Alleanza obbligata ma difficile di Augusto Minzolini

DOPO IL DOPPIO KO DOPO IL DOPPIO KO Alleanza obbligato ma difficile Inevitàbile il diàlogo tra destra e Lega .KÌÌm.ij-'i.IV/i .ino* ROMA UE giorni fa le opposizioni al governo di centro-sinistra hanno litigato sulla decisione di non votare il decreto sull'Iva: An e Lega hanno di fatto imposto a Forza Italia la decisione di disertare la votazione sul provvedimento. «Chissà poi perché?», si domanda ancora Giuseppe Calderisi. Anche il ramoscello d'ulivo inviato da Gianfranco Fini a Romano Prodi, cioè la rinuncia alla pratica dell'ostruzionismo sulla finanziaria in cambio della garanzia che non sarà posta la fiducia sul testo, è stata interpretata - a ragione o no - come il sintomo di una diversità di vedute tra il presidente di An e Silvio Berlusconi. Sono tutti sintomi di sofferenza e di divisioni che di certo non fanno sperare nella capacità del centro-destra di reagire alla sconfitta elettorale di 15 giorni fa, sconfitta confermata anche dai ballottaggi di ieri e dalle elezioni siciliane: anche ieri, infatti, nei grandi centri come Palermo, Catania e forse Genova l'opposizione non ha avuto scampo; è riuscita a reagire solo in cittadine come Caserta, Vibo al Sud, o - se si parla della Lega - nelle province del Nord. Se ce ne fosse stato ancora bisogno per le opposizioni ormai è suonato l'ultimo squillo dell'allarme rosso. E già, fa una certa impressione trovarsi di fronte ad un Ulivo che, alle prese con una crisi di crescita, deve risolvere il problema del coinvolgimento negli organismi decisionali di quel partito dei sindaci che ha una capacità di rappresentanza probabilmente superiore a quella di alcune forze della coalizione, e a delle opposizioni che di fronte alla sconfitta danno l'impressione di essere inermi, disarmate, impotenti. Il Polo appare diviso e senza prospettiva. Anche la solita nenia delle discussioni sulla successione a Berlusconi è venuta meno più per disperazione, che per scelta. Da parte sua la Lega resiste, difende alcune roccaforti, ma è in una condizione d'«impasse»: alle ipotesi seccessioniste ormai credono solo i romanzieri, ma il gruppo dirigente dei padani è incapace di dare uno sbocco diverso e più «realista» a questa fetta notevole dell'elettorato del Nord. Ora è chiaro che se le due opposizioni continueranno a rimanere divise, non avranno nessuna possibilità di impedire il consolidarsi deh'attuale maggioranza. L'unica chance - specie al Nord - è quella di riaprire un rapporto tra Polo e Lega, di mettere in campo quello schieramento che, ad esempio, ad Alessandria - sia pure senza accordi alla luce del sole - ha permesso al candidato della Lega di aver il sopravvento sul centro-sinistra. Al di là dei discorsi che si fanno sulla necessità di un maggiore coordinamento, di una maggiore organizzazione e di una maggiore professionalità, il problema di rimettere insieme i pezzi dell'opposizione per rappresentarla in un unico schieramento è il problema politico che hanno di fronte sia Berlusconi, sia Fini. «E' una stra¬ da obbligata - continua a ripetere Giulio Tremonti -, inutile nasconderselo. Bisogna partire da lì per rimettere insieme uno schieramento competitivo. Anche il discorso sul candidato alla pre- miership, cioè sul nome che dovrebbe sostituire Berlusconi nelle prossime elezioni, non può non confrontarsi con quel problema. Ecco perché è inutile ragionare sul nome di Fini per quel molo. E' un nome che non riscuoterebbe l'appoggio dell'elettorato leghista per non parlare del disagio che suscita negli ambienti internazionali, vedi Israele». «O noi - ha ripetuto ieri Giorgo Rebuffa letti i dati elettorali - riusciamo a dividere lo scenario politico italiano in due soli Poli, a riassorbire in un modo o nell'altro la Lega, o le partite che si giocheranno nei prossimi anni saranno perse in partenza». E in questa atmosfera ieri Beppe Pisanu ha addirittura gioito per il successo dei candidati di Bossi: «Siamo contenti che vinca la Lega contro l'Ulivo perché l'elettorato della Lega è sì arrabbiato, ma moderato». Ma mentre dentro Forza Italia tutti hanno ben chiaro che questo è il problema dei problemi a cominciare dallo stesso Berlusconi, gli alleati continuano in alcuni casi ad avere un atteggiamento pregiudizialmente contrario. Fini inseguendo la chimera del sorpasso su Forza Italia ha impiegato due mesi ad accettare l'idea del referendum consultivo regionale sul federalismo, quello che aveva proposto Roberto Formigoni per riallacciare un rapporto con la Lega. Mentre Casini e Mastella, per non rischiare i loro elettori dislocati soprattutto al Sud, non vogliono neppure sentir parlare di discorsi che potrebbero avere come interlocutori i leghisti. Se sull'argomento il Polo rimarrà bloccato, se non riuscirà a darsi una struttura, magari «regionalizzata», in grado di riaprire un discorso con la Lega, è difficile che possa impedire l'inizio di un vero e proprio ciclo di governo dell'Ulivo. In questo caso sia Berlusconi, sia Fini, come lo stesso Bossi, saranno corresponsabili di quel «regime» - in questo sono tutti e tre d'accordo - che tanto paventano. Questo caso di «regime» tutto italiano, infatti, si baserà più sull'incongruenza delle opposizioni che sulla capacità di persuasione della maggioranza. Augusto Minzolini Ma il soccorso azzurro al successo del Carroccio spinge il senatùr a non insistere sulla secessione A sinistra: Gianfranco Fini presidente di Alleanza nazionale A destra: Pier Ferdinando Casini segretario del ccd

Luoghi citati: Alessandria, Caserta, Catania, Genova, Israele, Palermo, Roma