Gli Usa: gli arabi con noi

Gli Usa; gli arabi con noi Gli Usa; gli arabi con noi // capo dell'Armata del Golfo «Gli alleati pronti a colpire» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ogni giorno, l'amministrazione Clinton aumenta la pressione su Saddam Hussein. Ieri è stata la volta del generale Anthony Zinni, l'uomo che guida le forze americane dispiegate nel Golfo Persico. Dopo essersi presentato a rapporto al Pentagono, ha dichiarato ai giornalisti che gli Stati Uniti hanno il pieno appoggio degli alleati arabi nella regione per un eventuale attacco contro l'Iraq. Le settimane scorse si era avuta la netta sensazione che quei Paesi fossero contrari ad un intervento militare. E che un attacco degli americani, appoggiato dai britannici, avrebbe sfaldato definitivamente la coalizione anti-Saddam emersa dopo l'invasione del Kuwait nel 1990. Il generale Zinni sostiene invece che l'orientamento è cambiato negli ultimi giorni. «Credo davvero che otterremo l'appoggio necessario quando verrà il momento. Tutti i leader con cui ho parlato nella regione del Golfo mi hanno assicurato che appoggerebbero gli Stati Uniti. Se Saddam dovesse attaccare i nostri U2 o se comunque ci fosse bisogno di rispondere ad un'azione irachena tutti ci hanno detto che dovremmo farlo in maniera pesante. Niente più punture di spillo». Per alcuni versi, dunque, la crisi irachena, anziché allentarsi, sembra addirittura aggravarsi ogni giorno che passa. Ma un improvviso gesto di distensione da parte di Saddam Hussein ieri ha complicato la lettura della situazione. Nei giorni scorsi Saddam aveva vietato l'accesso degli ispettori Onu ai cosiddetti «palazzi presidenziali», e questo suo atteggiamento aveva provocato l'irrigidimento degli americani. Ieri, a sorpresa, il leader iracheno ha invitato gli ispettori a visitare i siti proibiti «per una settimana o anche di più». L'invito è stato calibrato con attenzione: due rappresentanti di ogni Paese che siede sulla Commissione speciale dell'Onu (Unscom) e un rappresentante di ogni membro permanente del Consiglio di sicurezza. «Questa è la nostra risposta alle menzogne degli americani», ha spiegato il governo. A Washington, l'invito di Saddam è stato accolto con cautela ma senza chiusure. «Prima vediamo i fatti», ha detto il portavoce del Pentagono Bryan Whitman. «Ma se l'invito si rivelasse genuino sarebbe uno sviluppo certamente positivo». Anche al Palazzo di vetro Richard Butler, il capo dell'Unscom che aveva sollevato nei giorni scorsi il problema dei siti proibiti, ha reagito con favore alla decisione irachena. Oggi sarà possibile valutare meglio la reale portata dell'offerta. Nel frattempo il governo iracheno ha chiesto ancora una volta che le sanzioni vengano tolte al più presto, una richiesta che gli americani non vogliono nemmeno prendere in considerazione fino a quando Baghdad non darà piena libertà di movimento agli ispettori delle Nazioni Unite. In risposta alla chiusura americana sulle sanzioni, Baghdad ha accusato gli Stati Uniti di essere responsabili della morte di migliaia di bambini iracheni. Il ministro della Sanità Umeed Madhat Mubarak ha usato il funerale di quattro bimbi come sfondo per accusare Washington di tenere pretestuosamente bloccati i medicinali destinati all'Iraq. Mubarak ha aggiunto che cinquemila bambini di età inferiore ai cinque anni muoiono ogni mese. La Francia si è subito inserita nella polemica. Il ministro degli Esteri Hubert Védrine ha ricordato che Parigi «è sempre stata particolarmente sensibile alla sofferenza del popolo iracheno». Andrea di Robiiant Il ministro della Difesa costretto ad arrotolare le mappe del ridispiegamento Il premier israeliano Netanyahu e il generale Anthony Zinni