Il trionfo del Giullare resse di Igor Man

Il trionfo del Giullare resse Il trionfo del Giullare resse Da Mistero Buffo al Nobel annunciato LA mattina del'29 di aprile di quel 1977, Carlo Casalegno, vice direttore della Stampa, lui che'le Br avrebbero ammazzato di lì a poco (Torino ha appena ricordato Carlo a vent'anni dalla sua morte), mi telefonò per dirmi se mi andava di scrivere un pezzo da non addetto ai lavori su quella visione privata del discusso e vilipeso testo di Fo. Ebbene, Dario Fo ha «toccato» la Madonna; cominciava così il mio articolo che La Stampa pubblicò in prima pagina, con rilievo. Ma lo ha fatto, aggiungevo, con rispetto plebeo, con infinita pietà e, soprattutto, con poesia. Mistero Buffo: la scena è spoglia, un fondale neutro e Franca Rame dice subito che il pubblico deve immaginare la croce, là, alle sue spalle. Avverte che mimerà più parti: quella di alcune pie donne, dell'arcangelo Gabriele che vuole consolarla, quella dello stesso Gesù e, infine, della Madonna. La Rame è vestita da contadina, con lo scialle, l'anello d'argento al dito, gli orecchini d'oro. Il suo viso appare stravolto dalla fatica, dalla commozione. Come si diceva una volta, si vede che si immedesima nella parte, anzi nelle parti. Il testo che il suo discusso compagno ha allestito per lei, è mutuato dai vecchi canovacci popolari del '400 e del '500, ed è in grammelot, una sorta di esperanto dei poveri, un felice pastiche di parlate della Val Padana. Nessuno riesce a fermare Maria lungo la strada che porta alla croce, e lei afferra una scala e s'avvicina al figlio. Gli dice le parole eterne della mamma al bambino, e allorché il soldato romano, schernendola, la fa scendere dalla scala, lei, povera madre contadina, offre al milite il suo anello, gli orecchini perché le faccia la carità di legare lo scialle al torace del figlio in modo che possa respirare meglio. Invano. Sicché Maria maledice gli aguzzini che le consigliano di uccidere il figlio per abbreviargli la pena. «Voglio morire abbracciata a mio figlio», grida. E lui, Gesù, pietoso alita: «Va' a casa, mamma». Ma lei, in delirio, vede l'arcangelo Gabriele che tenta tenere parole di conforto e «Torna ad allargare le ali», gli dice, «Gabriele, torna indietro al tuo bel cielo gioioso, che non hai niente da fare in questa schifosa terra, in questo tormentato mondo, torna indré al to bel del zojoso». Mi avevi detto che sarei stata beata fra le donne, ed invece eccomi qui a patire. Mi avevi detto che mio figlio sarebbe stato un glorioso cavaliere e invece «i suoi speroni sono chiodi, gran dodi impiantat ai pie». No, Gabriele, secondo Maria, non può conoscere e capire il suo strazio. «Lo hai avuto, tu Gabriele, nel ventre deformato, il figlio mio? Hai conficcato i denti nelle labbra per non urlare di dolore nel partorirlo? Lo hai nutrito? Gli hai dato il latte della mammella? Hai passato le notti a cullarlo quando piangeva per i primi denti? No, Gabriele». Certamente a un buon borghese tutto casa ufficio parrocchia, ai bravi sacerdoti genuinamente «conformisti», ai praticanti rigorosi il testo di Fo può apparire «dissacrante», ma si può definirlo «blasfemo»? Ne dubito e questo perché il dolore di Maria è il dolore autentico della madre, da che mondo è mondo. E' il dolore della mamma del partigiano crocifisso a testa in giù, il dolore della madre del poliziotto ammazzato dal terrorista, della madre ebrea quando ad Auschwitz le strappano il figlio dalle braccia. Il Mistero, questo dialogo di una terribile bellezza asciutta da Jacopone di borgata, ha fatto discutere e farà discutere a lungo. Mi dicono che Fo abbia spiegato come Maria veda in Gabriele il simbolo del potere. Francamente codesta spiegazione sembra una forzatura provocatoria, sia come sia reputo corretto quel che, allora, durante la polemica del 1977, ebbe a dire il teologo Gianni Gennari: «Dario Fo non è un bestemmiatore né un Giuda, così come Franco Zeffirelli non è il tredicesimo apostolo». Ricordo che, a proiezione finita, don Levi, il vice direttore dell'Osservatore Romano, ridacchiava nel vano tentativo di celare la commozione che l'aveva preso. Ricordo che s'accese una serrata discussione tra di noi giornalistispettatori. Visibilmente irritato, Mino Doletti, il famoso e duro critico de II Tempo, con gelida ironia disse: «Sta a vedere che magari ci sarà qualcuno che vorrà avanzare la candidatura di Fo al Premio Nobel». Al che risposi: «Io non sono un critico, sono solo un italiano adulto, uno spettatore qualunque e molto commosso, stasera. Ebbene, se dipendesse da me, il premio Nobel a Dario Fo glielo darei. Perché la sua Madonna è vera, la sua Madonna è veramente la madre di tutti, credenti e non». Così finiva il pezzo che scrissi allora. Vent'anni dopo è successo che uno scambio (polemico) di battute sia diventato un fatto. E che fatto: il Nobel per la Letteratura a Dario Fo, giullare rosso. Igor Man orso molti nti politici alle stragi i fino uzione zione offese di ogni tpo. Ma «FrancRame e io abbiamo resistito[r. crise ato Dario Fo mercoledì riceverà a Stoccolma il Nobel per la Letteratura Dario Fo mercoledì riceverà a Stoccolma il Nobel per la Letteratura

Luoghi citati: Stoccolma, Torino