«Ma l'unita riguarda solo noi»

«Ma Punita riguarda solo noi» «Ma Punita riguarda solo noi» Per Cofferati qualcuno sta correndo troppo UROMA HE', compagno, sto organizzando le masse per il convegno di giovedì prossimo, sai?». Ore 18, sede della Cgil in Corso d'Italia, interno notte. Ferruccio Danini, grande e grosso e con i baffoni sale e pepe, chiacchiera .nell' atrio dello storico1 palazzone umbertino con Sergio Tosini. Il primo àleaderjlei pensionati, il secondo è responsabile delle politiche sugli orari di lavoro del più grande sindacato d'Italia. Due battute appunto sul prossimo convegno, tema le famigerate «35 ore». Poi si parla del fatto di giornata: l'unità sindacale. Che piace in teoria, ma nella pratica scuote il corpaccione vasto e proteiforme della Balena Rossa, la vecchia Cgil. Che succede, infatti? Succede che il «Corriere della Sera» di qualche giorno fa racconta una storia - seccamente smentita dal leader del pds - secondo la quale D'Alema marcia sul sindacato, incontra Larizza e D'Antoni, porta avanti con il leader della Cisl, soprattutto con lui, l'idea di un'unificazione delle tre sigle confederali, che dovrebbero diventare «une» e non più «trine», e soprattutto trasformarsi nel sindacato dell'Ulivo, cioè il sindacato di governo, o di «regime» se preferite. E succede che ieri «il manifesto» monta una prima pagina con l'annuncio delle «nozze» tra Cgil, Cisl e Uil, fissate per l'8 febbraio a Bologna. Ce n'è d'avanzo per immaginare che qualcosa, tra le confederazioni, stia bollendo sul serio. E non c'è niente di meglio, per cercare di capire cos'è quel «qualcosa», che passare un pomeriggio nel «cuore» del sindacalismo italiano, la Cgil appunto. Lasciamo per un momento Danini e Tosini, ci torneremo poi. Ma un viaggio vero, dentro l'organismo sociale più rappresentativo di questo Paese (più di 5 milioni di iscritti) non può cominciare dall'atrio, ma dal quarto piano. E' lì che, affacciato sul verde di Villa Borghese oggi battuto da una pioggia torrenziale, c'è l'ufficio del «capo». Sergio Cofferati è appena tornato da Palazzo Chigi, dove ha discusso col governo di formazione, e fa il punto della situazione con un esordio disarmante: «Non è successo niente...». Come, signor segretario generale? «Nel senso che l'unità sindacale è un obiettivo importante, fondamentale per noi tutti. Ma è un progetto complesso, che presuppone discussioni profonde e articolate al nostro interno, e un quadro legislativo che definisca con chiarezza il problema della rappresentanza». Insomma, par di capire, secondo il leader della Cgil qualcuno sta correndo troppo: «Ma sì, il discorso delle date, fatto oggi, non ha senso. Quanto non lo so, ma ci vorrà tempo, perché l'unità sindacale è un bisogno che nasce per ragioni sindacali, non è un'operazione politica che si decide a tavolino dall'oggi al domani. Ed è un progetto che appartiene a noi, e a nessun altro». Nessuno nessuno? Nemmeno D'Alema? E qui Cofferati balza sulla poltrona, e sbotta: «Ma non gli attribuite idee che non ha! Può darsi che da qualche parte esistano problemi di ridefinizione della rappresentanza politica, ma sono problemi della politica, appunto, che col sindacato non c'entrano». Ma D'Antoni... Nuovo sussulto del leader: «D'Antoni cosa? Lo volete capire che il sindacato italiano ha ormai nel suo sangue il valore dell'autonomia? Non troverete mai in Italia modelli di sindacato-cinghia di trasmissione propri della cultura leninista, o di sindacatogoverno propri della cultura laborista. Può darsi che ci sia chi pensa a un sindacato "ulivizzato", non lo so e non mi interessa: so solo che questa prospettiva non esiste, e che per me sindacato unico non vuol dire la pura sommatoria di 3 sigle, ma un sindacato pluralista, allargato al di là delle tre anime confederali, che non sarà mai sindacato di regime. E poi di che regime parliamo? Lo vedete o no che abbiamo la maggioranza di governo più fragile d'Europa?». Suonano i telefoni, Cofferati deve rituffarsi in altre riunioni. Non prima di aver fatto un'ultima precisazione: «Leggo già di candidature, alla guida del futuro sindacato unitario. Confermo che a mio giudizio la cosa non può riguarda- re i leader attuali delle tre confederazioni: noi che avremo la fortuna di guidare la fase costituente e la nascita del nuovo soggetto, ragionevolmente e opportunamente dovremo essere fuori dalla partita successiva». Haugh: il messaggio del Grande Capo Occhi a Mandorla è chiaro. Se mai ha nutrito davvero qualche ambizione leaderistica, l'altro Sergio, segretario della Cisl, è avvertito. E comunque, se il dilemma dell'unità sindacale fosse solo una questione di leadership o di equilibri fra le tre sigle, benché complesso, sarebbe quasi un gioco da ragazzi. Il guaio è che, almeno in casa Cgil, l'ombra di Banco dalemiana o ulivista su tutta l'operazione fa scattare reazioni velenose. E questo riguarda soprattutto lo «zoccolo duro» dei comunisti cigiellini. Scendiamo dal quarto, e torniamo al piano terra. Nell'atrio, e in ogni ballatoio, tra l'an¬ nuncio di una tavola rotonda dal titolo «C'è alternativa al regime di Fujimori?» e i rituali elenchi dei negozi convenzionati, campeggia il manifesto con il ((testamento» etico di Peppino Di Vittorio: «...I sindacati dei lavoratori costituiscono un presidio sicuro e forte delle civiche libertà...». Tosini riprende il suo ragionamento: ((Libertà, autonomia, questo è il punto». Concetto quasi shakespeariano: nel senso? «Nel senso che io non so cosa ha in mente D'Alema: ma so benissimo che un sindacato dell'Ulivo servirebbe come il pane a questo governo, ma ammazzerebbe il sindacato stesso». E via, altra botta al capo di Botteghe Oscure. Per un giudizio più articolato saliamo al secondo piano dove Giampaolo Patta, leader della corrente comunista di Alternativa sindacale, sta bevendo con un collega copiose sorsate d'acqua minerale. «Vede, noi della CgÙ siamo da 50 anni per l'unità sindacale: noi comunisti accusammo persino l'America di aver causato la scissione nel dopoguerra. Se discutiamo di un nuovo soggetto pluralista va benissimo. Ma se discutiamo di un sindacato unico fiancheggiatore dell'Ulivo, cioè di una cosa decisa a cena tra D'Alema e i leader confederali, come è successo per la cena a casa Letta sulla Bicamerale, allora è tutta un'altra storia. Noi non ci stiamo. Ma secondo me non ci starebbe neanche Cofferati...». «Eh, Sergio...», fa il collega. E Patta: «Sergio non si fida di D'Alema, e lo capisco: ti ricordi la vignetta di Giannelli durante la trattativa sulle pensioni, no? D'Alema che gli dice "Vai avanti, Sergio, ti copro le spalle" e lui va avanti, poi si volta e chiama "Massimo, Massimo..." ma dietro a lui non c'è più nessuno. Beh, la situazione è questa. Per questo dobbiamo andare avanti ma con i ppe Di Vittorio piedi di piombo. D'Alema preme? D'Antoni preme, come dicono i cattivi perché deve trovarsi un posto visto che scade nel '99? Fatti loro». Altro piano, il terzo, e ancora Danini, anche lui comunista, è rientrato nel suo ufficio. «Se lo schema è quello di D'Alema, che accelera l'unità e indica pure il futuro leader, si affossa in partenza. Io sono "violentemente" contrario. Ho sciolto la mia Camera del Lavoro di Novara negli Anni 70, per fare l'unità sindacale e ho appoggiato Trentin quando diceva "cominciamo intanto a unificare i servizi". Ma qui, con l'ipotesi "ulivista" l'unità sindacale non c'entra. Se i leader delle tre sigle facessero una cosa del genere, sarebbero loro ad escludersi dal sindacato che già esiste, non noi comunisti ad uscirne». Chi invece parla di scissione col muso duro del vecchio metalmeccanico operaista di fine Anni 60 è Augusto Rocchi, animatore della corrente rifondatrice milanese: «Ma questa è una Bolognina sindacale! esplode Rocchi - qui si profila un modello di sindacato unico che ha, come unica legittimazione, quella del governo e della Confindustria. C'è una profonda crisi del sindacato, che nasce dall'esaltazione delle politiche concertative, dalle sconfitte che abbiamo subito sulle pensioni dove eravamo pronti a fare un accordo più basso di quello poi ottenuto da Bertinotti: a questa crisi non si risponde con l'unità, ma col rilancio del progetto e dell'autonomia rivendicativa; Mi aspetto che al prossimo direttivo del 18 e 19 dicembre Cofferati ci spieghi che succede. E comunque se un processo del genere va avanti i leader si assumono la responsabilità di una scelta scissionistica. Mi tremano i polsi a pensare a quello che accadrebbe tra i lavoratori del Nord...». «Giusto - rilancia Patta - perché chi continua a dire che il problema del sindacato è solo lo spiazzamento di Rifondazione sbaglia di grosso. Un sindacato unico ma collaterale lo rifiuterebbe per prima la buse operaia del Nord, che spesso vota Lega. E questo vale non solo per la Cgil: la Uil ha un problema analogo, con tanti militanti che votano Forza Italia. Se l'unità sindacale avesse un movente politico noi creeremmo i presupposti per far nascere il sindacato azzurro di Berlusconi e quello padano di Bossi». Il leggendario Nord-Est sindacale si materializza, per confermare: «E' vero - chiarisce Luciano De Gaspari, leader della Cgil veneta - il leghismo come cultura del "facciamo da soli" qui è ormai passato. La manifestazione del 20 settembre ha segnato una svolta importante, ma se deve nascere un soggetto nuovo ed unitario, non può essere "governativo": voglio dentro tutti, voglio rappresentare anche l'operaio leghista, magari per fargli esplodere le contraddizioni, ma per riuscirci devo tener fuori la politica». Giovanni Cazzato, leader della Cgil lucana, che ha in ((pancia» il grosso degli operai della Fiat di Melfi, la vede da Sud, cioè con tutt'altro occhio: «Poche storie - taglia di netto le polemiche - io non credo alla storia di D'Alema che vuole un sindacato di governo: non è nel Dna della sinistra. Per questo dico: andiamo avanti con l'unità, e in fretta». Cala la notte, sul palazzone della grande Cgil. Si cominciano a spegnere le luci, i funzionari se ne vanno. Un ultimo salto al quarto piano, e Cofferati è ancora lì. «Ha finito il suo viaggio? Siamo tutti d'accordo, no? L'unità è roba nostra, e di nessun altro. La faremo, quando sarà tempo. Ma per ora non è successo niente...». Massimo Giannini Giovanni Patta di Alternativa «Se D'Antoni ha premura sono fatti suoi» Augusto Rocchi di Rifondazione «Questa e una Bolognina sindacale E' una scelta scissionistica» Il leader del Veneto «Voglio dentro tutti anche i leghisti ma devo tener fuori la politica» VIAGGDO nel SINDACATO In alto: D'Antoni, Cofferati e Larizza A destra: la sede della Cgil Qui sopra: Bruno Trentin (a sin.) e Giuseppe Di Vittorio

Luoghi citati: America, Bologna, Europa, Italia, Melfi, Novara, Veneto