I DUE PUNTI DEBOLI DI FINI di Gad Lerner

IN EUROPA PRIMA PAGINA I DUE PUNTI DEBOLI DI FINI programmatico e uno simbolico, convergenti nel produrre una sensazione di persistente inaffìdabilità: la sua ondivaga non scelta in campo economico e sociale; la titubanza con cui affronta la revisione storica sulle responsabilità della Rsi nella deportazione degli ebrei italiani. Ma prima ancora di esaminare questi due punti deboli, come non riconoscere la grande, irripetibile occasione che il leader di An si trova a vivere? Berlusconi non è più in grado di indossare la maschera del vincente e ha perso la sua corsa contro il tempo per fare di Forza Italia un solido movimento politico. 11 revival del Centro appare una moda giornalistica o poco più, potendo contare solo sul simpatico ippocampo di Cossiga, mentre la tenuta elettorale dell'Ulivo ne limita le spinte centrifughe. Si è sentito invocare come una panacea il nome di Letizia Moratti. Poi quello ancora più forte di Cesare Romiti, che ha smentito per l'appunto con forza. Non è dell'autorevolezza e della verosimiglianza dei nomi che qui dovremmo discutere, ma semmai dell'ingenuità con cui dentro al Polo si cercano scorciatoie: se Berlusconi ha potuto ovviare solo per qualche anno con l'apparato di Publitalia all'assenza di una forza politica radicata, è evidente che il futuro leader del Polo conservatore non potrà esservi paracadutato dall'esterno, ma al contrario dovrà saper coniugare in politica - col mestiere del politico, con il senso dello Stato del politico - l'Italia profonda che si oppone all'egemonia del centrosinistra. Insomma, perché a Fini non dovrebbe riuscire in anticipo con Berlusconi l'operazione legittima che D'Alema, in prospettiva, aspira a realizzare, sostituendosi allo stesso Prodi? Perché non dovrebbe toccare a un professionista della politica compartecipe dell'accedo di riforma istituzionale già raggiunto nella Bicamerale - guidare la diffìcile ricomposizione del blocco moderato, nel quale saranno necessariamente chiamati a convivere orgoglio nazionale e spinte localiste, visione europea e opposizione sociale? La risposta a queste domande, ciò che rende ancora impervia l'ascesa di Fini a leader dell'Italia moderata, è tutta nei due punti deboli sopra indicati: l'economia e gli ebrei. L'economia, innanzitutto. D'accordo che non tutti i conservatori sono ugualmente fautori del libero mercato: Chirac non è la Thatcher. Ma con Publio Fiori che difende lo status quo della previdenza italiana, compresi i privilegi del pubblico impiego, An resta davvero più vicina all'assistenzialismo clientelare democristiano che allo spirito d'impresa. Il sociologo inglese Anthony Giddens ha descritto in Oltre la destra e la sinistra (Il Mulino) un sorprendente capovolgimento per cui oggi nel mondo «il conservatorismo fattosi radicale si oppone al socialismo divenuto conservatore». Succede in pratica che, mentre i socialisti si riducono a proteggere lo Stato sociale, il pensiero conservatore «è giunto ad accogliere ciò che un tempo dichiarava di aborrire: il capitalismo competitivo e i processi di cambiamento profondi e di vasta portata che il capitalismo tende a produrre». Vale questa definizione di Giddens anche per Alleanza nazionale, oppure Fini si illude di preservarsi il serbatoio di voti della «destra sociale» - peraltro in rapido esaurimento a Napoli, Catania, Roma - sventolando la bandiera dell'anticapitalismo? Il rapporto con gli ebrei, infine. Non è bastata a Fini la solenne ripulsa dell'antisemitismo e delle leggi razziali votata nel congresso di Fiuggi per ct- csdN tenere quel riconoscimento pubblico che - equivocando qualcuno si illude possa essere frutto di una trattativa diplomatica. Il problema non è che Fini ottemperi a questa o quella condizione postagli da rappresentanti dello Stato d'Israele o della comunità ebraica italiana. Nessuno ha titolo per trattare, in una simile materia. E' An stessa che, autonomamente, di propria iniziativa, deve fare i conti con una incontestabile responsabilità storica della Repubblica sociale di Salò da cui nacque il Msi: il supporto logistico e il coinvolgimento diretto dei repubblichini nel rastrellamento e nella detenzione degli ebrei italiani destinati alla deportazione e allo sterminio. Questo va riconosciuto, perché questo è accaduto. Su Salò a Fini è richiesto più e non meno revisionismo. Non è la coerenza dei repubblichini il valore che An deve preservare, bensì la coerenza di quel Giorgio Perlasca uomo di destra che smise di essere fascista in seguito all'emanazione delle leggi razziali e rischiò la propria vita per salvare quella di cinquemila ebrei. Capisco che possa essere doloroso imporre tale verità agli ex repubblichini che ancora militano nel gruppo dirigente di An, ma una volta compiuto questo passaggio anche il viaggio di Fini in Israele si rivelerà per quello che è: un falso problema. Come il Pci-Pds, anche Alleanza nazionale è sfidata a cambiare pelle nel momento più difficile, cioè dopo una sconfitta elettorale. Ma è in queste circostanze che si misurano il coraggio e la lungimiranza di una leadership. Se viceversa sceglierà - come qualche primo segnale lascia pensare - di rinserrarsi dietro alle vecchie identità stataliste e populiste, pensando magari di conservare così un elettorato in fuga, otterremo un risultato paradossale: nessuna candidatura alla guida del Polo conservatore, ma una più modesta replica di destra del fenomeno Rifondazione. L'Italia non ne sente alcun bisogno. Gad Lerner

Luoghi citati: Catania, Fiuggi, Israele, Italia, Napoli, Roma, Salò