«La Palestina c'è già non la vedi?»
la dittatura del Corano Lite sul ritiro dalla Cisgiordania, il primo ministro rischia di perdere la maggioranza «La Palestina c'è già, non la vedi?» In Parlamento ennesima rivolta contro Netanyahu TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Sottoposto a pesanti pressioni diplomatiche da parte degli Stati Uniti, il governo di Benyamin Netanyahu ha discusso ieri per sei ore la necessità di realizzare un nuovo ritiro in Cisgiordania ma non è riuscito a prendere una decisione. Il primo ministro si trova in effetti di fronte a un baratro: ancora ieri i rappresentanti delle correnti nazionaliste gli hanno detto chiaramente che allo stato attuale delle cose si opporranno strenuamente a qualsiasi ridispiegamento militare dai Territori occupati. Se tentasse di attuare un nuovo ritiro - dopo quello molto limitato di Hebron, nel gennaio scorso - Netanyahu (che già deve affrontare una fronda interna nel Iikud) rischierebbe di vedersi sfuggire la maggioranza in Parlamento. Ad aumentare la confusione del quadro politico sono giunte due fughe in avanti «filopalestinesi» proprio nel Iikud. Ariel Sharon, il ministro delle Infrastrutture Nazionali celebre per la sua rigidità, sostiene ormai che «nelle zone di autonomia uno Stato palestinese esiste di fatto» e di recente si è recato in Giordania e negli Stati Uniti per illustrare le «zone di sicurezza» minimali in Cisgiordania il cui controllo è assolutamente necessario per difendere lo Stato ebraico: il sogno del «grande Israele» è dunque definitivamente tramontato. Tanto è bastato perché i coloni gli ricordassero polemicamente che nel 1978 fu proprio lui, Sharon, a convincere il premier Menachem Begin a smantellare tutti gli insediamenti ebraici nel Sinai in cambio della pace con l'Egitto. «Sharon torna adesso a distruggere insediamenti», ha avvertito un esponente dei coloni. Il capo del gruppo parlamentare del Iikud, Meir Shitrit, ha addirittura auspicato ieri la costituzione di uno Stato palestinese nei Territori «fintanto che noi nazionalisti siamo al potere, in una posizione di forza». Dietro questa sorprendente dichiarazione vi è la convinzione sempre più diffusa in Israele che la nascita di uno Stato palestinese sia ormai inevitabile e che tutti gli sforzi vadano impiegati a garantire almeno che sia smilitarizzato, che il controllo dei suoi confini resti in mani israeliane e che Gerusalemme resti indivisa. Ieri il ministro della Difesa Yi- tzhak Mordechai ha presentato ai ministri due carte geografiche della Cisgiordania. La prima mostrava le zone attorno a Hebron e a Nablus destinate a passare dall'assoluto controllo israeliano (zone C) ad un assoluto controllo palestinese (zone A): complessivamente, il 6-8% della Cisgiordania. «Dev'essere uno scherzo di cattivo gusto», ha commentato il ministro palestinese Yasser Abed Rabbo, ricordando che secondo gli impegni presi da Israele già in questa fase l'Anp dovrebbe controllare oltre il 35% della Cisgiordania. La seconda carta geografica di Mordechai riguardava le «zone B», quelle sotto controllo misto israelopalestinese: circa il 26% della Cisgiordania. Martedì un consigliere di Netanyahu, David Bar Han, ha anticipato a un'agenzia di stampa che le zone B sono destinate a passare presto sotto totale controllo palestinese. Pochi minuti dopo Bar Ilan ha richiamato l'agenzia: «Annullate tutto, mi sono sbagliato». L'errore - si è appreso ieri - non era nella sostanza, ma nei tempi. Netanyahu intende avanzare la proposta relativa alle zone B a Yasser Arafat solo in futuro. Tanto è bastato però per far andare su tutte le furie i due ministri del partito nazional-religioso, che hanno intimato a Mordechai di arrotolare subito le mappe e hanno ottenuto di riprendere il dibattito la settimana prossima. Aldo Baquis Sharon e il leader del gruppo parlamentare del Likud: almeno teniamoci ampie zone di sicurezza per difenderci
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