La Nato nei Balcani Obbligatorio restare di Aldo Rizzo

Europa, Usa e Terzo Mondo divisi alla Conferenza di Kyoto sull'inquinamento atmosferico OSSERVATORIO La Nato nei Balcani Obbligatorio restare ministri della Difesa dei sedici Paesi della Nato stanno per riunirsi a Bruxelles per fare il punto di fine anno sui problemi dell'Alleanza, su uno soprattutto: che fare nella ex Jugoslavia. Il 30 giugno dell'anno prossimo scade il mandato, e americani ed europei potrebbero fare le valigie e tornarsene a casa. In teoria. In pratica, ciò vorrebbe dire che «la guerra, le uccisioni e la pulizia etnica ricomparirebbero in tempi brevi», secondo un'intervista di Carlos Westendorp, la controparte civile dei comandi Nato, al «Financial Times». Perché tanto pessimismo? Perché il processo di pace ha retto finora in quanto imposto con le armi e non c'è una ragionevole speranza che esso abbia messo radici anche negli animi. Prendiamo i risultati delle elezioni parlamentari di una settimana fa nella cosiddetta Repubblica serba di Bosnia. Essi non sono ancora noti ufficialmente, ma si sa che, se hanno segnato un certo regresso dei falchi di Pale (Karadzic), e un certo progresso delle colombe di Banja Luka (Biljana Plavsic), hanno anche visto una forte avanzata degli ultrafalchi di Vojslav Seselj. Ora, è possibile che questo risultato frazionato sia nonostante tutto un principio di pluralismo, in quel bunker serbo-bosniaco finora monopolio dei duri, ma è diffìcile non prevedere che falchi e ultrafalchi si coalizzeranno ai danni delle colombe, rilanciando quel progetto della Grande Serbia che è un canto funebre per la Bosnia unita, voluta dagli accordi di Dayton. E non è tutto. Quel Seselj che probabilmente sarà l'ago della bilancia nella Bosnia serba è lo stesso personaggio che domenica prossima potrebbe vincere le elezioni presidenziali nella Serbia-Serbia, con ciò stesso stabilendo un legame micidiale tra Pale e Belgrado, senza più la moderazione, sia pure tardiva e fittizia, di Milosevic. O meglio, Milosevic, ora presidente della Federazione serbo-montenegrina, potrebbe farsi forte della du rezza di Seselj, per atteggiarsi come un mediatore di fronte agli occidentali, in realtà continuando a fare il suo gioco ambiguo di sempre. In tutto questo, ci sono an che i musulmani, che sono stati le vittime dell'aggressione serba, ma non sono neppure agnellini innocenti. Qualche crimine di guerra anche per loro, e adesso una tentazione strisciante di riaprire la partita, per ottenere condizioni territoriali migliori di quelle sancite a Dayton. Fra l'altro, i loro armamenti, potenziati dagli americani (in una paradossale e involontaria alleanza con gli iraniani), sono ora i più moderni. E tra serbi e musulmani non c'è più solo Sarajevo e dintorni, c'è quel Kosovo a stragrande maggioranza albanese, quindi islamica, che ora minaccia di accendersi, tra le provocazioni dei padroni serbi e prove di rivoluzione etnica di tipo basco o irlandese. Proprio il Kosovo potrebbe essere la miccia di un nuovo, generale regolamento di conti. I Balcani non finiranno mai? La Nato si è infilata in un tunnel senza uscita? A Bruxelles, i ministri esamineranno tre opzioni. La prima è andarsene, più o meno. La seconda è restare in forze, come adesso. La terza è cominciare a ridurre la presenza militare, ma con grande cautela, in rapporto con gli avvenimenti. Westendorp ha riassunto la terza, dicendo che si distingue poco dalla seconda: «Ci vorranno almeno due o tre anni prima di poter fare a meno delle truppe Nato». Dunque un ritiro simbolico, se pure. Ma neanche questo è semplice. Clinton e i suoi sarebbero d'accordo, non così il Congresso, dove sono molti quelli che pensano che i soldati americani devono comunque tornare a casa il 30 giugno, i Balcani essendo alla fine un affare europeo. E gli europei? Sperano che vinca Clinton, se no, dicono, ci ritireremo anche noi. Vincerà Clinton, ma non per beneficenza, per riaffermare la presa americana sulla più complicata e pericolosa questione dell'Europa postcomunista. Aldo Rizzo aoj