Naturale vocazione alla liberta'

naturale vocazione alla liberta' naturale vocazione alla liberta' ALL'inizio degli Anni Ottanta il settimanale Panorama pubblicò una piccola enciclopedia della satira politica, conducendo anche un'indagine chiedendo ai direttori di giornali e riviste quali fossero i tre migliori disegnatori di satira. Di Jacovitti non si ricordò praticamente nessuno: l'unico a citarlo, al terzo posto della sua classifica personale, fu Livio Caputo, all'ora direttore della Notte. Chiaro, no? L'unico a indicare un disegnatore di destra era un giornalista di destra. Sfortunato, dal punto di vista politico, Jacovitti. A partire dal nome, Benito, affibbiatogli da un padre che aveva fatto la marcia su Roma. Sfortunato durante il Ventennio fascista se è vero che a 19 armi, nel 1942, meritò già la convocazione di Alessandro Pavolini, ministro della Cultura Popolare, che lo invitò a essere più rispettoso verso le istituzioni fasciste. E sfortunato anche dopo. Perché il liberale Jacovitti, l'anarchico liberale secondo la definizione di Forattini, era in realtà una specie di democrazia cristiana: la massa comprava milioni di copie del Diario Vitt e votava Cocco Bill, ma le avanguardie arricciavano il naso di fronte alla perfetta, totale, esemplare irresponsabilità politica di Jacovitti. Oggi i disegnatori di sinistra, da Staino a Chiappori, piangono il maestro. Ma allora, tra gli Anni Settanta e gli Ottanta, Jacovitti era un reprobo. La sinistra vignettara discuteva in modo piuttosto acceso sulla libertà di satira. Oreste Del Buono nel 1976 aveva lanciato il dilemma con un articolo su Linus: «Deve la satira politica limitarsi a colpire il potere oppure può rivolgersi anche all'interno della sinistra e affrontarne le contraddizioni?». E giù riflessioni molto pensose. Figurarsi come poteva essere vista allora la presenza su Linus di Jacovitti. Uno senza coscienza di classe, anzi, un inno all'incoscienza pura, un avventurista senza rimedio. Che si divertiva a satireggiare sui gruppi di destra e di sinistra, senza le dovute distinzioni. Un affronto vivente e operante alla correttezza politica. Un «fascista». Anche perché in quegli anni Linus non era solo una rivista di comics. Era un rifugio epistolare, un luogo di dibattito politico, una palestra di esercitazioni letterario-rivoluzionarie, una commuta virtuale in grado di scomunicare i non allineati. Il fascismo di Hugo Pratt si poteva ignorarlo per le redentrici virtù terzomondiali di Corto Maltese. Mentre Jacovitti dava fastidio sapendo di darlo. Quando a metà dei Settanta pubblicò su Linus la storia di Johnny Lupara, con le sue insopportabili facezie sugli opposti estremisti, i lettori più animosi insorsero, riempiendo la redazione di lettere di protesta. Lui, dopo un po', lasciò perdere la collaborazione. Ma accettò di riprenderla qualche anno dopo, suscitando inevitabilmente un nuovo vespaio. La storia questa volta aveva per protagonista Joe Balordo, detective impegnato in una surreale questione di corna, niente di politicamente discutibile, ma ancora una volta il popolo dei fumetti insorse contro il «(fascista» Jacovitti. Forattini ha ricordato che lui rese ancora più problematica la sua posizione di «maestro che sbaglia» pubblicando proprio su Linus una vignetta in cui si vedeva la rivista pendere dal gancio delia carta igienica. Non era una vendetta, ma uno sberleffo. Un'irrisione non priva di complicità. Solo oggi possiamo riconoscere appieno la qualità del conformismo di allora, e la razionalità della vocazione di Jacovitti al «lasciatemi divertire». Adesso sarebbe certamente sciocco trasformarlo in un maestro di democrazia. Ma sarà bene riconoscere che ciò che lo rendeva insopportabile allora era soltanto una irresistibile propensione naturale alla libertà Edmondo Borselli

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