KIAROSTAMIE GLI ALTRI
MASSIMO TRE MASSIMO TRE KIAROSTAMIE GLI ALTRI Dedicato all'Iran: indagine su un cinema non omologato IL pubblico torinese ben conosce il cinema dell'Iran, grazie soprattutto all'attività del Festival Cinema Giovani che a più riprese ha mostrato i film di Kiarostami, di Makhmalbaf, di Naderi (quest'anno membro della giuria), di Jafar Panahi e di molti altri (nétta foto, un'inquadratura di «Pari» di Dariush Merhjui). In Iran c'è una grande tradizione cinematografica che, dopo la rivoluzione di Khomeini, ha modificato la sua struttura ma non il suo interesse; e che negli ultimi ha avuto in Italia un testimonial di eccezione in Nanni Moretti, che ha programmato al cinema Sacher di sua proprietà molti film provenienti da quel Paese e ha immortalato nel cortometraggio «Il giorno della prima di Close Up» le difficoltà che sussistono quando si vuole proporre in Italia qualcosa che sia diverso dai normali standard di mercato. Chi volesse rivedere alcuni film o volesse dare uno sguardo d'insieme al fenomeno può seguire, dal 4 al 17 dicembre alla sala 3 del Massimo, la rassegna organizzata dalla Cineteca di Bologna che propone una ventina di film iranianidegli ultimi anni. La rassegna comprende alcuni film di Kiarostami («Dov'è la casa del mio amico», «Sotto gli ulivi», «Close Up») e degli altri nomi ormai consolidati quali Amir Naderi («Il corridore», «Acqua vento sabbia»), Mohsen Makhmalbaf, Jafar Panahi. E, percorrendo questi omaggi ai registi, si noterà come il cinema iraniano non sia un fenomeno unitario ma contenga al suo interno importanti diversificazioni, metodi d'approccio, poetiche autonome. E' un cinema profondamente intriso della storia e della cultura nazionali: si raccontano storie che tengono conto di quanto è successo, delle guerre e dei rivolgimenti che hanno caratterizzato il Paese, eppure a questa tensione politica e morale non corrisponde un atteggiamento propagandistico o di regime. Segno questo che i registi citati, e gli altri presenti nella rassegna, poggiano la loro formazione su una forte tradizione di interesse per il cinema che ha saputo difendersi dall'omologazione in atto in molti Paesi. E, per rendersi conto di questa cultura, niente di meglio che accorrere all'unico film veramente raro della rassegna, «I mongoli» di Kiniawi Parwiz. Realizzato nel 1973 (prima della rivoluzione islamica, nel periodo in cui il governo dello Scià cercava di fare dell'Iran una specie di succursale per le cinematografie occidentali), è un'opera quasi leggendaria per compattezza e rigore. Stefano Della Casa
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