Quelle democrazie così illiberali
FUORI DAL CORO FUORI DAL CORO Quelle democrazie così illiberali ORPRESA: democrazia e libertà non sono sinonimi e neanche sorelle. Il mondo è anzi pieno di democrazie autoritarie, ben 118 su 193 Stati in cui si svolgono regolarmente le libere elezioni, stando a un rapporto sulla libertà nel mondo, firmato da Roger Kaplan per conto della «Freedom House» di New York. La questione è semplice: prima i Paesi ex coloniali dell'Africa e dell'Asia, poi i Paesi che sono usciti dalle dittature latino-americane, infine quelli nati dal disfacimento dell'ex impero sovietico, hanno creato una comunità mondiale di democrazie con poca o nessuna libertà, pur avendo governi perfettamente legittimati dal voto popolare, e tuttavia poco diversi dalle dittature e dalle autocrazie del loro passato. Sono, per fare qualche esempio, democrazie autoritarie il Perù e il Pakistan, le Filippine e la Sierra Leone, ma anche la Slovacchia non gode di salute liberale e il governo etiope non esita a scatenare la polizia contro giornalisti ed oppositori. L'elenco è lungo e può essere discutibile, ma la sostanza resta: l'esercizio delle libertà ffònaamentàlr": della persona con i diritti di espressipjje^^^s^cia^ione, ■ riunionPfe Wifrcrta^ejyposizione, non è affatto garantito dalle urne. Le urne possono sostenere la libertà, paradossalmente, soltanto in quei Paesi in cui già esistevano leggi che la tutelavano. L'impero asburgico era autoritario, certamente non era una democrazia, ma le sue leggi garantivano e tutelavano i diritti fondamentali in nome della legge e dell'imperatore. Secondo Fareed Zakaria, che ha scritto un bel saggio sulla crescita delle «democrazie illiberali», ciò che distingue il modello occidentale da tutti gli altri, non è l'uso delle urne, ma l'uso imparziale della legge e dei giudici. Hong Kong era una colonia, non era davvero una democrazia (almeno fino al 1991 ), ma i suoi cittadini erano protetti da leggi liberali in nome della regina. L'introduzione dei partiti, delle elezioni e dei Parlamenti non ha fatto del Kyrgyzstan o del Kazakstan delle patrie di libertà e nemmeno il governo dell'Auto- rità Palestinese, sostenuto da un plebiscito elettorale, è considerato lontanamente liberale. Il paradosso è che si può avere un governo liberale, ma non democratico come quello coloniale di Hong Kong, e un governo democratico ma non liberale come quello di Haiti. La differenza non sta dunque nelle schede, ma nelle leggi che limitano i poteri di chi viene eletto attraverso un controllo indipendente. La differenza visibile neghi effetti sta tutta e soltanto nel grado di tutela assicurata al singolo cittadino, unico piccolo e inerme sovrano, di fronte al potere e allo strapotere, sia quando è eletto che quando non lo è. Una magistratura e una stampa non al servizio del governo, ma anzi orgogliosamente distanti e per costume sprezzanti;1 so&b btttì^ SiOUro segnale di libertà. Così come è vero incontrario:,.conformismo e opportunismo'spianano la strada illiberale, quale che sia la legittimità democratica di chi governa. La questione non riguarda .soltanto i Paesi arrivati da poco alla democrazia: in fondo, la Svezia ha un sistema economico che contrasta con il diritto di proprietà, la Francia come l'Italia ha avuto fino a poco fa un sistema televisivo monopolistico e persino l'Inghilterra, madre di tutte le democrazie, ha una religione di Stato. Si salvano dunque i Paesi che hanno una secolare tradizione, mentre sono a rischio gli altri. E l'Italia? La questione è aperta: siamo un Paese democratico sì, ma incline a derive più opportunistiche che plebiscitarie. Un Paese che ancora stenta ad apprezzare e difendere col dovuto entusiasmo la libertà individuale contentandosi dell'indispensabile, ma non sufficiente, macchinario della democrazia delegata. Paolo Guzzanti ti
Persone citate: Fareed Zakaria, Freedom, Paolo Guzzanti, Roger Kaplan
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