: se mi confronto con la grande distribuzione tedesca, ad esempio, devo dare tutto, e meglio degli altri, con numeri e cifre tali da non essere un nano di fronte a un gigante. Altrimenti non faccio affari, prendo ordini». Così, per non prendere ordini, le organizzazioni dei produttori di ortofrutta romagnole, da Bologna all'Adriatico, commerciano da tempo anche i prodotti del Meridione. Prima lo facevano col sistema del «trading», ora possono associarsi direttamente con i colleghi siciliani o campani, perché l'Ue rende possibili le cooperative interregionali. All'Apofruit ne hanno costruita subito una, la «Mediterraneo», che associa cooperative campane, pugliesi, siciliane e una società di produttori di Messina. «La maggioranza è in mano al Sud, la testa commerciale è qui. Ognuno mantiene intatta la propria identità, ma all'interno di un unico sistema gestionale». I risultati già si vedono. A febbraio verrà lanciata in pompa magna la «fragola del Metaponto», pensata cercando di anticipare i gusti del pubblico, per evitare ad esempio la sorte delle arance siciliane: sono rimaste belle rosse e sanguigne come ai tempi degli arabi, e per qualche misterioso motivo i consumatori le hanno rifiutate preferendo quelle più chiare e persino un po' meno gustose. E se la fragola del Metaponto non dovesse piacere? «Piacerà, piacerà. La fragola deve essere dolce, bella e rossa. Vedrà che piacerà». E sana, aggiungono tutti. Perché mentre si parla molto di colture biologiche, importanti ma costosissime e «di nicchia», la vera rivoluzione dell'agricoltura italiana in questo campo è invece la «coltura integrata», che cerca di tenere ai minimi i livelli di chimica, pur puntando a produzioni su vastissima scala, che abbiano un marchio, un nome e cognome. La «riconoscibilità» per imporsi. Così hanno già inventato la supercarota col 40 per cento di carotene in più, e la distribuiscono confezionata e marchiata, avvolta nel classico velo di plastica sulla vaschetta di polistirolo. Non è un po' tristanzuola? Niente affatto, ti rispondono. L'incanto delle cornucopie di frutta coloratissima, mucchi di pesche e cascate di pomodori, si è rotto da tempo. Chi ne è ancora sedotto lo deve a motivi «generazionali»: ma i consumatori hanno una paura dannata dei pesticidi e vogliono sapere. Vogliono le confezioni garantite. Vero? Falso? Se gli affari vanno bene, sarà vero. E gli affari vanno benino in questa zona dove andando per frutteti si notano enormi parallelepipedi dall'aspetto inquietante. Sono frigoriferi dove ad ogni piano è stivato un certo frutto o un certo ortaggio, e ogni piano ha la temperatura ideale per la conservazione di quel prodotto. Valgono mezzo miliardo l'uno. Ci entrano i camion (frigoriferi, è ovvio), scaricano o caricano il con¬ tainer e ripartono. Cesena è la loro capitale. Ce n'è una flotta di 2 mila, su cui viaggia la gran maggioranza dell'ortofrutta italiana: quella del Centro-Sud, ma anche ad esempio quella del Trentino o del Piemonte, altro polo di questa agricoltura ottimista. All'iniziativa «Mediterraneo» aderisce così anche una grossa cooperativa di Lagnasco, nel Saluzzese, dove venne «inventato» il kiwi italiano semplicemente, come ci ricorda il professor Bruno Giau dell'Università di Torino, grazie all'iniziativa di un frutticoitore che avendone sentito parlare comperò un biglietto per la Nuova Zelanda. Imprenditorialità e anche un pizzico di spirito d'avventura nelle capitali della frutta non sono una novità: sempre a Lagnasco, subito dopo la guerra, pare ci fosse, presso un grosso commerciante del settore, l'unica telescrivente del Cuneese, che serviva anche al Prefetto. E da Saluzzo, un bel giorno, qualcuno decise di rischiare la spesa e andare in Germania a comperare (sono carissimi) una bella fornitura di nidi, soprattutto di pipistrelli ma anche di altri volatili, da appendere agli alberi da frutto. Gli occupanti arrivarono spontaneamente, e intrapresero la lotta biologica contro gli insettti dannosi. Ma i pipistrelli, da soli, non ba¬ stano: le carte vincenti sono le associazioni di produttori e la ricerca, per esempio con la scuola di frutticoltura di Verzuolo. Il risultato è che si produce frutta di alto valore in grado di competere sui mercati, (e con «un modello che non ha sconvolto la proprietà agricola, dove possono convivere piccoli e medi», come spiega ancora il professor Giau): ma grazie a una rete fittissima e all'osservanza di regole. Rete e regole, disciplina e organizzazione: sono le parole d'ordine della nuova agricoltura, soprattutto della nuova generazione che ha rinunciato a quel misto di totale libertà e di mancanza altrettanto totale di difesa nei confronti del mercato che caratterizzava i padri e i nonni. Di «nuovi agricoltori» ce n'erano parecchi, a Cesena, per l'assemblea dell'Apofruit destinata a fissare i prezzi dell'annata. Tranquillamente orgogliosi, senza trionfalismi. Come ci spiegava ad esempio Nazareno Bottelli, coltivatore di fragole, sulla quarantina, un ritorno ai campi dopo esperienze cittadine: per necessità (era venuto a mancare il padre) ma anche, a poco a poco, per scelta. «Sono sulla media di questa zona, 5 ettari, lavoro con la mia famiglia e ricorro alla manodopera esterna solo per la raccolta». Soddisfatto? «Con un po' di condizionale, sì, anche se sono preoccupato per il futuro. Non c'è chiarezza da parte del governo. E se la nostra scelta di un mercato associativo è in teoria il massimo della razionalità possibile, i problemi ci sono eccome. Per esempio il terreno: io làccio fragole, e comincio ad avere difficoltà nella rotazione. Perché non c'è flessibilità, e ci vorrebbe più terra ma a questi prezzi non si può avere. Noi andiamo in Europa con costi troppo alti: i dipendenti stagionali mi costano il doppio della media europea». Il signor Battelli parla da imprenditore. E' questa la nuova cultura contadina? «Beh, diciamo che noi, dal punto di vista culturale, il contadino l'abbiamo superato da tempo. E' un'immagine che forse piace al professionista quando viene a cercare ricreazioni spirituali in campagna, ma che non esiste più. Bisogna dare un'interpretazione economica della ruralità: la collina è bella perché c'è produzione agricola. Perché ci siamo noi». E a furia di coltura integrata domani, magari, ci saranno di nuovo anche le lucciole. Ricordate Pasolini? Aveva fatto della loro scomparsa dalle campagne, in un memorabile articolo degli Anni 70, il vero simbolo d'un mondo che muore. Chissà che non se ne possa ordinare qualche milione al Biolab, e ripopolare una collina di maggio. Mario Baudino (2 - continua) UHIT WRAOS si11* jbb» PRODUZIONE IN MIGLIAIA DI QUINTALI ALE RACCOLTA JjLMjjJOTALE RACCOLTA kiwi italiano semplicemente, co i rid il f Bstano: le carte vincenti sono le asiii di dtti l ritrionfalismi. Come ci spiegava ad i N Blli li Un'azienda alleva ed esporta insetti utili, un'altra in febbraio lancerà una superfragola Una megacooperativa riunisce 4200 soci sparsi in tutta Italia «E'la qualità la nostra arma»
Persone citate: Battelli, Bruno Giau, Giau, Guido Piraccini, Mario Baudino, Nazareno Bottelli, Pasolini, Renzo Piraccini
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