Partì per il Nobel, non tornò più
Partì per il Nobel, non tornò più Partì per il Nobel, non tornò più UN treno con vagoni-letto partì in direzione Firenze dalla stazione Termini di Roma alle 21 del 6 dicembre 1938. Lungo il viaggio: raggiunto il confine avrebbe attraversato la Germania fino al Mar Baltico, qui i passeggeri avrebbero preso un traghetto per la Svezia, dove un altro treno doveva portarli a Stoccolma. Un viaggio normale per quei tempi. Basta però una sola circostanza a rendere significativi eventi all'apparenza ordinari. Sul treno c'era Enrico Fermi con la moglie Laura, ebrea, e la sua famiglia. Andava a Stoccolma, dove il 10 dicembre avrebbe ritirato il premio Nobel per la fisica. E sapeva che non sarebbe più tornato in Italia. Ne erano avvertiti, in gran segreto, anche gli amici che lo avevano accompagnato alla stazione per salutarlo dalla banchina, mentre il convoglio si allontanava. Tra questi c'era Edoardo Arnaldi, l'allievo prediletto. «Poi eravamo tornati alle nostre case. Io, per la strada, guardavo la gente che naturalmente non se ne rendeva conto, ma sapevo, anzi noi tutti sapevamo, che quella sera si chiudeva definitivamente un periodo, brevissimo, della stona della cultura in Italia». Così ricordava Edoardo Arnaldi nell'abbozzo di una «Storia della fisica a Roma dal 1794 al 1968» che si riprometteva di scrivere. La partenza di Fermi segnava una svolta, e dietro la svolta c'erano la dispersione del gruppo di fisici che a Roma in via Panisperna avevano iniziato l'esplorazione del nucleo dell'atomo, la seconda guerra mondiale, la bomba atomica, alla quale Fermi avrebbe dato un contributo essenziale. Lui, Edoardo Arnaldi (1908-1989), Da sinistra, Enrico Fermi, il suo allievo prediletto Edoardo Arnaldi e il torinese Giancarlo Wick era tra i pochissimi che potevano percepire, sia pure in modo oscuro e molto parziale, la gravità di ciò che il futuro stava preparando. All'inizio del 1990 l'abbozzo di Arnaldi capitò tra le mani del figlio Ugo, intento a riordinare le carte paterne. Sono 19 pagine scritte a macchina e 70 a penna e coprono il periodo dall'autunno 1938 ai primi anni del dopoguerra. I fisici Giovanni Battimelli e Michelangelo De Maria ne hanno ora curato la pubblicazione con il titolo «Da via Panisperna all'America» (Editori Riuniti, 198 pagine, 20 mila lire). l di pgOltre a una Premessa di Ugo Arnaldi, il volume raccoglie anche 41 lettere che si scambiarono in quel tempo alcuni «ragazzi» del gruppo e altri ricercatori italiani e stranieri. Incontriamo così pagine inedite non solo di Edoardo Arnaldi ma anche di Fermi, Pontecorvo, Giancarlo Wick (successore di Fermi sulla cattedra di Roma), Gilberto Bernardini, Franco Rasetti, Niels Bohr, Ernest Lawrence, Emilio Segré, Enrico Persico e Bruno Rossi (un altro protagonista del Progetto Manhattan per la bom- Ecco l'oscillatore di Hertz. Un rocchetto di induzione alimenta le due sferette a e b collegate alle sfere A e B. Le scintille che scoccano tra a e b, di carattere alternativo, sono un rapidissimo via vai di cariche elettriche e generano onde che investono il ricevitore. Tra le sfere C e D si producono altre scintille. Il nome di Hertz ò stato dato all'unità di misura per la frequenza d'una corrente alternata: cioè quante volte al secondo la corrente che passa fa un'oscillazione completa.
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