Scalfaro chiude la guerra coloniale di Renato Rizzo

7 Scalfaro chiude la guerra coloniale «Un atto dovuto dopo 60 anni». E' la prima visita di un presidente italiano a Addis Abeba In Etiopia: pagine di sangue, vi rendiamo la stele di Axum ADDIS ABEBA. La parola «perdono» proprio no. Troppo bruciante pronunciarla in modo esplicito. Troppo imbarazzante per chi, in tempi recentissimi, ha irriso a quella «moda di chiedere scusa» che ha tra i suoi cultori anche il capo della Chiesa romana. Il Capo dello Stato italiano preferisce scegliere la strada tortuosa dei giri di parole dove le guerre per un posto al sole, il nostro colonialismo e l'occupazione fascista diventano «pagine che non furono di amicizia, ma purtroppo di sangue». Il significato, però, è chiaro. E, così, il primo atto della prima visita di un nostro Presidente in Etiopia è una pubblica ammenda per colpe lontane che l'agiografia del «buon soldato italiano» ha spesso tentato di edulcorare. Le parole di Oscar Luigi Scalfaro risuonano nel grande atrio di quel palazzo dal quale il generale Rodolfo Graziani guidava come inflessibile viceré «la perla del Corno d'Africa». Ed evocano ingiustizia, razzismo, sfruttamento: un angolo di storia in cui «il lavoro italiano si mescolava a quello del popolo d'Etiopia, ma senza partire da una situazione di uguaglianza. Anzi, muovendo non dalla libera scelta, ma dalla costrizione». E' un'autocritica a nome dell'Italia che, implicitamente, il Capo dello Stato trasforma in un'autocritica personale ad attenuare l'eco di parole pronunciate l'anno scorso in questo stesso continente, durante la visita al Cairo: «Gli italiani possono aver sbagliato delle pagine, ma non sono mai passati per sfruttatori di nessuno. Nonostante casi singoli abbiamo portato in Africa grande ricchezza umana». La storiografia ha indagato spesso con l'emotività provocata da avvenimenti che scottano ancora troppo - i cinque anni di dominazione in Etiopia durante i quali, secondo il Presidente, ci siamo investiti dei diritti onnipotenti del vincitore. E si sono aperte dispute infinite tra il cosiddetto «partito dell'onore» ed il cosiddetto «partito della verità»: un faccia a faccia che, per alcuni, ha semplicemente mostrato «un colonialismo vittimista e piagnone di fronte ad un anticolonialismo altrettanto vittimista e piagnone». E che, per altri, ha invece, smascherato «una dominazione intessuta di nefandezze e di violenze e di imbrogli». Il giudizio di Giampaolo Calchi Novati, uno dei massimi esperti di Corno d'Africa, ad esempio, è chiaro: le scuse - anche se criptate - espresse dal Quirinale sono una «smentita della benevola mitologia di cui ha sempre goduto il nostro colonialismo». Macchie che galleggiano sulla nostra storia e per le quali Scalfaro ha indicato il Candeggiante Assoluto: «La nostra Costituzione proclama il ripudio della guerra: vorremmo che questo "no" avesse la forza di purificare il passato». C'è un simbolo attorno a cui sembra ruotare gran parte della nostra (dis)awentura coloniale: l'obelisco di Axum, sottratto agli etiopi e trasferito a Roma nel '37 come bottino di guerra. Ieri Scalfaro ha ribadito la necessità di riportarlo nella sua antica, originale sede come prevedono gli accordi del '47 e del '56. Di più. Ha spiegato che la restituzione è un gesto per il quale «gli etiopi non devono neppure ringraziarci, in quanto giunge con 60 anni di ritardo». Atto «dovuto». Suggello d'una «visita determinata da un'amicizia feconda». Fine di uno psicodramma. Che, però, si riapre subito in una parentesi solo italiana. Sì, perché il nostro Paese sa bene che cosa significhi vedere trafugare le proprie opere d'arte, «sa bene cosa voglia dire la presenza di truppe occupanti che portano via quello che credono per, poi, non restituirlo». Il Presidente getta un sasso in un campo disseminato di mine e sta a guardare l'effetto che fa. Ecco materializzarsi i furti perpetrati dai nazisti nell'Italia occupata (e, prima, da Napoleone). E' la giornata del perdono. Della richiesta di perdono. E, così, dopo l'ammenda per il colonialismo sfruttatore arriva dal Capo dello Stato un'altra richiesta di scuse: per quella cooperazione allo sviluppo che doveva sollecitare la solidarietà e che, invece, sollecitò troppo spesso la magistratura. Scalfaro parla con studiato pudore lessicale di «qualche penosa prestazione passata», ma assicura che «l'Etiopia resta al primo posto tra i Paesi africani» nell'attenzione dell'Italia. Renato Rizzo

Persone citate: Giampaolo Calchi Novati, Oscar Luigi Scalfaro, Rodolfo Graziani, Scalfaro