L'«Armata» moribonda

./«Armata» moribonda DALIA ./«Armata» moribonda Nella trincea di un mondo tradito LVICENZA A campagna muore perché l'unico scontro storico rimasto in atto è lo scontro città-campagna, non proletari-borghesi, non operai-capitalisti, e nemmeno Occidente-Oriente: lo scontro è tra produzione della terra e produzione delle macchine, e i soldi vengono tutti dalle macchine. Lo spopolamento dell'Est, che confina col Friuli e la Venezia Giulia, mette a disposizione dell'Occidente e dell'Italia una umanità tre volte più miserabile, che non ha altro che i campi, lavora per sopravvivere, e ci dà vitelli, uova, cereali, maiali praticamente gratis. I nostri contadini scapperanno altrove: piccole industrie, aziende in proprio, diplomi, lavori artigianali, periferie di città, agriturismo. I nostri contadini di domani sono i contadini dei Paesi confinanti. Il mondo contadino è un organismo vecchio, complesso, tentacolare, che invadeva tutto. I sussulti per cui va in cronaca da sette giorni sono le fasi terminali della sua agonia: la morte della sua economia. Ma è già morta la religione della campagna, un quarto di secolo fa; la famiglia contadina, quando si spaccava perché i figli andavano in città; la cultura contadina, quando i giovani ne sapevano più dei vecchi. A quel punto l'entrata della cultura nelle case ha cambiato direzione: prima veniva dal passato, adesso veniva dal fu- turo. In quel momento moriva la morale contadina: lavorare, risparmiare, contentarsi di poco. Morale contadina e civiltà dei consumi erano opposte: se tutti devono consumare, quelli che risparmiano sono a-sociali. E così è, in effetti. A chi guarda i contadini, oggi, per le strade, le autostrade, le ferrovie, o anche solo nei tg, par di vedere relitti di una storia morta, animali a-sociali, che devono socializzare o, se no, è meglio che muoiano. La protesta per le quote latte è in realtà una rivolta. La rivolta contadina non è popolare, non ha sponsor. Ieri Cofferati dichiarava: «Non mi piace quel che fanno, perché impediscono la circolazione». Ma guarda te, se è una frase da sindacalista. Tutti i sindacalisti hanno cultura operaia. Come D'Alema, come Bertinotti. Che ci sia una classe di proprietari del bene più antico e più immortale, la terra, che stanno sotto la classe operaia, li disorienta. Venendo dalle campagne verso le città (ieri ne hanno occupate un centinaio), i con¬ tadini si trascinano dietro il passato, combattono come si combatteva nelle guerre di una volta, fino alla prima guerra mondiale. A Vancimuglio schierano un fronte di trattori mastodontici puntati sull'autostrada Venezia-Milano. A separarli dall'autostrada c'è una sottile rete metallica, con un solo filo spinato in testa. Di là, lo schieramento dei mezzi della polizia. Di qua, l'armata contadina pianta il tendone per le cibarie e la messa. Come una volta prima dell'assalto. Nelle trincee si scherza, morituro con morituro: «Te vedo l'ocio stracco». Dei trattori, Lamborghini, Fiat, Deutz, Massey Ferguson, i più grossi tirano autobotti Pettenuzzo e Bossini da 110 o 150 quintali. Nelle guerre di una volta, da quelle dell'Iliade a quella di Vittorio Veneto, prima dello scannatoio si parlamentava. Per parlamentare, uno mostrava la bandiera bianca e veniva avanti. Le armi si abbassavano. Qui è la stessa cosa. C'è un questore che ogni tanto vuol confabula- re, tira fuori da una valigetta la fascia tricolore, e se la mette a bandoliera. L'armata contadina si passa la voce, e viene avanti il capo. Da quel che si capisce il questore non vuole che i getti di orina e di letame insozzino le divise militari. E vuole essere sicuro che non si invade la strada. Ma il capo contadino non ha il potere di bloccare l'armata. C'è gente che aspetta la restituzione di 100, 300, 500 milioni. La loro idea è che i soldi li ha in tasca quel questore, e, se viene qui, Prodi. «Prodi, restituisci i soldi al mio papà», dice un cartello scritto a mano, firmato Silvia. Nell'accampamento c'è un capitale: un trattore costa un milione a cavallo, un trattore da 130 cavalli vale 130 milioni. Qui ci sono dozzine di miliardi. Ma è un capitale che non rende. Lo spiegamento di miliardi li rende sospettosi: se guardi per più di cinque secondi un trattore, il padrone si precipita a domandarti chi sei e cosa vuoi. Ogni cinque minuti devo tirar fuori il tesseri- no, lo controllano anche contro luce. I contadini sono convinti, da migliaia di anni, che tutti li fregano. Ogni battaglia, qui come nelle guerre armate, si vince con i trucchi. Questa finora l'hanno perduta, perché sono stati traditi. Il principale traditore è stato il ministro dell'Agricoltura, Pandolfi. Un ministro dell'Agricoltura che tradisce gli agricoltori è come un generale che guida l'esercito in bocca al nemico. Pandoifi ha chiesto per l'Italia un monte-quote inferiore del 40% al fabbisogno, per un suo errore. Son passati 15 anni, e l'errore è ancora lì. Adesso il problema è che molti han smesso di produrre latte, ma conservano il diritto, cioè i documenti con le quote. Li vendono dal notaio. Chi produce latte, va a comprarli. Basterebbe poco per correggere tutto: dare le quote a chi ha le vacche. Da Roma rispondono: non riusciamo a sapere quante vacche avete. La risposta è: basta controllare i certificati di vaccinazione. Da Roma nessuno li controlla. E così un problema che si può risolvere in 15 minuti si trascina da 15 anni. Vado a visitare una stalla, a Gajanigo di Vicenza. Ci son 100 vacche in mungitura, 100 in asciutta. Niente conviene come 'e vacche: soia, mais, vino, frutta, tutto è aleatorio, l'Italia non riesce a strappare prezzi convenienti. Le vacche danno un reddito costante, mese per mese. Una vacca produce latte per 300 giorni all'anno. Chi ha vacche vende genetica, cioè embrioni selezionati e torelli commissionati. Un mercante viene e dice: «Voglio un torello da questa vacca e da quel toro». E loro glielo preparano. La vacca non incontra mai quel toro, tutto si combina artificialmente. Queste vacche sono sempre incinte e non vedono mai un toro. Dubito che le mucche pazze siano soltanto quelle inglesi. Duecento vacche han bisogno di uno spazio come San Siro: stalla, silos, locali per la mungitura. Lavati e specchianti. Il padrone di questa fattoria modello, Alessio Marchioron, cugino del capo rivolta di Vancimuglio soprannominato «il Lenin dei contadini», ha un figlio che studia all'Istituto agrario: l'istituto è in città, il che vuol dire che lui deve partire alle 6,30 del mattino. Il ragazzo di campagna paga tre quel che il ragazzo di città paga uno. E questo è intenzionale: la campagna deve svuotarsi. Di fatto muore. Le parole del contadino sono l'epigrafe sulla tomba. C'è un santino sul tavolo, San Bosco, e ogni tanto l'allevatore lo sfiora col dorso della mano, come una carezza. Ciò che il padre difende facendosi rompere la testa, domani il figlio si vergognerà a sentirlo nominare. Ferdinando Camon A chi guarda i contadini per le autostrade e le ferrovie o anche soltanto nei tg pare di vedere relitti di una storia morta, «animali» ormai asociali C'è chi aspetta la restituzione di 100,300,500 milioni. L'idea è che i soldi se li è messi in tasca il governo. «Prodi, adesso devi restituire i soldi al mio papà»