«Il carcere a chi copia la tesi»
«Il carcere a chi copio la tesi» Respinto ricorso di uno studente: presentò un lavoro fatto da un collega «Il carcere a chi copio la tesi» Cassazione: almeno la stesura deve essere individuale ROMA. La tesi di laurea si può anche preparare in due, dividendo il lavoro di ricerca e approfondimento che la precede, ma la stesura finale deve essere individuale, pena il carcere. Chi copia la tesi rischia infatti la reclusione da tre mesi ad un anno, anche se ha partecipato al lavoro di preparazione, ma non ha collaborato alla stesura del testo, perché è proprio l'elaborazione finale della tesi a dare un'idea delle «qualità intellettive, critiche ed espositive del candidato». Per questa ragione la III sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da uno studente di Medicina, condannato alla reclusione dalla Corte di Appello di Venezia per aver presentato come proprio, per la discussione della tesi, un lavoro redatto in realtà da un collega- Lo studente, a casa del quale era stata trovata la brutta copia della tesi del collega, si difendeva spiegando che la tesi era il frutto di un lavoro di gruppo: ammesso a svolgere una tesi sullo «studio dei patch-tests cutanei» il giovane aveva infatti «ricercato la bibliografia, studiandola per individuare determinate ipotesi di partenza, partecipato agli esami col microscopio e preso appunti. Il lavoro doveva essere dunque attribuito ad un complesso di persone, ciascuna delle quali aveva dato un proprio apporto al risultato finale, che poteva utilizzare per le proprie specifiche esigenze». Lo studente sosteneva inoltre che «l'evoluzione degli studi aveva reso ormai obsoleta la concezione della tesi di laurea che si aveva nel 1925 (data nella quale è stata approvata la legge che punisce chi copia, appunto, la tesi), tanto che la regolamentazione delle tesi di laurea in Medicina e chirurgia dell'università di Verona prevede che, per la determinazione dell'entità del voto, si tiene conto dell'apporto dato dal candidato alla preparazione della tesi e della quantità e qualità del lavoro svolto in prima persona dal laureando». Diverso il parere della Cassazione, che cita invece una precedente interpretazione della legge, proposta proprio dalla III sezione penale: «Con l'espressione opera d'altri, la legge del 1925 non si riferisce ad un lavoro compilato interamente da un soggetto diverso da quello che ne appare l'autore, ma anche al fatto oggettivo che il lavoro non sia proprio, cioè non sia frutto del proprio pensiero, svolto anche in forma riepilogativa o espositiva, ma che esprime tuttavia quello sforzo di ripensamento di problematiche altrui che si richiede per saggiare le qualità espositive di un candidato». Secondo la Cassazione, dunque, anche se il lavoro viene svolto in gruppo «occorre sempre un personale concreto contributo, anche minimo e di natura riepilogativa o espositiva, al lavoro comune che, nella fattispecie, è mancato». [Ansa]
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