Per conservare l'Uomo di Similaun

Per conservare l'Uomo di Similaun Per conservare l'Uomo di Similaun studiosi e di renderlo visibile al pubblico. E' una sperimentazione singolare, che coinvolge un altro ignoto essere umano, morto non si sa come, mummificato a sua volta non si sa se naturalmente o artificialmente, assai simile per l'età e l'esile corporatura all'uomo del Similaun ma assai meno importante dal punto di vista antropologico. Da diversi mesi questa controfigura è sottoposta al compito di «testare» la teca in vista dell'arrivo del suo vero e celebre destinatario. Si tratta di una cella frigorifera monitorizzata, nella quale strumentazioni sofisticate creano e mantengono rigorosamente stabile un microclima estremo: umidità relativa vicina al 100 per 100, temperatura meno 6, microrganismi zero. Le condizioni che si ritrovano al centro di un cubetto di ghiaccio. Le stesse che ha fornito al Similaun la montagna italo-austriaca, avvolgendolo per oltre 5000 anni in un sudario di ghiacci. Spiega Luigi Capasso, direttore del Servizio Antropologico del Ministero dei Beni Culturali: «Il problema maggiore è stato proprio il controllo dell'umidità, sia nella cella che, soprat¬ tutto, nei tessuti della mummia. Si misura continuamente il peso del corpo e il contenuto reale di acqua, sia quella chimicamente legata alle molecole organiche, sia quella chimicamente libera e quindi disponibile all'evaporazione. Un altro indizio che potrebbe indicare un deterioramento è una eventuale variazione di colore del corpo: un sistema di monitoraggio cromatico computerizzato, capace di cogliere cambiamenti invisibili all'occhio, 10 sorveglia periodicamente». E se l'apparato dovesse andare in tilt? Una serie di sensori fanno scattare gli allarmi alla minima deviazione rispetto ai parametri fissati. Non basta: le celle in realtà sono due, in parallelo, una pronta a subentrare all'altra. Costo dell'operazione, due miliardi. La mummia venuta dai ghiacci è così preziosa per gli studiosi, ed è entrata con tanto malinconico fascino nell'immaginario collettivo, che non si può correre 11 minimo rischio di perderla. Le garanzie sono tali da aver convinto una Commissione Scientifica Internazionale dalla quale dipendeva il benestare circa l'estrema dimora di Oetzi. Il che, fra l'altro, ricompensa una sfida tecnologica tutta ita¬ liana, portata avanti dalla Syremont, azienda del gruppo Montedison specializzata nella conservazione e nel restauro di reperti artistici e archeologici (ha al suo attivo, tra gli altri, interventi agli Uffizi, a Erodano, a Orvieto) e dalla Angelantoni. Una finestrella quadrata, di 40 centimetri di lato, consentirà di affacciarsi all'interno, illuminato da un sistema a fibre ottiche esenti da raggi ultravioletti potenzialmente dannosi per i tessuti. La mummia del Similaun infatti non solo continuerà ad essere oggetto di indagine per gli antropologi (finora è stata studiata da un centinaio di gruppi di ricerca europei) ma diventerà anche spettacolo, macabro e affascinante. Con tutto il suo corredo sarà infatti il clou del museo che le crescerà intorno, con reperti dall'epoca glaciale al Medioevo. Ad una sola domanda, probabilmente, non potrà rispondere l'indagine scientifica che sembra capace di ogni risposta: che cosa cercava quell'uomo nella sua ascesa solitaria in mezzo ai ghiacci delle Alpi, con le sue armi e le sue provviste, cinquemila anni fa? Che cosa lo ha chiamato verso la sommità del¬ la montagna, sempre più su, fino a pochi metri dallo spartiacque? E come lo ha raggiunto lassù la morte? Due elementi, ritornati fino a noi dalla profondità del tempo insieme a Oetzi e alle sue povere cose, forse spiegano in parte la sua fine, forse aggiungono mistero a mistero. Sulla mum mia sono visibili i segni di nu merosi tatuaggi: sembra ormai certo che fossero stati praticati per alleviare i dolori articolari causati dall'artrosi. E poi, che scopo avevano le due piccole masse di aspetto legnoso ritrovate fra gli oggetti di Oetzi? L'analisi chimica ha dimostrato che esse erano state ricavate dalla polpa essiccata di un fungo: un fungo capace di produrre antibiotici. Possibile che cinquemila anni fa se ne intuisse l'uso terapeutico? Il fatto è che Oetzi soffriva di una malattia infettiva ricorrente, asseriscono gli scienziati. E il professor Capasso ha anche ri costruito una commovente ipo tesi sugli ultimi istanti di vita dell'uomo della Val Senales suoi capelli erano arrotolati e spezzati. Come se, disperato, egli se li fosse strappati senten do sopraggiungere la morte. Roberto Antonetto

Persone citate: Angelantoni, Capasso, Luigi Capasso, Roberto Antonetto

Luoghi citati: Oetzi, Orvieto, Senales