«Scuse misurate» di Indro MontanelliLuigi GrassiaIndro Montanelli

1937, il ratio dell'obelisco «Scuse misurate» Montanelli: «Bene così Non s'è battuto il petto» Indro Montanelli ROMA. «Io non mi vergogno affatto delle mia guerra in Abissinia» dice Indro Montanelli, che nel '35 comandava un reparto di ascari. Gli chiediamo al telefono: Delle scuse di Scalfaro che cosa pensa? «Mi hanno sorpreso piacevolmente, perché le ho trovate piuttosto giuste e equilibrate. Mi aspettavo che il Presidente andasse lì a battersi il petto, adesso in quest'Italia tutti si mostrano contriti di tutto, anche il Papa, che roba... Invece Scalfaro è stato misurato nella sua richiesta di perdono. In Abissinia ci fu la rappresaglia ordinata da Graziani dopo l'attentato a cui scampò, io ero lì, fu terribile, ma fu solo un episodio. Certo qualcosa di cui scusarci c'è, ma di tutte le colonizzazioni, la nostra fu la più umana. Lo dimostra il fatto che dopo la nostra resa nel '41, la numerosa popolazione italiana non subì alcuna rappresaglia dagli etiopici. Correggerei Scalfaro su un solo punto: ha detto, per cortesia, che ci arrendemmo agli abissini. Non è vero, ci arrendemmo agli inglesi». Continua a non credere all'uso da parte nostra dei gas? Ormai ci sono prove... «Ma le prove si fabbricano! Quello che so è che nel mio reparto l'unico ascaro calzato era il bulumbasci, il sottufficiale. Le truppe indigene erano l'avanguardia, ci muovevamo per primi sul terreno sul quale, si dice ora, sarebbero stati usati i gas. Eppure nessuno dei miei, a piedi nudi,' subì mai le escoriazioni che avrebbe dovuto provocare l'iprite. E nessuno del comando ci avvisò mai di stare attenti. Possibile? E poi, contro chi avremmo dovuto lanciare i gas? Non c'era un fronte, il nemico era sparpagliato in bande, io ne intercettai una sola. Graziani usò i gas una volta sul Neghelli, per vendicare la morte diun'tenente aviatore fatto prigioniero e ucciso. Certo, negli archivi si trovano ordini del pazzo tonitruante di Palazzo Venezia (Mussolini, ndr) che diceva di usarli. AI Duce piaceva fare del "terribilismo", ma poi è tutta un'altra questione dimostrare che fu ubbidito». E la restituzione della stele di Axum? «Di quella non importa niente nemmeno agli etiopici. Interessava al Negus riaverla, come fatto simbolico, come prima era interessata a quel cretino di Mussolini, sempre in quanto simbolo di predazione. Ma in Italia non ci ha mai badato nessuno. Restituiamola pure». Perché, la conquista non fu predazione? «Noi giovani combattenti andammo in Etiopia con lo spirito dei pionieri. Io credevo che ci sarei rimasto per sempre. In Italia avevamo la strada sbarrata da tutti i reduci, da quelli del Carso a quelli della marcia su Roma... Volevamo realizzare qualcosa di nostro, rendere anche noi stessi reduci di qualcosa! Ma invece vedemmo nascere in Abissinia una brutta copia della provincia italiana, tornammo a casa scornati e cominciò il nostro distacco dal fascismo». Lei ha scritto di non riconoscersi più nell'Italia. Ma la guerra del '35-'36 non è una delle cose di cui si vergogna, vero? «Neanche per sogno. Quando, dopo la guerra mondiale, tornai a trovare i miei vecchi soldati, tutti mi fecero grandi feste. E scoprii che uno aveva battezzato un figlio col mio nome». Luigi Grassia Indro Montanelli