La notte della grande fuga

LA RESISTENZA DEI PROFUGHI La natte della gronde fuga A decine lasciano i centri d'accoglienza LA RESISTENZA DEI PROFUGHI CASSANO PELLE MURGE DAL NOSTRO INVIATO La donna grida: «Noi moriamo qui!» Mostra il pugno alla telecamera. L'infermiere si ritrae dalla porta senza vetro, «io non entro da solo», dice. L'ambulanza, la barella, le urla che vengono da dentro, Erwin Kalani che spacca una bottiglia, Paolina che dice «mia figlia malata, mia figlia svenuta», il cameraman che infila la telecamera nel vetro rotto. Un uomo con 0 maglione blu sventola il bimbo di pochi mesi infagottato nella tuta: «Io bruciare tutto mio figlio. Non tornare in Albania. Io qui cimitero. Non Albania». L'infermiere, alto e secco, si volta: «Se non mi accompagnano i carabinieri, non entro». Urla, pugni in alto, occhi sgranati: «No, niente soldati, niente polizia». Una donna mostra una bottiglia di acqua minerale piena di benzina. Accende un fiammifero. Gli altri le saltano addosso. Il pastore mormone Giuseppe Stragapede: «Vieni con me, ti accompagno io». Infermiere: «No no, io ho paura». Maresciallo dei carabinieri: «Non c'è problema, non fanno niente. Devi prendere solo una persona che sta male». Esmeralda è svenuta, urla la madre, «mia figlia, mia figlia». Sono le 4 della sera e il sole sta già per coricarsi. Lo sciopero della fame continua. Gli albanesi sono asserragliati in mezzo agli ulivi, nella casa bassa di cartongesso. A Cassano Murge arrivano giornalisti e carabinieri. Può darsi che un pezzo d'Italia abbia anche questa faccia, di mondi contrapposti, di paure e di minacce. La luce del giorno illumina l'ultima battaglia. Non è una battaglia di ferro e di fuoco, con le spade e con i cannoni, e i morti rovesciati sulle colline. E' solo una battaglia di anime sporche, di profughi e straccioni, di bambini malati, di senzaterra e disperati. Comunque vada, difficile che vinca qualcuno alla fine, anche se sul far della sera arriva la direttiva del governo per promettere che non ci saranno blitz e che molti albanesi potranno restare. Nel refettorio dell'Orsa Maggiore, a Cassano, però «lo sciopero della fame continua fino a quando non avremo tutti il permesso di soggiorno». Hanno sprangato la porta di vetro con una catena e il lucchetto della bicicletta, hanno sbarrato le finestre, hanno accatastato i tavolacci e i materassi contro i muri, hanno appeso fuori i loro striscioni, hanno scritto «Meglio morire che l'Albania», hanno buttato nelle pozzanghere le merendine che il maresciallo dei carabinieri Maldarizzi aveva portato per i loro piccoli, si sono cinti la testa con le fasce dei kamikaze e hanno esibito le molo- tov alle telecamere del Tg3. Erano 146 albanesi, adesso sono 94: 52 sono scappati nella notte. Di questi 94, 46 sono bambini, 22 mamme e 26 papà: sono rimasti tutti quelli che non possono fuggire. Sono rimasti con le taniche di benzina, giurano. «Guai se ci vengono a prendere». C'è un nuovo cartello appeso alle finestre: «Per i bambini albanesi il miglior regalo di Santo Natale è rimanere in Italia per la vita». E' arrivato qui il reponsabile della Prefettura Gaetano Aiello, e quando i cronisti lo circondano, dice: «Le direttive non le ha nessuno. Sappiamo solo che il campo deve chiudere». Quando? «Oggi». Senza direttive? «Non so. Era previsto per oggi. Ma penso sia impossibile». Eccolo qui il mattino dell'ultima battaglia. Dopo la notte di pioggia, c'è un sole tiepido. Tornando qui, la situazione sembra ancora più tesa di domenica. Adesso, gli albanesi rimasti si sono barricati nella grande sala chiudendo la porta con il lucchetto e una catena. Solo le televisioni possono entrare. E' la tv a scandire il tempo, il giorno che passa nella paura di un blitz che non verrà. C'è il Tg5 quando arriva il maresciallo Maldarizzi con cinque pacchi di merendine. Sono le 8 del mattino. «Per i vostri figli», dice. Gli albanesi strepitano tutti, lo cacciano via: «Tutti dobbiamo morire. Lo facciamo per difenderli. Meglio morire qui che tornare in Albania». Come dice Armina, 11 anni: «Non me l'hanno detto di non mangiare. Sono io che l'ho deciso perché non voglio tornare a Valona». Come ripetono i padri: «Anche quelli di quattro anni lo sanno. Nessuno vuole tornare di là». Così, il maresciallo è costretto a rinunciare. Solo quattro bimbi afferrano le merendine, ma i padri gliele strappano di mano, le buttano fuori dalla porta di vetro, nelle pozzanghere. Stanno tutti stravaccati sui tavolacci disposti a ferro di cavallo attorno all'unico mondo che riconoscono uguale per tutti, quello della televisione, uno schermo sempre acceso 24 ore su 24, da Telenorba a Raiuno, le immagini della vita che hanno imparato a sognare, le uniche che in fondo non li hanno traditi mai. Urlano, si commuovono, si riposano, seguendo le sequenze che scorrono interminabili. Esplodono quando appare Prodi sul Tg5, quando sentono che la prima direttiva è confermata. Ringhiano ai giornalisti, insulti e rabbia. Sulle fasce di kamikaze che cingono le loro teste, han¬ no scritto i loro messaggi. Una bambina: «Sono malata, aiuto». Un bambino: «Siamo kristiani. E voghamo un aiuto kristiano». Romeo Gjeci: «Ci stiamo sacrificando per i bambini». Un altro uomo: «Non cederemo mai». Una donna: «Meglio morti». Tutti come kamikaze votati al suicidio. Quanto sia poi vera la loro volontà non importa. Il dramma, quello è vero, e c'è tutto. Caterina Spinelli, il medico del campo, chiede rambulanza, dice che una piccola, Klaudia Vasaj, sta male. E dopo un po' invece arriva l'autobotte lanciaschiumogem. Ed esplode di nuovo la rabbia. Cominciano gli svenimenti. E stavolta qualcuno si decide, portano il latte per i bambini. Appena appare una telecamera o un taccuino aperto, esplode l'ira, salgono al cielo le urla e la disperazione. Un padre il figlio alla luce: «Prodi Prodi, cosa fa tu per que- sto?». Esmeralda sviene. La mamma sembra pazza, urla che darà fuoco a tutti con la benzina. Gli uomini invocano l'ambulanza. Arriva alle 4, targa Bari 976694. L'infermiere, appena piede a terra si scansa: «Ahò, qui non ci entro da solo. Entro solo con uno di loro». Alla fine, il maresciallo lo convince: entra con l'autista. Alle 16,30 arriva un'altra ambulanza, perché c'è un'altra donna che sta male. Poi Vitore Nika, una signora con le doghe. Alle 5 è già tutto buio. Anche la sala, perché il temporale di stanotte ha fatto saltare le lampadine. Fuori, lo spiazzo si popola di camioncini, il gippone dei carabinieri, la macchina dei vigili, le parabole della tivù. Cassano Murge è soltanto il misero simbolo di una battaglia che non c'è, se non nel fluire di un'invasione, nella disperazione dei senzaterra. E' cosi anche a Brindisi, alla Caraffa, a Francavilla Fontana, a San Foca e Melendugno, dovunque ci siano campi di accoglienza e albanesi aggrappati al nostro Paese. Alle 8 della sera, Aiello informa gli assediati dell'Orsa Maggiore che il governo ha appena detto che non ci saranno blitz, che non ci sarà nessuna deportazione forzata, che quelli che otterranno il permesso (o per il lavoro, o per i parenti, là salu•te, lo studio) potranno restare. Adesso non ci crede nessuno. Mostrano ancora le bottiglie di benzina. Armena Nikla ha 11 anni e mal di testa e mal di pancia. La mamma Drita se la guarda: «Se mi dirà ho fa^ne, chiederò al mio cuore cosa fare. Abbiamo fatto una strada lunga per arrivare qui». Sono le 9 della sera. Esce solo la voce di un film su Italia 1. Pierangelo Sapegno Giurano: «Saranno guai se verranno a prenderci» Mostrano bottiglie piene di benzina «Ci daremo fuoco» WBkm ■

Persone citate: Aiello, Cassano, Caterina Spinelli, Erwin Kalani, Gaetano Aiello, Giuseppe Stragapede, Maldarizzi, Pierangelo Sapegno, Romeo Gjeci