«Un ufficiale dei Ros contattò i mafiosi» di Francesco La Licata

Avrebbe saputo che il pentito Di Maggio stava progettando estorsioni, ma non ne parlò coi magistrati Avrebbe saputo che il pentito Di Maggio stava progettando estorsioni, ma non ne parlò coi magistrati «Un ufficiale dei Ros contattò i mafiosi» Indagato il colonnello Meli PALERMO DAL NOSTRO INVIATO La complicata vicenda che vede protagonisti i carabinieri del Ros, da un lato, e la Procura della Repubblica, dall'altro, si arricchisce di un capitolo nuovo e certamente destinato a rinfocolare polemiche apparentemente sopite dalle reciproche dichiarazioni di «piena fiducia». Un ufficiale dei Ros (Reparti operazioni speciali) è finito indagato dai magistrati palermitani che conducono l'inchiesta su alcuni collaboratori di giustizia che avevano tentato di ricostituire una ((famiglia» mafiosa, quella di San Giuseppe Jato, e si erano già «inseriti» nel territorio cercando la via degli appalti e delle estorsioni. Una storia molto controversa, eppure gravissima perché costellata di episodi oscuri ed inquietanti, oltre che di boss morti ammazzati e mafiosi feriti. L'ufficiale indagato è il tenente colonnello Giancarlo Meli, già comandante del «Gruppo due» di Monreale, da alcuni mesi passato ai Ros ed oggi ufficiale di collegamento tra il proprio organismo investigativo e la commissione parlamentare Antimafia. L'ipotesi di reato per cui si indaga - se le indiscrezioni che circolano sono attendibili - è quella di favoreggiamento, aggravato perché riferito a personaggi inseriti nell'organizzazione mafiosa. La storia che i magistrati stanno cercando di chiarire riguarda la gestione del collaboratore Balduccio Di Maggio ed il suo «ritorno» a San Giuseppe Jato. Una storia intricata e alquanto vischiosa, anche per la presenza di Meli, un ufficiale che è pure testimone e protagonista, in qualche modo, della vicenda che riguarda il capitano Giuseppe De Donno e il procuratore aggiunto di Palermo, Guido Lo Forte. Il tenente colonnello Meli è l'investigatore che ha avuto contatti recentissimi con Angelo Siine, l'imprenditore mafioso divenuto poi collaboratore, quando ancora non era diventato pentito. L'ufficiale e il mafioso «intrattenevano frequentazioni»: insomma Siino era un suo confidente e l'obiettivo dell'investigatore sembra fosse quello di convincere la «fonte» a dare elementi utili alla cattura del boss latitante Bernardo Provenzano. Erano «frequentazioni lecite»? Saranno le indagini a rispondere a questa domanda. Si dovrà chiarire, per esempio, se tutti i «contatti» tra Meli e Siino siano avvenuti nel rispetto delle norme, cioè dietro autorizzazione della magistratura. E si dovrà chiarire un episodio non proprio limpido. Sembra, infatti, che l'ufficiale avesse contemporaneamente contatti con Siino e con Balduccio Di Maggio. Quando il primo venne arrestato (luglio '97), ad un certo punto era in procinto di essere trasferito al centro clinico del carcere di Pisa. Mentre stava ancora nell'ospedale di Palermo, ha raccontato Siino ai magistrati, Meli sarebbe andato a trovarlo, preannunciandogli «una visita», una volta giunto a Pisa. In effetti, rivela Siino, la visita la ricevette: prima quella di tal Celeste, piccolo imprenditore di San Giuseppe Jato vicino a Balduccio Di Maggio; poco dopo sarebbe arrivato il pentito, quello che aveva fatto arrestare Riina ed aveva raccontato la storia del bacio tra il boss e il senatore a vita Giulio Andreotti, accorso a Pisa per mettere al corrente Siino dei suoi propositi di ricostituire la «famiglia» di San Giuseppe e di rientrare nel giro degli appalti. Anzi, l'intenzione di Di Maggio era quella di rinsaldare il vecchio legame con l'ex «ministro dei lavori pubblici di Rii¬ na». Perché la visita di Di Maggio - dando per vero quanto riferito dall'ex imprenditore - doveva essere preannunciata a Siino da un ufficiale? Questo il quesito, irrisolto, dei magistrati di Palermo. Ma non è, questa, la sola anomalia riscontrata dai giudici. C'è la storia di una intercettazione ambientale che sembra scomparsa nel nulla per un «guasto tecnico». La storia, in sintesi, pare sia an- data così. Siino riferisce a Meli che una sua parente subisce un'estorsione. L'ufficiale invita il confidente (siamo nell'aprile di quest'anno) a convocare a casa sua il mafioso Francesco Costanza, latore della richiesta di «pizzo», per indurlo a parlare mentre una microspia avrebbe registrato il colloquio. L'incontro avviene, Costanza parla e dice cose che vanno oltre il tentativo di estorsione. In pratica il mafioso si lascia andare a confidenze che rivelano il ritorno a San Giuseppe Jato di Balduccio Di Maggio e il coinvolgimento del pentito nella strategia delle estorsioni. La «cimice» registra, ma ai magistrati, a quanto pare, non arriva nulla. Poi Siino si pente e racconta l'episodio. Meli viene chiamato per chiarire e giustifica la mancata comunicazione alla Procura con il fatto che la registrazione non era riuscita. Due sottufficiali - invece - che parteciparono all'operazione in casa di Siino, confermano che la registrazione era riuscita. Questo il motivo per cui, il 14 aprile del '97, la Procura apre una inchiesta, «senza alcuna sollecitazione» hanno sottolineato i magistrati, sull'attività delinquenziale di Di Maggio ed altri pentiti ed affida le indagini agli investigatori della Dia. Indagini delicatissime, anche alla luce di quanto accade quattro mesi dopo, quando Francesco Costanza viene ferito a revolverate (8 agosto) e Vincenzo Arato, mafioso del gruppo avverso a Di Maggio, rimane ucciso in un agguato il 23 settemnre. Registrazioni fallite e bobine efficienti, a sostegno della tesi accusatoria di De Donno contro Lo Forte. Un «giallo» destinato a non esaurirsi subito. Francesco La Licata Angelo Siino, uomo di Cosa nostra e ora collaborante Il colonnello dei Ros Giancarlo Meli

Luoghi citati: Monreale, Palermo, Pisa, San Giuseppe Jato