Suicida dopo l'incesto, condannato il padre

Suicidi! dopo l'incesto, condannato il padre Suicidi! dopo l'incesto, condannato il padre La ragazza raccontò nel diario le violenze in casa POTENZA. Sedici anni di reclusione, uno in più di quanto richiesto dall'accusa. Questa la condanna inflitta dai giudici della Corte di assise di Potenza ad un uomo di 48 anni, muratore, accusato di aver costretto la figlia minorenne a subire le sue attenzioni sessuali. I giudici hanno anche stabilito un rapporto di causa e d'effetto tra il comportamento violento del padre e il suicidio della figlia, avvenuto nel giugno dell'anno scorso, qualche giorno prima che lei compisse i 18 anni. La vicenda è avvenuta in un paesino della zona Nord della Basilicata, a Rapone, non più di 2000 abitanti, dove tutti sanno di tutti, ma dove anche vicende del genere vengono spesso coperte da una omertà collettiva. Le accuse che pendevano sul muratore di Rapone riguardavano anche l'incesto, ma la Corte lo ha assolto «per insussistenza del fatto» dice la sentenza, in pratica perché è mancato il «pubblico scandalo» cui il codice lega quest'odioso reato. Cioè pubblicamente nessuno sapeva. E' stato invece riconosciuto colpevole di maltrattamenti e di atti di libidine violenta, e di aver causato uno stato di prostrazione tale nella figlia da farle intravedere la morte come l'unico modo per uscire dall'inferno familiare. La sera dell'8 giugno del '96 il paese fu sconvolto dalla notizia del tentato suicidio di una studentessa. Aveva ingoiato una quantità incredibile di farmaci. Il ricovero in ospedale a Potenza si era rivelato inutile: la ragazza si spense cinque giorni dopo. Una morte incomprensibile, come gran parte dei suicidi adolescenziali: nessuna lettera ai parenti, nemmeno un biglietto di spiegazioni. Ma l'inchiesta aperta dalla pro¬ cura di Melfi sollevò il velo su un quadro familiare allucinante. I carabinieri non indagavano al buio: gli amici di paese sapevano qualcosa, e i compagni del liceo artistico di Melfi che la ragazza frequentava ne sapevano di più. In particolare una coetanea che era divenuta la sua confidente. E poi spuntò fuori anche un diario, cui la ragazza aveva affidato le sue mortificazioni, lo stato di prostrazione in cui viveva da anni, da quando ne aveva appena dieci: l'impossibilità di frequentare il fidanzato, le botte e le violenze del padre, e poi le sue attenzioni particolari, gli abusi sessuali. E di tutto questo hanno riferito agli inquirenti anche gli amici e lo stesso fidanzato. Infine la testimonianza della sorellina minore, tredicenne, che confermava. La prima decisione della procura fu quella di sottrarre la figlia minore alla vita familiare. Poi scattarono le manette per il padre. Era il 21 gennaio di quest'anno, otto mesi dalla morte della ragazza. Lui, il padre padrone, si è sempre protestato innocente, contestando l'accusa di abusi sessuali sulla figlia. Al massimo sostiene di averla rimproverata. Il suo legale ne aveva chiesto l'assoluzione perché non provate le singole accuse e soprattutto perché non era stato provato il rapporto causale tra maltrattamenti e suicidio successivo. Edmondo Soave

Luoghi citati: Basilicata, Melfi, Potenza, Rapone