« Così abbiamo fatto vincere Saddam »

« « Così abbiamo fatto vincere Saddam » «Troppo debole e incostante l'azione americana» di ottenere un potere di veto sui movimenti degli ispettori, per minare gli sforzi delle Nazioni Unite, indebolire la coalizione filo-occidentale e incoraggiare un più ampio intervento della Russia nell'area del Golfo. Ogni cambiamento nella composizione del team degli ispettori, specialmente se riduce il numero degli americani e aumenta quello di russi e francesi, politicizza il processo delle ispezioni. Inoltre, se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo riconoscere che «sanzioni umanitarie» sarebbero una contraddizione in termini. Il concetto di mantenere sanzioni all'Iraq, ma senza infliggere sofferenze alla popolazione, riflette l'ulusione che basterebbe una forma di ostracismo sociale internazionale a indurre Saddam a cambiare comportamento - una cosa ben sciocca quando si ha a che fare con uno dei dittatori più brutali del mondo. L'esitazione della vecchia coalizione del Golfo ad alzare il livello della crisi è stata dovuta, in larga parte, ai dubbi sulla strategia ulti¬ ma dell'amministrazione Usa. I vari leader arabi della regione, col loro spiccato istinto per la sopravvivenza, temevano che a seguito di una poco incisiva risposta americana sarebbero stati lasciati soli davanti a un Iraq radicale e a un ancor più forte Iran. In privato, probabilmente, speravano che Washington non prestasse attenzione alla loro riluttanza pubblica nei confronti di un'azione militare. La lezione della guerra del Golfo è che le coalizioni multinazionali si adunano quando l'America non lascia dubbi sulla sua determinazione ad agire da sola, se così deve; gli altri Paesi partecipano poi agli eventi aggregandosi alla coalizione. Non volendo affrontare Saddam, la diplomazia americana si è rivolta a Paesi come Francia e Russia, che essendosi opposti alla nostra politica al Consiglio di Sicurezza erano ritenuti idonei come mediatori. Questa linea era destinata a costarci cara, in due modi: qualunque compromesso avrebbe dato soddisfazione a Saddam, che puntava a focalizzare la discussione sulle sanzioni, anziché sulle sue proprie violazioni; e avrebbe trasformato gli oppositori della nostra politica in avvocati permanenti dell'Iraq. Nei successivi sviluppi della diplomazia delle Nazioni Unite, la Russia ha proposto che l'agenzia delle ispezioni si dotasse di cinque vicepresidenti, uno per ogni Paese membro permanente del Consiglio di Sicurezza (oltre a chiudere il capitolo delle ispezioni nucleari). Questo avrebbe esteso la divisione e lo stallo dalle Nazioni Unite all'apparato delle ispezioni. E la Francia insisteva che si dovesse mostrare a Saddam una luce in fondo al tunnel - un eufemismo per premiare l'intransigenza irachena. E' certo importante saggiare l'utilità per l'America della spesso invocata partnership con Mosca. Ma senza incoraggiarla ad agire da avvocato di Saddam né a perseguire le stesse politiche della vecchia Russia. La condotta della Francia pone una sfida a più lungo raggio. Allorché l'Europa adotterà una moneta comune, seguiranno probabil¬ mente, a breve scadenza, comuni istituzioni politiche. Su come evolveranno da allora le relazioni nordatlantiche, ci sono due scuole di pensiero: quella della Francia, che spinge per la costituzione di un'identità europea che distingua la sua politica da quella dell'America; e quella della Gran Bretagna, che punta a sviluppare una politica comune tramite la cooperazione e il consenso inter-atlantici. E' interesse degli Usa e del futuro della Nato che prevalga l'approccio cooperativo. Ma la diplomazia deU'anuninistrazione Clinton ha in effetti premiato la politica francese, quella politica descritta il 2 novembre da «Etelaat», quotidiano ufficiale del regime islamico iraniano, come «l'emergente asse Teheran-MoscaParigi», «baluardo contro l'arroganza mondiale» dell'America. Da parte dell'amministrazione Clinton, il meccanismo di gestione di questa crisi ha suscitato gravi preoccupazioni. Per forzare il ritiro incondizionato di Saddam, era necessario agli Stati Uniti mostrare un'espressione fosca. Ma nelle set- timane critiche, il Presidente era sulla West Coast. Inoltre, il consigliere per la sicurezza nazionale Samuel R. Berger era a Washington, il segretario di Stato prima in un piccolo Paese del Golfo poi in Pakistan e in India, e l'ambasciatore americano alle Nazioni Unite in Congo. La dispersione di queste figure-chiave rendeva una nostra azione militare poco plausibile, dissipando l'impatto diplomatico del rapido dispiegamento delle nostre forze militari. All'America si pone l'imperativo di definire una politica per affrontare la situazione nell'immediato e di sviluppare una strategia a lungo termine per il Golfo. Ogni modifica del sistema delle ispezioni o allentamento delle sanzioni mina la capacità degli Stati Uniti di proteggere il Golfo. L'America deve perciò annullare il «compromesso» di Ginevra, in base al quale gli ispettori rientrano a Baghdad in cambio di una nuova composizione dei team di migliori condizioni nell'accordo «cibo in cambio di petrolio». L'America dovrebbe: - difendere con fermezza il principio secondo cui solo il Consiglio di Sicurezza può cambiare la struttura, la missione o la composizione dei team di ispettori delle Nazioni Unite; - rifiutare ogni modifica del programma «cibo in cambio di petrolio», finché gli ispettori non avranno goduto per almeno quattro mesi di accesso senza impedimenti a tutti i siti iracheni sospetti, inclusi i cosiddetti «siti presidenziali» (le presunte residenze di Saddam, dalle quali gli ispettori continuano a essere banditi); - prepararsi a una azione militare per ottenere la piena attuazione delle procedure ispettive volte a privare Saddam di alcuni elementi chiave della sua struttura militare, Henry Kissinger Copyright «Los Angeles Times Syndicate» e per l'Italia «La Stampa»

Persone citate: Clinton, Henry Kissinger, Samuel R. Berger